Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Edipo Re, ovvero “Del peccato contro la famiglia”

Edipo Re, ovvero “Del peccato contro la famiglia”

di Marco Zonetti - 03/03/2014


 

Sull’Edipo Re, tragedia di Sofocle ha perfino ispirato Sigmund Freud nel definire una sindrome a suo parere presente in nuce in ogni famiglia, sono stati versati fiumi d’inchiostro e si sono confrontati intellettuali e studiosi di ogni epoca e retroterra socio-politico.

Figlio di Laio, re di Tebe, e di Giocasta, Edipo viene allontanato ancora piccino per sfuggire alla profezia dell’Oracolo di Delfi, secondo cui – una volta cresciuto – l’erede al trono ucciderà il padre e giacerà con la madre. Dopo essere scampato alla morte grazie a un pietoso pastore che lo affida a una coppia regnante senza figli, Edipo ormai adulto incontra casualmente sulla strada per Tebe il vero padre Laio, di cui ignora l’identità, e lo uccide per futili motivi, quindi – giunto in città – finisce per sposare la madre Giocasta diventando re.

Ignari del loro rapporto incestuoso, i due concepiscono quattro figli.

Lo scoppio di una spaventosa epidemia a Tebe spinge Edipo a consultare l’Oracolo di Delfi, il cui responso attribuisce le sofferenze della città all’ira degli dei per l’assassinio di Laio, che dev’essere dunque vendicato per riportare pace e serenità. Edipo si fa paladino di quest’impresa e dà inizio alla prima “indagine poliziesca” della storia della letteratura di tutti i tempi. Peccato che, in un colpo di scena che sarebbe piaciuto moltissimo ad Agatha Christie o a Rex Stout, l’investigatore scopra infine di essere l’assassino stesso. Ormai consapevole di aver ucciso il proprio padre e di aver commesso peccato d’incesto con la propria madre (che non regge all’orrore e si toglie la vita), Edipo si acceca trafiggendosi i bulbi oculari con la spilla della suicida Giocasta, quasi a scacciare per sempre l’immagine della propria colpa, seppur inconsapevole, e della maledizione indissolubile che grava sui suoi stessi discendenti.

Pochi sanno tuttavia che la maledizione della stirpe di Edipo, i “labdacei” ovvero gli “zoppicanti”, nel senso di “sinistri”, “ambigui”, nasce con lo stesso padre del protagonista, Laio, che – ai tempi del suo esilio alla corte di re Pelope a Corinto – si era innamorato del figlio di questi, il bel giovinetto Crisippo, costringendolo a un rapporto sessuale contro la sua volontà e infrangendo i propri doveri di ospite. Scoperto l’atto illecito, Pelope scacciò Laio e gli lanciò una maledizione solenne, chiedendo che la stirpe del Labdacidi non potesse perpetuarsi.

Lasciando da parte le disquisizioni sulla Hýbris di Laio e dello stesso Edipo nel loro tentativo di sconfiggere l’ineluttabilità del Fato, o le analisi sul tema del “parricidio” che hanno mosso vari intellettuali a raffrontare l’opera di Sofocle con l’Amleto di Shakspeare o con I fratelli Karamazov di Dostoevskij, la tragedia di Edipo Re può essere dunque vista da un’ottica differente. Laio, Edipo e Giocasta commettono peccato contro la famiglia; Laio, nel suo rapporto omosessuale scardina gli equlibri famigliari della corte di Pelope, dopodiché allontana da casa il proprio figlioletto mandandolo a morte per scongiurare una profezia; Edipo uccide il padre e giace con la madre; Giocasta partorisce dei figli incestuosi dall’unione illecita con la carne della sua carne. Risultato di questa “rapsodia” di strappi violenti al tessuto famigliare, Tebe, e quindi la società civile, vengono flagellati dalla peste e dalla sofferenza.

Il vilipendio alla famiglia, pare dirci Sofocle, porta al vilipendio della società stessa, in una sorta di assoluta corrispondenza biunivoca. La dissoluta civiltà greca che avalla più o meno tacitamente i rapporti omosessuali, o la corruzione dei giovinetti, porta a squilibri famigliari che sfociano addirittura nell’incesto, contribuendo a guastare ulteriormente la società stessa. Questo “uroboro”, non meno spaventoso della mostruosa Sfinge sconfitta da Edipo, agli occhi degli spettatori greci dell’epoca doveva illustrare catarticamente i pericoli dello scardinamento dell’unità famigliare, e del calpestamento dei suoi valori, tali da condurre alla disgregazione stessa del tessuto sociale. Pericolo da scongiurare a ogni costo.

Un approccio catartico che oggi, quasi tremila anni più tardi, dovrebbe mettere in guardia tutti quanti dalle attuali derive sociali e politiche che vedono la famiglia sempre più violata e minacciata dalla Hýbris di chi, ben più arrogante di chi voleva semplicemente scongiurare un nefasto vaticinio,  e ben più accecato dello stesso Edipo, vorrebbe andare contro la natura stessa piegandola ai propri desideri egoistici.