Risiko bancario: alla conquista dell’Est
di Diana Pugliese - 01/08/2006
Continua il dilagare nei ruoli chiave in Italia di uomini vicini alla Grande Finanza, intenzionata a estendere ulteriormente il suo controllo sull’economia europea e, in particolare, su quella orientale. L’approvazione del nuovo Statuto di Bankitalia ha aperto, infatti, la conquista delle poltrone ‘di secondo piano’ di Palazzo Koch, iniziata due giorni fa con le dimissioni del direttore generale, Vincenzo Desario, e la nomina del suo successore.
A prendere il posto del dirigente uscente, a partire dal prossimo 2 ottobre, sarà Fabrizio Saccomanni, uomo un tempo in forza a Via Nazionale come direttore centrale per le attività estere dell’istituto, poi ‘emigrato’ verso lidi - o meglio cariche - più ‘prestigiosi’.
Proprio grazie a questa strategica poltrona che ha avuto a lungo in Bankitalia, il dirigente ‘bocconiano’ con un master in economia monetaria e internazionale alla Princeton University è entrato in contatto con tutto i vertici del mondo bancario mondiale e le principali istituzioni economico-finanziarie europee e no, come il Fmi, la Bri, la Bei e la Banca Mondiale, presso i quali ha rappresentato a lungo Palazzo Koch.
Con la benedizione dell’allora ministro del Tesoro, del Bilancio e della P.A., Carlo Azelio Ciampi, che lo nominò al posto dell’attuale ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Scioppa membro del Comitato Euro e Coordinatore del Sottocomitato Finanza, Saccomanni partecipò a ‘traghettare’ la lira nell’euro, fino a quando nel febbraio del 2003 la Grande Finanza europea non lo invitò a svolgere mansioni più ‘utili’ altrove, assumendo a Londra la vicepresidenza della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, la Bers, costituita per la transizione al mercato dei Paesi dell’Europa centrale e orientale. Carica che ha mantenuto fino ad oggi.
La decisione di dare all’ex dipendente romano di Bankitalia il ruolo di dg non sembra affatto casuale. Tra gli altri incarichi ricoperti da Saccomanni, infatti, oltre all’esperienza alla Bers, figura anche quello di coordinatore del ‘Patto di stabilità’ dell’Europa sud-orientale, da dove ha contribuito alla ‘ricostruzione’ dell’area balcanica e alla creazione dell’area di libero scambio. L’obiettivo perseguito dal successore di Antonio Fazio, insomma, sembra essere quello di portare le banche italiane alla conquista del sistema bancario dell’Europa orientale, magari con operazioni simili a quella fatta tempo fa da Unicredit insieme a una banca tedesca. Tale fusione, tra l’altro, ha scaricato i licenziamenti necessari (chiamati ipocritamente ristrutturazioni) nel Paese conquistato, la Polonia, dove entrambi gli istituti erano molto presenti.
Non potendo competere con le più grandi banche europee e americane sul mercato occidentale, insomma, gli istituti italiani, a loro volta ‘prede’ ambite delle più grandi banche occidentali, puntano a trasformarsi in cacciatori e a ritagliarsi qualche fetta del debole sistema bancario dell’area ex sovietica. Questo mercato, secondo un recente studio proprio del Network di Ricerca New Europe di UniCredit, nei paesi “tradizionali” - esclusi cioè Russia, Ucraina e Turchia - è già controllato per il 78% dalle banche internazionali, che lo considerano un secondo mercato domestico. Vista la scarsa possibilità di ulteriore crescita nei Paesi tradizionali, a suscitare l’interesse dei grandi player e degli investitori sono proprio Russia, Turchia e, nel medio periodo, Ucraina, dove il processo di internazionalizzazione e privatizzazione è ancora agli inizi. In questa area, infatti, la presenza delle banche estere è ancora molto bassa (9% in Russia e 19% in Turchia) e il potenziale di crescita è decisamente superiore. Qualcosa di simile è già statofatto con i nuovi Paesi membri dell’Unione Europea, come Estonia, Slovacchia e la candidata Croazia, dove il controllo del mercato bancario da parte degli istituti stranieri è ormai quasi totale (rispettivamente 99%, 98% e 91%). Inutile dire che la Bers, con la sua politica di stimolo degli ‘investimenti’ e di liberalizzazione dei mercati, non può non aver contribuito al processo.
Anche le imprese italiane, dal canto loro, sono interessate a questi mercati dove hanno delocalizzato sfruttando i vantaggi competitivi offerti dal minor costo della manodopera e le banche italiane, come hanno detto chiaramente i nostri politici, devono ‘accompagnare’ le aziende in questo processo. Il governatore Mario Draghi però ha dovuto prendere atto, suo malgrado, che la moral suasion non funziona con gli istituti di credito italiani. Come era già evidente al suo predecessore, infatti, non è facile spingere le banche dello Stivale ad aggregarsi nonostante il rischio di essere prede dei grandi istituti esteri. Meglio quindi accompagnarsi con un dirigente esperto dell’area, capace di ‘consigliare’ e facilitare la conquista del far-est europeo. E per raggiungere questo scopo, il funzionario “di grande competenza e prestigio internazionale” Fabrizio Saccomanni, come Padoa-Schioppa lo ha definito, sembra essere per Draghi l’uomo giusto.