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Il fascino discreto dell’occidente

di Umberto Bianchi - Mario Grossi - 05/03/2014


Il testo seppur scorrevole e di taglio divulgativo non è così semplice come appare. A quali lettori hai pensato di indirizzarlo?

Il mio libro nasce con l’intento di offrire a tutti, indistintamente, degli spunti di analisi e di riflessione sull’intima natura dell’Occidente, al fine di iniziare quel necessario percorso di revisione critica dei fondamenti stessi del nostro modo di pensare. Senza questa premessa, non è assolutamente possibile effettuare alcun serio mutamento di rotta dell’odierno andazzo.

Sei d’accordo quando affermo che la tua è una vera “narrazione”?

Certamente. Nel portare avanti un certo tipo di “lectio” il libro si prefigge, anzitutto, di descrivere il percorso di una impostazione di pensiero che, come un fiume carsico, attraversa l’intera storia dell’Occidente dai suoi albori ad oggi. Un vero e proprio “fil noir” che invalida, contraddice ed irride a tutte le grandi narrazioni spirituali ed ideologiche che hanno improntato di sé l’intera vicenda occidentale. Difatti ad ogni grande confutazione ed asserzione, seguita da ovazioni, interessate accondiscendenze, codini adeguamenti, ne segue puntualmente una di segno opposto e contrario, che rischierà sempre di inficiarne il percorso ma che poi, finisce con il condizionare ed informare di sé, l’intero contesto considerato. Ed il mio libro è una narrazione ed una descrizione di questa particolare vicenda, fisiologicamente connaturata all’Occidente stesso.

C’è costantemente un’ospite scomodo che fa capolino nella lunga sequela di filosofi che hanno pensato e forgiato il pensiero dell’Occidente: il Nichilismo. Se questa da sempre è una delle cifre caratterizzanti l’Occidente, per noi che ne siamo permeati, forse non esiste via d’uscita?

Quello dell’essenza del Nichilismo e del problema del rapporto dell’Occidente con il Nulla, costituisce uno di quegli aspetti direi quasi “fisiologici”, costitutivi, dell’intera vicenda occidentale. Pensare di fare a meno o di poter eliminare con un colpo di bacchetta questa realtà è, pertanto, pura illusione ed è anche ingiusto, visto che uno tra gli aspetti del Nichilismo riguarda anche l’istanza volta all’annichilamento di uno “status quo” ingiusto e quindi la prospettiva di un ristabilimento o di una edificazione di un più giusto ordine di cose.

Evola, da te delineato in un capitolo, ha rappresentato per la destra radicale, dal dopoguerra in poi, un punto di riferimento. Non credi che il suo pensiero porti a quello che Tarchi ha definito “il mito incapacitante”?

Facciamo bene attenzione. Dalla lettura del mio libro si dovrebbe ricavare una piccola lezione. Un determinato enunciato di pensiero può essere interpretato, distorto o riletto in mille modi o, cosa ancor più portentosa, può flettersi, distorcersi, sino a  portare a conclusioni “altre” da quelle iniziali. Nel caso di Evola, bisognerebbe operare una serie di considerazioni, partendo dallo scenario umano e politico a cui si rivolgeva la sua riflessione. Secondo poi, bisognerebbe distinguere tra certi esegeti di Evola (i cosiddetti “evolomani”) che del “mito incapacitante”sono stati i fattivi responsabili e l’intero percorso di pensiero evoliano, progressivamente caratterizzato da una radicale tendenza alla contrapposizione al “mondo moderno” per valori, istanze, proposte, da me definita, giustappunto, pienamente “nichilista”, e pertanto, al pari delle istanze di un Marcuse, incompatibile con l’attuale modello occidentale.

Le continue dicotomie che creano la perenne contraddizione schizofrenica dell’Occidente che tu descrivi non credi che siano il succo vero di ogni speculazione filosofica?

Sì e no. E questo perché la filosofia così come noi la intendiamo, è frutto di un percorso tutto peculiare all’Occidente. Anzitutto, da noi la filosofia è frutto di una riflessione ingenerata da tre motivi mitici. In primis, quello rappresentato dal mito prometeico, ovvero il dono del fuoco della conoscenza, in grado di illuminare e pertanto offrire una completa rappresentazione della realtà. Secondo poi, il mito della Sfinge tebana, ovverosia, il continuo e pressante stimolo alla riflessione sull’intima essenza delle cose. Terzo, l’Odissea, ovvero la conoscenza come viaggio attraverso vari stadi della realtà. Su questi tre motivi mitici, si andrà ad incardinare la primigenia contraddizione ingenerata dall’assolutismo dell’asserzione parmenidea sull’Essere ( il cosiddetto “principio di non contraddizione”), seguito dalle enunciazioni in tal senso della più tarda filosofia platonica, (in particolare nel dialogo “Il Parmenide”). La filosofia da noi nasce, dunque, come riflessione in grado di interrogarsi sull’essenza della realtà, andando al di là dei limitanti assiomi posti dai corpus dottrinali delle religioni istituzionali e proseguendo, nei secoli, in un crescendo di aporie e contraddizioni. In Oriente, (in India in particolare), la riflessione si svolge invece tutta all’interno della religione, come dimostrato dalle Upanishad o dalla stessa riflessione buddhista, tutte coeve a quel sistema di pensiero chiamato “Arja Dharma”. Pertanto qui si dovrà parlare di “teosofia”. Diverso il caso della Cina, dove l’intera riflessione filosofica, anche se apparentemente distaccata dalle linee guida della religione, è invece incentrata su una dimensione prettamente comunitaria, travalicante la sfera umanistica che invece caratterizza molta parte della riflessione occidentale. E questo anche nel caso del contrasto tra l’etica del confucianesimo e l’immanentismo (comparabile al parmenidismo) di Lu Tzu e del suo Taoismo.

Non credi che sia il “dubbio”, se ben interpretato, il vero motore che ha permesso all’Occidente di sviluppare un percorso di pensiero, magari schizoide, ma gravido di conseguenze (e molte di queste positive)?

Certo. Dovrebbe essere così. Invece da noi il dubbio è servito per sfasciare e mettere in discussione tutto, o quasi , ciò che avevamo di positivo, in termini di valori, ideali, stili, lasciando invece posto a quella che il buon Berto Ricci avrebbe senza dubbio definito come “la civiltà del maiale”, tutta imperniata sulla spietata mercificazione dell’intera realtà, costretta a prostrarsi al Monoteismo del Verbo Unico della Tecno Economia, all’insegna della quale stiamo conducendo il mondo intero sulla china di una catastrofe ecologica senza precedenti. Con il senno del poi, ho la vaga impressione che gli ateniesi non avessero proprio tutti i torti ad emettere la sentenza di morte contro colui che, per primo, aveva istillato il dubbio sull’esistenza degli Dei ( e su ciò che essi rappresentavano…), e cioè Socrate.

Non pensi che le coppie Essere e Divenire, Razionalismo e Irrazionalismo, Dioniso ed Apollo, siano i mattoni che sono alla base del Mondo come lo percepiamo e che è necessario evitare di demonizzarli a turno nel tentativo di trovarne una sintesi proficua?

Nel mio precedente “Alle Origini della Globalizzazione-Per una revisione del pensiero” ero arrivato proprio a questa conclusione: e cioè a quella della necessità di una nuova sintesi di pensiero, in grado di assommare in sé tutte le contraddizioni che caratterizzano il percorso dell’Occidente. In questo testo però, sono voluto andare un po’ oltre. Oltre a descrivere un tortuoso percorso di pensiero, attraverso una serie di esempi descritti in ordine cronologico, sono voluto arrivare ad una precisa conclusione. Di fronte ai contrasti, alle contraddizioni ed alle insensatezze dell’Occidente, di fronte al continuo e terrorizzante spalancarsi della dimensione del Nulla davanti alle nostre fragili certezze, esiste una sola soluzione. Riprendendo l’antica intuizione induista, sulla possibilità di superare il bene ed il male se animati da virtù, ripercorrendo la strada dei primi Sofisti, passando attraverso i Nominalisti dell’Evo Medio, riprendendo lo spirito dell’Umanesimo Rinascimentale, sino ad arrivare a Nietzsche ed ai Vitalisti, l’unica soluzione è prendere la realtà nel suo complesso ed adeguarla a noi, ovverosia fare delle Idee, della dimensione trascendente, una proprietà intrinseca alla dimensione immanente. E questo per non ricadere nell’equivoco del materialismo storico che, togliendo qualsiasi valenza divina e soprannaturale alla materia, ha spalancato la strada all’astrattismo, relegando la dimensione ideale ad una dimensione di inconsistenza e spalancando così la strada all’avvento della mercificazione dell’uomo e dell’Essere.