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Il Dio Clitumno. Un luogo risparmiato dalla violenza moderna

di Luca Leonello Rimbotti - 02/08/2006



Anord di
Spoleto, alimentato
da
acque sorgive
che scaturiscono
da un lembo
di terra ai piedi del monte Campello,
scorre il fiume Clitumno. Ma
non è solo uno spicchio di natura,
se pure oggi risparmiato dalla volgare
violenza della modernità. In
realtà, si tratta di natura sacra.
Anzi, il fiume stesso è un dio. È il
caso tipico del genius loci, quando,
cioè, in taluni luoghi naturali - un
bosco, una fonte, un fiume, una
grotta - il paganesimo credeva
celarsi le energie misteriose della
natura, geni e anime cosmiche che
tutelano speciali rifugi del sacro.
Entità mistiche, spazi divini. Il fiume
Clitumno fu oggetto di devozione
forse per gli Etruschi, certamente
per gli Umbri, una delle più
fiere e compatte stirpi italiche. Il
suo nome, da taluni creduto etrusco,
viene considerato di origine
umbra e alla fine sorto dalla corruzione
di inclytus
amnis, cioè “fiume
insigne”. Esso rivela
assonanze precise
con altri toponimi
della zona, come il
famoso Ipogeo dei
Volumni, non lontano
da Perugia. In
seguito, i Romani
fecero del rivo un’emanazione
del loro
dio sovrano. E fu
Giove Clitumno,
Clitumnus Umbriae, ubi Juppiter
eodem nomine est, come recita
un’antica epigrafe: «Il dio Clitumno
dell’Umbria, che è chiamato
anche Giove». Un arcaico dio
umbro latinizzato, dunque, e da
Roma assunto nel pantheon minore
dei numi locali.
Le acque, in antico spesso oggetto
di divinizzazione, richiamano il
simbolo della purezza, della virginea
trasparenza. Esse sono la limpida
sostanza da cui traluce l’ulteriore,
il mondo delle vite invisibili.
Come uno specchio, le acque
nascondono mondi di arcana e inesplorata
profondità metafisica. E le
Fonti del Clitumno, in prossimità
del borgo di Pissignano (piscina
Jani, la polla di Giano), proprio
accosto alla via Flaminia che corre
verso Foligno, formano un laghetto
di straordinaria suggestione. Qui, in
questo recinto di muta bellezza,
sopravvive certamente un dio ancestrale.
Lo si sente con chiarezza.
Chiunque abbia ancora vivo il senso
religioso del nume avverte che
non si è in un posto normale, ma in
un concentrato tellurico di occulte
energie. Tra salici piangenti,
ombrose sinuosità, ponticelli e verdi
isolette, in un’atmosfera di calma
sospesa, davvero si percepisce
la sostanza della fede pagana nella
divinità della natura. Quel perduto
rispetto che gli antichi avevano per
la solennità di speciali posti, raccolti
in magico silenzio.
Le vene sorgive che danno vita a
numerosi ruscelletti compiono il
loro capolavoro nella meraviglia
naturalistica delle Fonti: qui il Clitumno
crea una fantastica oasi lacustre,
circondata da filari di pioppi,
da frassini, gelsi, cipressi. Una ricca
vegetazione acquatica e la presenza
del cigno nobilitano questo quadro
d’altri tempi. Ben conosciuto dai
Romani, questo luogo di magica
evocazione vide il sorgere, a poca
distanza dalle Fonti, di un tempietto
dedicato al dio Clitumno, ancora
oggi visibile. Era la consacrazione.
E i poeti latini non tardarono a cantare
tanta armonia, tanta dolce e
riparata suggestione. A cominciare
da Virgilio che celebrò queste acque
e i pascoli del luogo che davano
nutrimento ai buoi da condurre al
sacrificio. Properzio ribadì la leggenda,
confermata dal naturalista
Plinio, che le acque del Clitumno
conferissero ulteriore candore al
bianco mantello dei buoi che ad
esse si abbeveravano. Molte voci
cantarono la magia del luogo: da
Stazio a Giovenale, fino a Claudiano
che ne sancì la portata di lavacro
atto a purificare la vittoria e i trionfi:
«Le onde del Clitumno, sacre ai
vincitori, che ai trionfi romani
offrono candidi armenti». È Svetonio,
inoltre, a raccontarci di come
l’imperatore Caligola in persona
consultasse l’oracolo del dio Clitumno,
riportandone il verdetto di
guardarsi dai nemici e di rinsaldare
l’alleanza con il popolo germanico
dei Batavi, a garanzia dei confini
dell’Impero.
Questo umile luogo era pertanto per
i Romani uno spazio di grande
fascino, ma anche di occulta potenza
ultraterrena, legata ad annunci di
vittoria.
Il nume era ritenuto divinità profetica,
il dio Clitumno aveva fama di
infallibile oracolo, le Feste Clitumnali
si celebravano il primo di maggio
presso il tempio delle Fonti,
iscrizioni romane provano la rinomanza
del dio e attorno alla polla
sorsero tempietti e si alzarono simulacri
rivestiti di toga pretesta bianca
orlata di rosso, alla maniera etrusca.
Ancora oggi, al Museo di Spoleto
esiste un manufatto in argilla, risalente
al VII secolo a.C., ritenuto
esemplare arcaico di uno degli idoli
che recavano l’effigie del dio Clitumno,
una piccola testa dalla bocca
dischiusa, in attitudine oracolare,
che serviva a scopi rituali.
Scosso da vari terremoti nel corso
dei secoli, il luogo non perse il suo
potere incantatore. E fu anche visto
come una di quelle rare plaghe in
cui il mondo pagano legato alla
natura si era ritirato dopo l’avvento
del Cristianesimo. Lord Byron, nel
corso del suo “grand tour” italiano,
non mancò di soffermarvisi,
cogliendone appieno il valore di
intoccato misticismo. Nel suo “Pellegrinaggio
del giovane Aroldo”
celebrò la manifestazione del Genio
della Natura, ancora ben visibile ai
suoi occhi: «Ma tu, o Clitumno!
Dalla tua dolcissima onda del più
lucente cristallo che mai abbia
offerto rifugio a ninfa fluviale…».
Poeta pagano, Byron invitò ogni
viandante a non oltrepassare, senza
benedirlo, il Genio del Luogo. E
uguale incantesimo riconobbe il
Carducci quando, nel 1876, passò
di qui in carrozza, e subito volle
fermarsi, vedere,
farsi spiegare.
Quel geniale vate
dell’Italia unita,
nella quale vedeva
l’erede naturale
di Roma, non
poteva non dire la
sua parola su un
tale vivente spaccato
di arcaica
paganità. E ne
fece uno scrigno
delle glorie delle
nostre stirpi: «Salve, Umbria verde,
e tu del puro fonte nume Clitumno!
Sento in cuor l’antica patria e aleggiarmi
su l’accesa fronte gl’itali
iddii».
Cantando il Clitumno come “testimone
di tre imperi” e della lotta di
Italici, Etruschi e Romani, il Carducci
immaginò che, proprio partendo
da un luogo simile, carico di
fato, l’epica storia del nostro popolo
sarebbe giunta sino ai «segni fieri
di Roma». Roma nata dal cuore
ancestrale della civiltà italica. Sarà
stato anche massone, ma il Carducci
colse con grandezza di poeta il
fulcro di una vicenda che storici e
antropologi sanciscono con la loro
“scienza”. La nostra civiltà è sgorgata
come limpida fonte dalle pieghe
più intime della nostra terra e
delle nostre genti più antiche. E il
Clitumno, “nume indigete” e simbolo
di autoctonìa, con le sue acque
tranquille e sognanti, è in realtà un
dio della terra che custodisce la
nostra identità. L’oracolo oggi è
muto, ma noi vogliamo pensare alle
Fonti del Clitumno come a ciò che
furono in origine: un simbolo di
purezza. Sarà certo l’ultimo, tra i
luoghi che ancora proteggono la
nostra identità, così antica, così
sacra, ad essere contaminato dall’aggressione
mondialista.