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Pura coscienza

di Prakasha - 02/08/2006


La scienza spesso inizia con il presupposto che la mente, come la coscienza, è in qualche modo il risultato dell'attività cerebrale. Al contrario, lo yoga spesso considera sia la mente che il cervello - ma, in ultima analisi, tutta la materia - come pura coscienza . La differenza fra i due punti di vista può non essere così grande come appare all'inizio.

Scienza e yoga: un’indagine particolare sulla mente

«Cos’è la mente?», chiede lei con il suo solito, penetrante sguardo fisso.

Faccio un respiro profondo e comincio a pontificare esaurientemente sulla mia ultima teoria: «Il modo in cui la vedo è che il cervello è come una radio ricevente che funge da risonatore per localizzare parzialmente un “campo della coscienza” più ampiamente variato…».

Alla fine della mia elaborazione, lei mi guarda a metà tra l’interessata e la divertita: «Continua a fare analogie», mi dice, «ma non prenderle così seriamente».

Questo accadde quindici anni fa, durante un incontro con la mia insegnante spirituale, una donna che, con il suo interesse sulle intersezioni tra lo yoga e la scienza, mi ha stimolato a esplorare ulteriormente questo argomento. Ora, invece di cercare d’intrappolare la mente dentro un particolare punto di vista, sto tentando di aprirla per me stesso. Offro questi bagliori di ciò che la mente potrebbe essere, usando contemporaneamente la scienza e lo yoga.

Cervello-mente-coscienza

La scienza spesso inizia con il presupposto che la mente, come la coscienza, è in qualche modo il risultato dell’attività cerebrale. Al contrario, lo yoga spesso considera sia la mente che il cervello – ma, in ultima analisi, tutta la materia – come pura coscienza che si è progressivamente differenziata prima in soggetto e oggetto, poi in forme più complesse, ma di numero limitato. La differenza fra i due punti di vista può non essere così grande come appare all’inizio. Poiché sono in grado di trasformarsi l’una nell’altra, la materia e l’energia non possono essere realmente differenti, quindi in entrambe le ipotesi la materia deve contenere l’essenza della coscienza, e la coscienza l’essenza della materia.

Nell’uno e nell’altro caso, la mente occupa una posizione intermedia tra il cervello e la coscienza, fungendo da ponte tra i due. Molti yogi considerano la mente un tipo particolare di organo sensoriale, non dissimile da un occhio o da un naso, che interpreta e seleziona i dati da proporre alla coscienza. Questi dati possono venire dai sensi, da sorgenti interne quali la memoria, l’immaginazione e il sentimento, o da altre, più misteriose, fonti. Nel versante della coscienza c’è un centro della volontà che può emettere comandi e, se lo vuole, dirigere l’attenzione. Il versante dell’inconscio è un vasto territorio pieno d’intuizioni, ispirazioni, immaginazioni, spazzatura non elaborata e vecchi programmi; in esso vi è anche, secondo la mia esperienza, una connessione molto profonda con un mondo più integro e completo.

Dov’è la mente?

Le moderne tecniche topografiche quali la “Functional Nuclear Magnetic Resonance” (fNMR) [la risonanza magnetica nucleare funzionale] e la “Positron Emission Tomografy” (PET) [la tomografia d’emissione positronica] sono oggi in grado di rilevare approssimativamente l’attività del cervello con una risoluzione di circa un millimetro. La mappa del cervello è stata realizzata anche osservando quali funzioni vanno perdute durante un ictus o altri traumi, oltre che misurando l’attività dei singoli neuroni con fili elettrici molto sottili. Grazie a queste tecniche si è scoperto che aree specifiche del cervello entrano in funzione per l’elaborazione di dati specifici. Per esempio, la maggior parte delle informazioni visive viene elaborata sulla superficie del cervello nella parte retrostante della testa, mentre il linguaggio è elaborato principalmente nel versante sinistro più esterno del cervello. Più in profondità, al centro del cervello, appena sopra la cima della spina dorsale, si trovano delle strutture preposte a mediare emozioni di base quali la paura, la rabbia, il piacere, oltre che a fungere da centro di immagazzinamento per certi tipi di memorie. Mentre esistono delle prove su dove siano immagazzinati ricordi a breve e medio termine, le ricerche sono ancora vane nel determinare dove potrebbero essere localizzati i ”ricordi di una vita”.

La maggioranza delle parti identificate del cervello elaborano e analizzano dati provenienti dai sensi, immagazzinandoli momentaneamente in un gran numero di sedi. Per esempio, il suono di una parola e il suo significato sono immagazzinati in luoghi diversi, così come il colore e la forma di un oggetto. Allo stesso modo l’odore, la forma, la sensazione, le associazioni emotive, etc. di un fiore sono immagazzinati in luoghi distinti; a questo punto nessuno capisce in che modo essi possano riunirsi a formare la percezione unificata che sembra caratterizzare la nostra mente. Questo è ciò che viene definito il “problema dei legami”.

Secondo una teoria, i neuroni associati a un particolare oggetto riescono, in qualche modo, a stimolarsi sincronicamente l’un l’altro, usando un modello caratteristico d’impulsi elettrici: ciò è simile al modo in cui i telefoni cellulari comunicano tra loro. A questo proposito esistono delle prove riguardanti semplici casi di elaborazione di dati sonori, ma in realtà non è chiaro cosa faccia assumere a dati frammentari una forma significativa. A complicare il problema c’è il fatto che la maggior parte dell’attività elettrica nel cervello sembra un rumore senza senso la cui unica funzione è costituire un ronzio di sottofondo alquanto assordante. La mia personale ipotesi è che sia questo rumore stesso, echeggiante e riecheggiante attraverso i circuiti del cervello, a vagliare i disparati elementi della percezione connettendoli in unità, come la risonanza prodotta da un’orchestra quando le sue innumerevoli note riecheggiano attraverso una sala da concerto.

Un altro approccio è chiedersi se c’è una parte del cervello che sia essenziale alla coscienza. La risposta è sì. In modo sorprendente, tuttavia, essa non è il proencefalo, anche se quest’ultimo si è molto ingrandito negli esseri umani con l’evolversi della loro mente. È possibile rimuovere porzioni notevoli di quest’area arrecando un danno molto piccolo alla mente. Invece, la parte essenziale alla coscienza sembra essere una struttura chiamata talamo, posta esattamente in cima al tronco cerebrale; da un punto di vista evoluzionistico, il talamo è una delle parti più antiche del cervello. Esso sembra una zona centrale di commutazione relativamente semplice dove si riuniscono gli stimoli provenienti da svariate parti del cervello. Dubito che il talamo contenga dei neuroni che siano in qualche modo coscienti di se stessi. Più probabile è che la perdita del talamo disgreghi un’elaborazione globale coerente all’interno del cervello e forse oltre il cervello stesso.

Al momento presente, tutte queste aree sono oggetto di ricerche accurate. Il mio sospetto è che, nel tentativo di localizzare la coscienza, gli scienziati saranno costretti ad ammettere che quest’ultima non può essere limitata a un particolare luogo o tempo, né può essere contenuta all’interno del cervello, come appunto gli yogi sostengono da tempo.

Se chiedi a uno yogi, in particolare a uno yogi del Kashmir, dove si trova la mente, lui o lei forse risponderà, in modo piuttosto ellittico, che puoi trovarla nella “Città degli Otto” (Purya.s.taka). Come una città fisica, la Città degli Otto è un luogo dove un modello complesso, auto-sostenentesi di energie si riunisce per scopi specifici; in questo caso, per fornire un veicolo abbastanza localizzato grazie al quale la coscienza può agire con più concentrazione di quanto non sarebbe possibile altrimenti.

Gli otto componenti di questa città sono le buddhi, le aha.mkara, le manas e le cinque tanmatras. Questi termini sanscriti esprimono precisi concetti yogici che sfortunatamente non hanno concise o esatte traduzioni in inglese. Essi corrispondono tutti a specifici poteri dinamici, più che a oggetti statici.

Molto grossolanamente, la buddhi è “l’intelletto; l’intelligenza discriminante, talvolta la mente più elevata; la mente sovrapersonale; l’aspetto intuitivo della coscienza grazie al quale il Sé essenziale si risveglia alla verità” [Vijnanabhairava, J. Singh, tr.,p.156]. A differenza della coscienza pura e senza limiti, la buddhi è capace di riflettere su oggetti specifici, sia esterni – come un fiore percepito dall’occhio – sia interni, come le immagini create da impressioni e ricordi precedenti.

Aha.mkara significa letteralmente “l’io fautore”. Ha il potere attivo, progressivo, di fissare il senso generale del sé (“Io sono”) implicito nella coscienza di oggetti specifici: “Io sono il mio corpo”, “Io sono il mio lavoro”, “Io sono i miei ruoli e relazioni”. In questo modo si creano continuamente molti grandi, piccoli ego e aspetti della personalità, che vanno poi ad abitare nella Città degli Otto. Il fatto che ognuno di essi reclami spazio e attenzione crea una frammentazione dell’energia della coscienza, come un vortice nel fiume che in certe occasioni diventa instabile e si rompe in molti vortici minori, ognuno ruotante sul suo stesso centro.

Manas è comunemente descritta come il senso interno o la mente empirica. “Coopera con i sensi nel creare la percezione, e da sola, crea immagini e concetti” [Siva Sutras, J. Singh, tr., p. xxviii].

Le cinque “tanmatras “ sono gli elementi fondamentali della percezione, corrispondenti a ognuno dei sensi. Letteralmente “tanmatras” significa “quello solo”. Le tanmatras incarnano la natura essenziale del suono, della luce, del tatto, del colore, dell’odorato, etc. Hanno il potere di assumere forme e modelli specifici, ma sono intrinsecamente indipendenti da essi.

La Città degli Otto viene considerata un corpo sottile solitamente associato (ma non identico) al corpo fisico. Secondo gli yogi del Kashmir, è il veicolo con il quale l’anima abbandona il corpo al momento della morte.

La mia insegnante usava spesso la suddetta analogia della coscienza come un “vortice d’energia” che sopravvive alla morte del corpo fisico. Io mi raffiguro ciò come uno di quei gorghi o vortici che spesso si formano intorno a una grande roccia in un torrente che scorre con rapidità. Finché c’è la roccia, il vortice resta, anche se l’acqua l’attraversa costantemente. Se la roccia viene rimossa, il vortice comincia a muoversi per conto suo e può resistere per un periodo di tempo sorprendentemente lungo prima di attaccarsi ad un’altra roccia o scomparire di nuovo nella corrente. In tutti i casi, la natura essenziale dell’acqua, che qui rappresenta la coscienza pura, resta la stessa.

Pianificare una mente

I computer moderni stanno raggiungendo un livello grazie al quale la potenza di un portatile come un iBook è all’incirca uguale alla capacità di calcolo del cervello di un insetto non particolarmente intelligente. Uno dei miei colleghi sta cercando di creare un computer sul modello degli effettivi circuiti neurali di tale piccolo cervello, per poi usarlo al fine di studiare le proprietà di una “mente” elementare. Basandosi su una ricerca preliminare correlata, egli ha osservato che tali semplici circuiti, chiamati reti neurali, possono prontamente codificare tendenze generali e correlazioni (per esempio, stereotipi, ma anche un tipo limitato di “intuizioni”), ma ha difficoltà nel compiere analisi logiche o simboliche. Come gli insetti reali, tendono a bloccarsi in schemi abituali o istintivi, simili a una falena che si tuffi ripetutamente nella luce.

Per me, una domanda di particolare interesse è come un tale sistema possa reagire a perturbazioni esterne piccole, ma di durata ben definita. In altri sistemi non lineari, più semplici, segnali simili sono riusciti a controllare il comportamento generale del sistema. Tali studi, sebbene molto semplicistici, possono offrire indizi su ciò che accadrebbe portando “menti” diverse (o diverse parti di una stessa mente) in risonanza l’una con l’altra.

Paragonato a questi tentativi alquanto grossolani di pianificare fisicamente la mente, l’approccio yogico conduce nell’immediato a complessità e sottigliezze – sentimenti quali la gratitudine, l’amore e la compassione, facoltà quali l’intuizione e la volontà – che vanno ben oltre tutto ciò che è stato chiaramente identificato nel cervello. La mappa che mi è più familiare è quella del Kundalini Yoga: essa descrive le forze mentali in gioco come un preciso sistema di simboli visivi organizzati all’interno di elementi simili a ruote chiamati chakra. Un sistema assai vicino è molto usato dai Buddisti Tibetani e, fatto notevole, uno simile fu sviluppato indipendentemente dagli indiani Hopi del Nuovo Messico molto tempo prima di Colombo.

Questi simboli illustrano allo stesso tempo sia i vari livelli della mente-coscienza sia le loro relazioni, coprendo la gamma che va dalle più grezze forze istintive alla mente illuminata. Come gli abitanti della Città degli Otto, con i quali sono in relazione, i chakra non sono concetti statici, ma energie dinamiche che è possibile sperimentare direttamente.

Per scoprire i significati e le dinamiche del sistema Kundalini, gli individui devono osservare, riflettere e applicare le loro intuizioni alla vita quotidiana. Personalmente, ho trovato questo approccio molto fertile e di grande aiuto. Lavorando con questo sistema, mi è divenuto chiaro che tutti i livelli sono sempre presenti e operano insieme. Non possiamo semplicemente eliminare i livelli inferiori per creare quelli più elevati, ma dobbiamo desiderare ed essere in grado di scegliere a quali forze permettere di controllare la mente.

Per assistere gli studenti in ciò, lo yoga offre un’ampia serie di pratiche spirituali che includono il canto dei mantra, l’Hatha Yoga e gli esercizi di respirazione, la riflessione, la concentrazione e varie forme di meditazione. La mia esperienza con queste pratiche mi ha persuaso che la mente possiede dei poteri che normalmente non uso o ai quali non faccio nemmeno attenzione. In realtà, sono stato costretto ad abbandonare alcuni dei miei comodi preconcetti scientifici sui limiti dell’esperienza e della percezione. E più studio la mente, più comprendo che sono appena agli inizi.

Cos’è la mente?

Gli insegnamenti Dzogchen usano due analogie fondamentali riguardo la mente e la sua natura: “Le onde e l’oceano nel quale si muovono” e “Il cielo e le nuvole che vi compaiono e scompaiono”.

Se consideriamo la Mente come un oceano, potremmo affermare: «L’oceano non può mai essere definito dalle onde che rotolano senza fine sulla sua superficie. È possibile studiare le onde all’infinito senza avvicinarsi a una definizione dell’oceano. Tutto quello che si può dire è che le onde si manifestano nell’oceano e che sono illimitate nelle loro forme. Quando non cercheremo più di definire l’oceano partendo dalle sue onde, comprenderemo che queste ultime e gli oceani sono indivisibili. L’oceano non richiede una definizione, tuttavia le onde lo ornano costantemente con le loro temporanee definizioni».

Se consideriamo la Mente come un cielo, potremmo dire: «Il cielo è vasto e al di là di ogni confine. All’interno dello spazio libero del cielo c’è moto senza fine. Le nuvole appaiono e scompaiono. Appaiono dal cielo ed evaporano di nuovo in esso. Il cielo non è influenzato dalle nuvole che vi si manifestano, nemmeno quando è completamente coperto e sembra che il suo blu infinito non esista. Che noi lo si veda o meno, il cielo resta dov’è, inalterato da ciò che sembra ostruirlo. Potremmo prendere il cielo ad esempio dello stato di perfezione, e tuttavia non è nella natura del cielo essere senza nuvole».

Ngak’chang Rinpoche e Khandro Déchen     

Prakasha possiede un Ph.D. in Fisica dell’Università della California a Berkeley. Ha lavorato per più di 28 anni nel Dipartimento di Fisica al Lawrence Livermore National Laboratory dell’Università prima di andare prematuramente in pensione per studiare a tempo pieno lo yoga e la relazione di quest’ultimo con la Fisica.         

  

Copyright originale Ascent magazine www.ascentmagazine.com, per gentile concessione.
Traduzione di Nityama Elsa Masetti. Revisione di Gagan Daniele Pietrini.
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