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L’allucinazione della modernità

di Antonello Colimberti - 25/04/2014

Fonte: Europa


Un saggio di Pier Paolo Dal Monte ripercorre la critica al nostro modello di sviluppo
L’allucinazione della modernità

«Per trascendere il mondo bisogna che il mondo ci sia, per attingere il soprannaturale è necessario che ci si rappresenti il naturale. Perciò le due mediazioni preliminari a ogni conoscenza mistica saranno prima la critica del bisogno falso, del consumo coatto, della repressione della natura, poi la configurazione della propria vita nell’ordine anteriore alla modernità».

Quando, oltre mezzo secolo fa, Elémire Zolla scrisse queste parole pochi ne colsero le profonde valenze e risonanze, essendo l’epoca ancora piena di attardati fedeli del Progresso, celebratori dell’Inarrestabile Marcia dei Tempi. Quell’occasione mancata torna oggi a riproporsi con il voluminoso studio, erede della critica radicale zolliana, pubblicato da Editori Riuniti con il titolo L’allucinazione della modernità.

L’autore è Pier Paolo Dal Monte, figura di medico-filosofo d’altri tempi, che, dopo una vita spesa nella realizzazione di brevetti in campo chirurgico e nella divulgazione delle tecniche correlate, ha deciso, secondo le indicazioni di James Hillman, di passare alla diagnosi e cura del corpo sofferente del mondo.

Per Dal Monte, infatti, da ormai più di quattro secoli siamo in presenza di una vera e propria malattìa, che presenta tutti e caratteri di un’allucinazione collettiva «che ci fa considerare reale e coerente l’universo astratto in cui viviamo, e le arbitrarie norme che lo regolano. Il risultato fattuale di questa visione è il Leviatano tecnico-economico che conosciamo oggi, la cui potenza sta divorando la Terra».

A chi desideri strapparsi a questa ruota di dannati in cui siamo tutti immersi, consapevolmente o meno (ma per lo più inconsapevolmente), l’autore potrà dare utili suggerimenti, non solo ripercorrendo, con l’ausilio di autori quali Günther Anders, Hannah Arendt, Jacques Ellul Lewis Mumford e soprattutto l’Adorno e l’Horkheimer di Dialettica dell’illuminismo, i veri e propri “complessi psicologici”, primi fra tutti quello dell’Economia e quello della Scienza e della Tecnica, che informano di sé ogni aspetto della vita dell’uomo, ma ricordando che, se la modernità è il prodotto di un’allucinazione collettiva, da essa ci si può salvare solo con un correlativo atto di immaginazione cosmopoietica, come recita l’ultimo capitolo, vera imaginatio, in cui il ritorno ai principi primi non implica alcuna ricreazione di condizioni di vita esteriori di epoche passate, ma piuttosto consente il ritrovamento di quel mundus imaginalis, intermedio fra la materia e lo spirito, dal quale origina la conoscenza omniumana che nella storia dell’uomo si è manifestata in varie forme e sotto diversi nomi: metafisica, tradizioni sapienziali, religioni, filosofia.

E qui il “naturale” si apre al “soprannaturale” (lo zolliano “stato mistico come norma dell’uomo”): «Perché la storia può continuare solo se l’uomo si muove verso l’alto. Altrimenti sarà la “fine della storia”: l’umanità di estinguerà, non a seguito di cataclismi, ma perché la sua esistenza non avrà alcun senso».