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“Torna a letto, America. Da quando la mediocrità e la banalità sono diventati un buon esempio?”

di Claudia Grazia Vismara - 25/04/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Il suo approccio contro-culturale vive di una satira cruda, a tratti sboccata, tanto divertente quanto terribilmente attendibile. Il consumismo, il patriottismo americano, la politica, il capitalismo, il fondamentalismo, sono i soggetti preferiti che decostruisce senza pietà davanti al pubblico, senza abbandonare mai il principio di una opinione acquisita attraverso l'analisi intellettuale.

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Intellettuali e filosofi sono spesso raffigurati come abitatori di accademie o di prestigiose università. La consueta – e triste – procedura di “produzione” e di sentire comune, vede la tendenza generale di credere che l’educazione d’élite ne produca necessariamente un’altra che sia altrettanto colta per posizione sociale e benessere economico. Non è sempre così, poiché un vero genio traspare indipendentemente dalla posizione sociale o dalla storia familiare. William Melvin “Bill” Hicks è uno di questi.

Nato in Georgia nel 1961, in tenera età si trasferisce in Texas, a Houston, la città della NASA. I genitori sono di fede battista e il bimbo riceve una severa educazione che ben presto comincerà a stargli stretta. Inizierà molto presto, durante l’adolescenza, a cimentarsi con la stand-up comedy, che gli permetterà di dare libero sfogo alla propria creatività. Questo particolare tipo di spettacolo è prettamente americano e ha poco a che vedere con il nostro cabaret e con la satira politica, in quanto la comicità espressa assume un ruolo sociale che per molti versi è lo strumento, non il fine. Il “commediante”, dunque, sale sul palco e, munito soltanto del proprio microfono, parla al pubblico. Sebbene egli abbia scelto l’umorismo come mezzo di comunicazione, la qualità e il contenuto del suo lavoro debbono essere descritti come la presentazione di una filosofia profonda e penetrante. Come i filosofi dell’antica grecia, così Bill Hicks da voce alla sua retorica.

Il consumismo, il patriottismo americano, la politica, il capitalismo, il fondamentalismo, sono i soggetti preferiti che decostruisce senza pietà davanti al pubblico, senza abbandonare mai il principio di una opinione acquisita attraverso l’analisi intellettuale. La denuncia della decadenza della cultura, americana e non solo, viene ribadita in tutte le sua apparizioni (“Da quando la mediocrità e la banalità sono diventati un buon esempio per i vostri figli?”) così come la sistematica destrutturazione dei messaggi ingannevoli di media e di pubblicità, che tra l’altro detestava. Faceva riflettere su molte delle questioni che ancora oggi animano il dibattito quotidiano: separazione tra Stato e Chiesa, aborto, omosessuali, legalizzazione delle droghe, sesso, guerra. Ad ogni modo, le idee riguardo il sistema americano erano molto critiche ma, da buon cittadino statunitense cresciuto all’interno della “terra dei liberi”, la sua critica era la conclusione naturale di un libero pensatore, a conferma del cosiddetto ‘american way’. Amava l’America con le sue contraddizioni, sì, tuttavia amava ancora di più la libertà d’espressione, anche se significava bruciare la bandiera a stelle e strisce: “perché chi ha lottato per la libertà non l’ha fatto per una fottuta bandierina, ma per la libertà di poterla bruciare”. Durante uno dei tanti dialoghi tra sé stesso e i personaggi immaginari che metteva in scena, ha sottolineato come i caduti di guerra – fa riferimento alla guerra di Corea – non si sono sacrificati per la bandiera (la Patria), ma soltanto per permettere alle multinazionali di affacciarsi ai mercati asiatici, dove la manodopera costa di meno, in favore della chiusura delle fabbriche in terra americana. Stupido quindi venerare quel simbolo fasullo di imperialismo targato USA, propinato per mandare la gente a morire dall’altra parte del mondo. Nei suoi spettacoli ribadisce molto spesso che gli uomini sono nient’altro che pedine di un sistema che premia la mediocrità, la menzogna e, di conseguenza, l’infelicità. Il suo approccio contro-culturale vive di una satira cruda, a tratti sboccata, tanto divertente quanto terribilmente attendibile. La lingua è un coltello molto affilato – specialmente la sua! – e la parola, inoltre, è l’arma, molto antica, del pensiero che spaventa i colpevoli. Il linguaggio osceno è un “vecchio mestiere” che già Catullo e Aristofane adoperavano. Non è la parola, tuttavia, ad essere oscena, bensì l’oggetto. Ci sono vocaboli che, senza essere apertamente volgari, sono molto più insipidi rispetto ad altri che sono proibiti: guerra, lavoro, denaro, stato, pensione, famiglia, speranza. Oscena è la normalità di una vita divisa, che ci vede costretti ad essere dei superstiti.

Viviamo in un mondo che è interpretato sotto il profilo dell’utile; un’esistenza di massacri, di distruzione, di continua violazione delle leggi che l’uomo si è dato. La politica, come Bill Hicks ha sempre sottolineato, non può essere considerata un fatto ovvio. Ad oggi, ogni tipo di unificazione che tenta di dare è un dogma che intende imporsi facendosi valere con la violenza. Egli ne era consapevole, al punto da avere una comprensione molto toccante e lucida del coinvolgimento degli USA nella vicende estere, specialmente del modo in cui veniva utilizzato l’esercito per creare un cambiamento di regime. Non a caso, fu praticamente l’unico fra i comedian americani ad attaccare gli Stati Uniti per il loro ruolo nella prima guerra del Golfo. Nel 1992 gran parte della sua produzione venne incentrata sulla sconfitta di George Bush senior alle elezioni presidenziali, in seguito al suo successo nell’invasione del Kuwait. Disse di non aver votato per Bush perché le amministrazioni repubblicane avevano sponsorizzato il “genocidio” di alcuni paesi del Sud America, a differenza dei media che avevano limitato la questione domandandosi se un nuovo presidente democratico avrebbe aumentato le tasse o meno. Quello che proprio non apprezzava era la superiorità esibita dagli Stati Uniti come dominatori del mondo, che si sono (auto)assunti il compito di missionari promotori della democrazia. E’ pur vero che un paese nato da una guerra di liberazione coloniale non può che pensare di essere destinato a ricoprire il ruolo di modello di libertà per il resto del mondo. “Se dobbiamo usare la forza, è perché noi siamo l’America: siamo la nazione indispensabile.” diceva Madeleine Albright, segretario di stato durante il secondo mandato di Clinton. Una frase che giustifica in maniera puntuale le posizioni in politica estera. E per Hicks, questo era terribile. Anche in America, dunque, si stava verificando la profezia di Nieztsche, quella del nichilismo metafisico, dove l’uomo non crede più in nessun valore – Nietzsche lo chiamava morte di Dio, la negazione di un fine ultimo, di uno spessore ontologico delle cose -.

Quella di Bill Hicks è una saggezza nel suo costituirsi come linguaggio. Era la voce del dissenso. L’impressione che si percepisce guardando i suoi monologhi è che fosse un uomo che si era istruito oltre i confini della propria cultura, il cui umorismo trascende la relatività. Amava definirsi un poeta e un agente di rivoluzione, il cui personale progetto era smuovere le coscienze dei cittadini. Ha sempre concluso, difatti, le proprie performances con una richiesta di giustizia sociale basata su sentimenti egualitari (anche nell’ultimo spettacolo registrato, Revelations, 1993). Spesso affermava che “il miglior tipo di comicità è quello che fa ridere le persone di cose di cui non hanno mai riso prima, e allo stesso tempo mette un lume negli angoli oscuri delle menti delle persone, e li porta alla luce”.  La stessa immagine che usa Denis Diderot per definire la filosofia: “lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce”.

Quando ridiamo delle sue battute, rafforziamo il nostro senso di legame comune della nostra situazione all’interno della postmodernità: la nostra fallibilità umana e la nostra inevitabile incertezza sulle questioni di valore in tutti i settori della vita vengono alleggerite attraverso la risata. Pochi hanno usato questo strumento di eccezionale potenza visionaria per disvelare la realtà di una società massificata e opprimente.

Bill Hicks morirà nel febbraio del 1994 a causa di un tumore al pancreas. Ciò che porta in eredità è proprio l’atteggiamento da Fantasma del Natale Futuro attraverso il quale è riuscito a sdoganare molti concetti che fino ad allora erano stati solo marginalmente toccati dal pensiero comune.