Quel che stupisce del filosofo Costanzo Preve è la prodigiosa prolificità. Nel dicembre del 2005 è uscito Del buon uso dell’universalismo (Edizioni Settimo Sigillo http://www.libreriaeuropa.it/), qualche mese fa Il popolo al potere (Arianna Editrice http://www.ariannaeditrice.it/, già recensito nel post dell' 8 marzo 2006), e ora Elogio del comunitarismo, per i tipi della casa editrice napoletana Controcorrente (controcorrente_na@libero.it ). E in autunno vedranno luce, di nuovo per le Edizioni Settimo Sigillo di Enzo Cipriano, un saggio consacrato al padre della ND, Alain de Benoist, e uno studio sull’antiutilitarismo hegeliano.
E quel che più sorprende, se ci si passa l’espressione, è che Preve non perda mai intellettualmente un colpo: i suoi libri sono sempre intriganti, diremmo ghiotti, ben pensati e nitidamente scritti, soprattutto se raffrontati con la cripticità (programmatica?) di certi testi cacciariani.
Ma veniamo a Elogio del comunitarismo. Se si scorre rapidamente il suo indice ci si accorge subito che il filosofo torinese non si occupa di tardi epigoni come ad esempio MacIntyre e Taylor, ma dei fondamenti filosofici del comunitarismo. Preve, come suo costume, va subito alle radici teoriche del problema, per poi “posizionarlo” metapoliticamente rispetto alle urgenze dell’oggi. Per farla breve: analizzando il comunitarismo di Aristotele, Hegel e Marx, fornisce gli strumenti intellettuali per comprendere limiti e inadeguatezze di molti comunitaristi “dell’ultima ora”, a destra come a sinistra. Ma non è questo il punto che qui approfondiremo. Quel che invece ci preme evidenziare è che Preve, come Augusto Del Noce, ragiona per essenze filosofiche: indaga il comunitarismo nella sua forma pura: come essenza. Vediamo in che modo.
In primo luogo, rifiuta qualsiasi distinzione tra comunità è democrazia: la comunità o è democratica o non è. E questo discende dal fatto che Preve intende la democrazia non tanto come dominio della maggioranze consenzienti quanto come rispetto delle minoranze dissenzienti. Sempre compatibilmente, come è ovvio, con la necessità della decisione politica, e di una ordinata gestione della cosa pubblica.
In secondo luogo, respinge la dicotomia comunità/società: la società ha bisogno della comunità e la comunità della società. Secondo Preve, senza una comunità prepolitica, non è possibile alcuna società. Di riflesso la funzione della politica diventa quella di facilitare la comunicazione tra due realtà. In che modo? Rafforzando i pilastri di quel ponte naturale, già esistente, come ha insegnato Aristotele, tra comunità e società: tra essere e dover essere. Ma come? Puntando sul sincero e stabile riconoscimento dell’altro: non solo come membro della stessa comunità di lingua e nazione (l’essere sociale), ma come membro di una comunità, la più ampia possibile, addirittura mondiale (il dover essere sociale), coniugando così democrazia, dialogo e rispetto delle diversità (religiose, politiche, culturali), in un quadro universalistico.
In terzo luogo, secondo Preve, Marx è un pensatore comunitarista. Anzi il massimo pensatore comunitarista... Per quale ragione? Perché Marx, recepisce il pensiero di Aristotele (l’uomo come essere sociale) e di Hegel (l’uomo come esito di un’ etica comunitaria), per tradurlo nel “comunismo”, come massima forma di comunitarismo: una realtà dove finalmente convergono socialità ed etica (essere e dover essere), come effetto di una crescente “messa in comune”, diciamo così, di sogni e bisogni. I primi legati alla creatività dell’uomo, i secondi alla sua condizione materiale e fisiologica.
Si potrebbe osservare quanto il comunitarismo “fenomenologico” di Preve, sia debitore dello stesso universalismo spontaneista (non evoluzionista...) del giovane Marx: un universalismo che dovrebbe giustificare la spontanea "convergenza" finale ricorrendo all'idea di genericità o plasmabilità dell' uomo. Tuttavia sia Marx che Preve non spiegano o comunque chiariscono, se tale plasmabilità abbia o meno un punto di rottura. Ma del resto si tratta - piaccia o meno -almeno per Preve di una scelta obbligata. Per tre motivi.
E quel che più sorprende, se ci si passa l’espressione, è che Preve non perda mai intellettualmente un colpo: i suoi libri sono sempre intriganti, diremmo ghiotti, ben pensati e nitidamente scritti, soprattutto se raffrontati con la cripticità (programmatica?) di certi testi cacciariani.
Ma veniamo a Elogio del comunitarismo. Se si scorre rapidamente il suo indice ci si accorge subito che il filosofo torinese non si occupa di tardi epigoni come ad esempio MacIntyre e Taylor, ma dei fondamenti filosofici del comunitarismo. Preve, come suo costume, va subito alle radici teoriche del problema, per poi “posizionarlo” metapoliticamente rispetto alle urgenze dell’oggi. Per farla breve: analizzando il comunitarismo di Aristotele, Hegel e Marx, fornisce gli strumenti intellettuali per comprendere limiti e inadeguatezze di molti comunitaristi “dell’ultima ora”, a destra come a sinistra. Ma non è questo il punto che qui approfondiremo. Quel che invece ci preme evidenziare è che Preve, come Augusto Del Noce, ragiona per essenze filosofiche: indaga il comunitarismo nella sua forma pura: come essenza. Vediamo in che modo.
In primo luogo, rifiuta qualsiasi distinzione tra comunità è democrazia: la comunità o è democratica o non è. E questo discende dal fatto che Preve intende la democrazia non tanto come dominio della maggioranze consenzienti quanto come rispetto delle minoranze dissenzienti. Sempre compatibilmente, come è ovvio, con la necessità della decisione politica, e di una ordinata gestione della cosa pubblica.
In secondo luogo, respinge la dicotomia comunità/società: la società ha bisogno della comunità e la comunità della società. Secondo Preve, senza una comunità prepolitica, non è possibile alcuna società. Di riflesso la funzione della politica diventa quella di facilitare la comunicazione tra due realtà. In che modo? Rafforzando i pilastri di quel ponte naturale, già esistente, come ha insegnato Aristotele, tra comunità e società: tra essere e dover essere. Ma come? Puntando sul sincero e stabile riconoscimento dell’altro: non solo come membro della stessa comunità di lingua e nazione (l’essere sociale), ma come membro di una comunità, la più ampia possibile, addirittura mondiale (il dover essere sociale), coniugando così democrazia, dialogo e rispetto delle diversità (religiose, politiche, culturali), in un quadro universalistico.
In terzo luogo, secondo Preve, Marx è un pensatore comunitarista. Anzi il massimo pensatore comunitarista... Per quale ragione? Perché Marx, recepisce il pensiero di Aristotele (l’uomo come essere sociale) e di Hegel (l’uomo come esito di un’ etica comunitaria), per tradurlo nel “comunismo”, come massima forma di comunitarismo: una realtà dove finalmente convergono socialità ed etica (essere e dover essere), come effetto di una crescente “messa in comune”, diciamo così, di sogni e bisogni. I primi legati alla creatività dell’uomo, i secondi alla sua condizione materiale e fisiologica.
Si potrebbe osservare quanto il comunitarismo “fenomenologico” di Preve, sia debitore dello stesso universalismo spontaneista (non evoluzionista...) del giovane Marx: un universalismo che dovrebbe giustificare la spontanea "convergenza" finale ricorrendo all'idea di genericità o plasmabilità dell' uomo. Tuttavia sia Marx che Preve non spiegano o comunque chiariscono, se tale plasmabilità abbia o meno un punto di rottura. Ma del resto si tratta - piaccia o meno -almeno per Preve di una scelta obbligata. Per tre motivi.
Innanzitutto, perché è un' opzione legata alla sua formazione. Un percorso intellettuale e di studio, certo ricco e intenso, ma che ha trovato in Marx un prezioso quanto qualche volta ingombrante compagno di strada.
Inoltre, crediamo, che l'universalismo previano sia in questo caso anche il portato di una necessaria scelta metodologica, per poter indagare il comunitarismo come essenza (pura) , e dunque universale, al di là di certo particolarismo nazionalista otto-novecentesco.
Infine, Preve sembra ritenere che solo l’ universalismo dialogico - nel senso di una verità sull’uomo che può essere declinata secondo modalità differenti - possa impedire al comunitarismo pericolose involuzioni organicistiche o contrattualistiche: che nel primo caso possono trasformarlo in totalitarismo, e nel secondo in asettico e funzionale rapporto fiduciario tra estranei. Il che è vero.
In conclusione, non c’è alcun dubbio, che l’originalità - diremmo assoluta - del testo di Preve, consiste appunto nel proporre un comunitarismo fenomenologico, sia dal punto di vista descrittivo che normativo: come punto di incontro politico tra l'essere sociale e il dover essere etico. Quel che però non viene chiarito - e non è sufficiente compiere un passo indietro dal Marx evoluzionista al Marx spontaneista-universalista - è come si possa giungere a questo punto di incontro.
Malgrado ciò, il libro resta non tanto ( o solo) un “elogio”del comunitarismo”, quanto dell’uomo creativo, libero e solidale, come entitas coessenziale a qualsiasi progetto comunitario.
Malgrado ciò, il libro resta non tanto ( o solo) un “elogio”del comunitarismo”, quanto dell’uomo creativo, libero e solidale, come entitas coessenziale a qualsiasi progetto comunitario.
Una verità, o se si preferisce un' idea regolativa, da non dimenticare mai. E bene fa Preve a tesserne l'elogio.