Peak Oil, una nuova visione
di Vandana Shiva - 17/08/2006
Mentre i partiti politici protestano contro l’aumento del prezzo del petrolio, le società devono iniziare ad avere una visione a lungo termine dei costi ecologici, economici e sociali che questa crescente dipendenza comporta |
L’aumento del prezzo del petrolio ha scatenato proteste che, rimpiazzando quelle contro le restrizioni all’entrata negli istituti di medicina e ingegneria, hanno raggiunto il cuore della vita politica indiana. I rincari petroliferi si traducono in aumenti dei prezzi di tutti i prodotti di base: come ha riportato qualche tempo fa l’Hindustan Times, quest’impennata ha dato il via ad una reazione a catena. (Hindustan Times, Wednesday, June 14, 2006, p.2 table). Tuttavia, dato che le risorse sono in diminuzione e le forniture hanno raggiunto un punto massimo, l’aumento del prezzo del petrolio sui mercati mondiali è un fenomeno inevitabile. Un picco nella produzione petrolifera significa la fine del petrolio a basso costo e quella delle compagnie organizzate secondo la sua crescente disponibilità. Il petrolio è una risorsa non rinnovabile. Lo abbiamo sempre saputo, ma il mondo si è comportato come se, al contrario, esso fosse inesauribile. E noi in India, che abbiamo sempre vissuto di un’economia energetica fondata sulla biodiversità e sulla biomassa, stiamo cadendo in uno stato di dipendenza dal petrolio proprio nel momento in cui la fornitura globale è in diminuzione e di conseguenza i prezzi sono in rialzo. L’Associazione per lo studio del “Peak Oil” (ASPO), un’organizzazione ombrello di esperti per lo più geologi che hanno contribuito alla scoperta di nuovi giacimenti, ci sta ora avvisando che sono rimasti soltanto un trilione di barili o poco meno, e che la fornitura raggiungerà il suo punto più alto entro questo decennio. Il “picco del petrolio” corrisponde alla quantità massima di petrolio che può essere estratta. Oltre questo punto, ci sarà un declino globale nella produzione e un relativo aumento del prezzo. Il petrolio che costa 5 dollari al barile, potrebbe salire fino a 100 qualora la certezza della fornitura venisse meno e la domanda aumentasse. Inoltre, siamo (dovremmo essere) consapevoli di vivere in un mondo in cui le risorse di petrolio sono in calo e non in crescita. Perché mai noi indiani stiamo legando il futuro del nostro paese ad una risorsa che sta terminando e che diventerà sempre più costosa? Mentre costruiamo grandi autostrade e metropoli, distruggendo così il tessuto decentralizzato della nostra organizzazione socio-economica, dovremmo forse chiederci quanto tutto ciò potrà durare. Esiste un’altra ragione per cui bisogna fermare questa dipendenza frenetica dal petrolio: il cambiamento climatico o, per meglio precisare, il caos climatico. Questo fenomeno è dovuto alle emissioni di combustibile fossile. Ormai è un imperativo ecologico stabilizzare le emissioni di diossido di carbonio. Per questa ragione è stato firmato il protocollo di Kyoto, l’accordo sul cambiamento climatico. L’industria delle assicurazioni, che percepisce più di 2 trilioni di dollari in premi annuali ed è ora più grande di quella del petrolio, ricopre un ruolo fondamentale nell’occuparsi del cambiamento climatico, poiché deve sborsare miliardi in assicurazioni per le alluvioni delle città, per i cicloni come Katrina che sradicano intere comunità e per le catastrofi come lo tsunami. I costi del cambiamento climatico sono estremamente elevati per la popolazione dell’India; il super ciclone Orissa del 1999 e le alluvioni di Bombay del luglio di quest’anno sono soltanto due dei disastri più conosciuti ad esso collegati. Quest’inverno in India non è piovuto durante la stagione del frumento, mentre ci sono stati pesanti acquazzoni durante il periodo della sua mietitura. Forti piogge prima dei monsoni nelle riserve d’acqua del Ganga e Yamuna hanno distrutto le colture tanto che i contadini non hanno avuto nemmeno le sementi da piantare. A Sikkim, inoltre, pesanti precipitazioni hanno portato allo slittamento delle terre e ciò ha interrotto la fornitura di acqua di Gangtok. Mi trovavo a Sikkim durante questa crisi, si viveva con un secchio d’acqua al giorno. L’economia del combustibile fossile si fonda su due illusioni: la prima è che si possa mantenere questa dipendenza dal petrolio; la seconda è che sostituire energia rinnovabile con il combustibile fossile comporti soltanto benefici e nessun costo. Il cambiamento climatico ha invece un costo molto elevato in un’economia basata sul petrolio. Si tratta del cuore della produzione e della conservazione alimentare industriale, e anche del trasporto su lunga distanza. Il frumento che l’India importa non contiene soltanto erbacce, insetti nocivi e pesticidi, ma viene anche da molto lontano. Immaginate che ci sia uno tsunami o un ciclone e che le nostre forniture di frumento provengano dall’America o dall’Australia; e immaginate il costo del frumento con l’aumento del prezzo del petrolio, quando tale costo è rappresentato più dal petrolio che dall’alimento in sé. Il petrolio è presente anche in ciò che beviamo. Quando aziende come Coca Cola e Pepsi pompano 1,5 o 2 milioni di litri d’acqua al giorno per produrre le loro bevande e trasportarle nelle regioni più remote dell’India, hanno bisogno del petrolio, sia per l’estrazione che per il trasporto. È diventato pressoché impossibile trovare acqua pulita nei nostri pozzi e nelle nostre sorgenti. Tuttavia, Aqua Fina e Kinley [di proprietà rispettivamente di Pepsi e Coca Cola, NdT] hanno raggiunto ogni villaggio vendendo acqua che è diventata petrolio, confezionata in bottiglie di plastica fatte con il petrolio. Mentre i partiti politici protestano contro l’aumento del prezzo del petrolio, le società devono iniziare ad avere una visione a lungo termine dei costi ecologici, economici e sociali di questa crescente dipendenza. Dobbiamo iniziare ad affrontare questioni strategiche per un’energia sicura reale e rinnovabile nel contesto del Peak Oil, della fine del petrolio a basso costo e del caos climatico che quest’era ha lasciato un in eredità al pianeta. Sul tema vedi anche Una crisi energetica permanente? (a cura di Nuovi Mondi Media). Fisica quantistica ed economista, Vandana Shiva dirige il Centro per la Scienza, Tecnologia e Politica delle Risorse Naturali di Dehra Dun in India. È considerata universalmente la teorica più nota dell'ecologia sociale. Vandana Shiva è co-autrice di Tutto in vendita – Ogni cosa ha un prezzo. Anche noi e autrice della prefazione de L'inganno a tavola – Le bugie delle industrie e dei governi sulla sicurezza dei cibi geneticamente modificati. Tra i suoi ultimi libri, Le nuove guerre della globalizzazione – Sementi, acqua e forme di vita.
Fonte: Countercurrents Traduzione a cura di Anna Lucca per Nuovi Mondi Media |