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Le biotecnologie e la malnutrizione nel mondo

di Giovanni Monastra - 17/10/2005

Fonte: estovest.net

LE BIOTECNOLOGIE VEGETALI DI FRONTE ALLA SFIDA DELLA MALNUTRIZIONE E DELLA FAME NEL MONDO

 

Giovanni Monastra

Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), Roma

 

 

1. Denutrizione, demografia e OGM

 

Nonostante gli sforzi profusi in tutti questi anni, la situazione mondiale per l’approvvigionamento di cibo è ancora contrassegnata dalla diffusa presenza di una gravissima denutrizione: secondo la FAO  circa 840 milioni di persone viventi nei paesi in via di sviluppo soffrono di fame e di denutrizione cronica (1). Specialmente nelle aree sub-Sahariane e nel sud dell’Asia i deficit sono molto gravi. Da più parti si sostiene che gli OGM sono indispensabili per eliminare la fame nel mondo. Si ritiene, infatti, che non ci sia sufficiente cibo per alimentare la popolazione mondiale, in costante crescita. In realtà invece, come ha affermato di recente anche Kofi Annan, l’attuale produzione agricola della Terra può nutrire il doppio della popolazione mondiale di oggi, cioè dodici miliardi di persone. Il flagello della fame non è causato dalla mancanza di alimenti, ma deriva dalla povertà esistente nei paesi del Terzo Mondo, in cui esistono, e sono in costante crescita, gravi situazioni di degrado a vari livelli. Ad esempio paesi come l’Etiopia e lo Zimbabwe, in passato dotati di importanti risorse agricole, oggi sono in gravissime difficoltà, nel primo caso per motivi legati a cambiamenti climatici, ma anche al flagello della lunga guerra con l’Eritrea, nel secondo per motivi derivanti da un regime politico dispotico, predatore e incapace, che ha gettato nel caos la nazione. E’ inoltre noto che il 78% dei bambini denutriti, di età inferiore ai cinque anni, vive in paesi dove esiste, paradossalmente, una sovrapproduzione nel settore agricolo (l’India, ad esempio, è un esportatore netto di cereali, ma ha una popolazione che in parte soffre di una grave malnutrizione). Ancora: dobbiamo ricordare che negli anni ottanta c’era un surplus alimentare a livello mondiale, ma non per questo il problema della fame risultava meno grave di oggi. La causa – lo ribadiamo – risiede nel fatto che molte popolazioni sono del tutto prive di risorse economiche con l’ovvia conseguenza di non avere accesso al cibo in quantità e qualità soddisfacente. Ad esempio i livelli di povertà rurale nei paesi in via di sviluppo sono tra il 50 e il 70%. C’è un altro aspetto da considerare: la maggior parte dei cereali viene usato per alimentare il bestiame. Il 70% di granaglie coltivate negli USA servono per nutrire gli animali, analogamente il Sud America e l’Asia hanno enormi estensioni di terreni coltivate a soia per produrre mangimi. In America Latina il 20% degli agricoltori sono proprietari dell’80% delle terre coltivabili, mentre il restante 20% di terra è lavorata dai contadini che detengono piccole estensioni. Paradossalmente i grandi proprietari terrieri esportano i loro raccolti per alimentare i bovini degli allevamenti europei, a fronte del fatto che i piccoli agricoltori sostengono il peso più rilevante nel fornire alimenti ad uso umano (ad es., il 50% delle patate, il 60% del mais, il 70% dei fagioli) (2). Con tutta evidenza esiste una situazione anomala, sbilanciata, che deriva dalla imposizione di un certo tipo di modello alimentare occidentale, che non è certo quello mediterraneo! Anche la diffusione crescente delle monocolture, legata al tipo di produzione sopra descritto, ha contribuito e contribuisce molto all’impoverimento della biodiversità e provoca danni sul piano alimentare. Per altro si tratta di un problema le cui origini risalgono nel tempo, dato che la diffusione delle monoculture è iniziata in epoca coloniale e poi è stata incrementata dalla stessa Rivoluzione Verde. Di fronte a queste situazioni nessun vantaggio può derivare a quelle popolazioni disperate dalla introduzione delle coltivazioni transgeniche, che comportano spese ingenti per l'acquisto delle sementi, tutte nelle mani delle multinazionali, che ne detengono i brevetti, ai cui profitti esse non intendono rinunciare nemmeno nel Terzo Mondo (3). Il mercato mondiale di questi prodotti agricoli diventerebbe di tipo oligopolistico, con evidenti conseguenze negative sulla libertà di molte nazioni e sulla autonomia dei contadini. Piuttosto è necessario riconvertire, almeno in parte, il tipo di agricoltura esistente in molte aree della Terra, mettendo al primo posto i bisogni delle popolazioni che vivono lì. Come ha dovuto riconoscere, suo malgrado, perfino Francesco Salamini, ex-direttore all’Istituto Max Plank per le biotecnologie e grande sponsor delle piante transgeniche, “Gli OGM non sono la risposta al problema della fame nel mondo. Dal punto di vista scientifico possono essere una della tante opzioni, ma la fame dipende da altre condizioni che esulano dalla scienza: guerre, politiche di assistenza allo sviluppo, educazione. Sono queste le cose su cui bisogna intervenire in Africa prima di pensare a un cibo diverso” (4). Vediamo ora l’altro aspetto del problema “fame nel mondo”: quello legato all’incremento demografico, che, da decenni, viene ritenuto continuo, elevato ed inarrestabile, anch’esso usato strumentalmente per dimostrare la necessità di introdurre gli OGM per nutrire popolazioni sempre più numerose e affette da vari tipi di carenze alimentari, più o meno gravi e generalizzate (5). Di recente le previsioni catastrofiche sono state smentite dal Department of Economics and Social Affairs – Population Division delle Nazioni Unite (6): il mondo conta oggi 6,3 miliardi di persone e il numero è destinato a crescere fino a 8,9 miliardi nell'anno 2050, e non fino agli 11 miliardi, stimati in precedenza. Addirittura, dopo 25 anni, nel 2075 la popolazione dovrebbe diminuire di mezzo miliardo di persone. Il tasso di natalità entro la metà di questo secolo scenderà in tutto il mondo fino ad attestarsi ai livelli occidentali. I costumi stanno mutando anche nel Terzo Mondo: infatti le famiglie dei Paesi poveri cominciano a limitare il numero dei figli esattamente come quelle dei Paesi industrializzati. Infine la catastrofe umanitaria dell’AIDS in Africa sta dando un tragico contributo al contenimento demografico del pianeta. Per i motivi esaminati risulta evidente che le agrobiotecnologie attualmente conosciute sono prive di reali vantaggi per tutte quelle popolazioni afflitte da gravi carenze alimentari. In certi casi, poi, potrebbero addirittura peggiorare la situazione, aumentando il divario tra ricchi e poveri ed emarginando sempre di più larghe fasce di popolazione.

 

2. La carenza di micronutrienti nella dieta dei paesi in via di sviluppo e la soluzione biotech

 

Accanto al gravissimo problema della fame va considerato pure che le trasformazioni dei sistemi agricoli dei Paesi in Via di Sviluppo hanno provocato e/o accresciuto l’impoverimento della dieta di quelle popolazioni, che ha determinato anche il diffondersi della piaga della carenza di micronutrienti, cioè la malnutrizione determinata dalla deficienza di vitamine o minerali, di cui oggi sono affetti più di 2 miliardi di persone. Sebbene questa piaga tocchi prevalentemente i paesi in via di sviluppo, esistono anche settori delle popolazioni della nazioni industrializzate (gli anziani, ad esempio) che presentano tali problemi, seppur in tono minore. La grave carenza di micronutrienti costituisce il principale impedimento per lo sviluppo socioeconomico e dà luogo a un circolo vizioso di sottosviluppo a danno di gruppi sociali già svantaggiati. Infatti gli effetti si notano sullo stato di salute, sulle capacità di apprendimento e sulla produttività, costituendo alti costi socio-sanitari e riducendo in modo rilevante la capacità lavorativa di chi ne soffre. Vitamina A, ferro e iodio sono i principali micronutrienti coinvolti in queste problematiche a livello mondiale. L’approccio teso a risolvere i problemi di malnutrizione, basato sugli alimenti transgenici, si dimostra già oggi assai poco convincente ed efficace. Tale strategia è ben esemplificata dal caso del “golden rice”, il riso geneticamente modificato, dal colore giallo oro, che si vorrebbe introdurre per rimediare alla carenza di vitamina A, diffusa in Asia e Africa. Come è noto tale carenza colpisce in primo luogo l’infanzia: si calcola che siano circa 250 milioni i bambini a rischio (7). Gli effetti sono la cecità notturna, e, anche, la cecità permanente, ma possono pure insorgere gravi ritardi nella crescita e può manifestarsi una ridotta resistenza alle infezioni. Da tutto ciò deriva una elevata mortalità infantile. Le statistiche ci dicono che ogni anno da 250.000 a 500.000 bambini vanno incontro a cecità permanente: nel 60-70% dei casi è probabile che la patologia dia esito letale. Per rimediare a questo flagello un gruppo di biotecnologi svizzeri e tedeschi hanno annunciato nel 1999 di aver prodotto un riso “dorato, appunto il cosiddetto “golden rice”, ingegnerizzato per produrre beta-carotene, in modo da fornire una fonte di vitamina A (8): infatti con sei molecole di precursore se ne ottiene una di vitamina A. E’ stata accolta come una soluzione geniale, prodigiosa, che ha dato luogo a molte aspettative. Ma la situazione non è così semplice: vanno fatte alcune puntualizzazioni. In primo luogo dobbiamo dire che il golden rice nasce dalla introduzione nel riso di tre geni estranei, due provenienti da una pianta, il narciso, il terzo da un battere (9). Al momento risulta impossibile prevedere gli effetti sulla salute dell’uomo di una ingegnerizzazione così complessa e innovativa rispetto ai ben noti mais Bt o soia tollerante l’erbicida. Quindi serviranno diversi anni di studi prima di essere sicuri circa l’assenza di effetti “collaterali”, non voluti, sulla salute dell’uomo. Inoltre va anche verificato l’impatto sull’ambiente in considerazione di un futuro uso agricolo del golden rice, al pari del normale riso. Una volta risolti questi problemi rimane comunque l’aspetto più critico: infatti questa pianta transgenica contiene 1,6 microgrammi di beta-carotene per grammo (μg/g) di chicchi di riso crudo, che potrebbero arrivare a 2 μg/g nel prossimo futuro. Ma anche ottenendo tale risultato un adulto, disponendo del golden rice come unica fonte di approvvigionamento di vitamina A, dovrebbe mangiarne 7-8 kg al giorno per introdurre nel proprio organismo livelli adeguati di questo micronutriente, mentre un bambino dovrebbe arrivare a circa 5,5 kg: sono quantità calcolate in modo da fornire con sicurezza il fabbisogno di vitamina A, considerato che la cottura fa aumentare il peso del riso del 150% circa, a causa di un forte assorbimento di acqua da parte del chicco. Con tutta evidenza si tratta di quantitativi sproporzionati e di gran lunga irraggiungibili (la dose media di riso consumata giornalmente da un adulto nei paesi in via di sviluppo è di 300 g). A questo problema si aggiunge che, per trasformare il beta-carotene in vitamina A, serve la presenza adeguata di altri nutrienti, come lipidi, proteine e zinco (10), i cui livelli risultano assai carenti proprio in quelle popolazioni. Così servirebbe una ulteriore e complessa supplementazione della dieta, per cui le difficoltà che il golden rice vorrebbe far superare, eliminando il ricorso agli integratori alimentari, si ripresenterebbero allo stesso modo. Infine non va dimenticato che nella aree affette da carenza di vitamina A, e in genere nelle zone povere, c’è una frequente presenza di diarrea, che riduce di molto l’assorbimento di micronutrienti. Quindi il golden rice costituisce una falsa soluzione che risente di una concezione riduzionista del problema della malnutrizione, e fanno sorridere i goffi tentativi tesi a far credere che anche un modesto consumo del riso ingegnerizzato potrebbe sconfiggere le patologie dovute all’avitaminosi A. Ingo Potrykus, il più noto tra i “padri” di questo OGM, ha recentemente affermato che addirittura “200 g di golden rice con 1,6 microgrammi di beta-carotene per grammo di chicchi di riso possono fornire sufficienti quantità del precursore della vitamina A per prevenirne la carenza, anche in casi dove manchino altre fonti di questa vitamina o lo stato carenziale sia molto grave” (11). Ma si tratta di posizioni poco difendibili. In base alle conoscenze in campo nutrizionale è ben noto che non si deve operare su un singolo nutriente, ma sulla dieta complessiva, arricchendola di vari componenti (12). Premesso che bisogna agire sul regime alimentare nella sua globalità, e quindi educando le popolazioni, la via per fornire sufficienti quantitativi di vitamina A è perseguibile in modi molto più semplici di quello bioingegneristico e, oltretutto, adeguati agli specifici ambienti agricoli, usando prodotti locali, come l’olio di palma (13) o il mango (14), ambedue ricchi di beta-carotene. Per le popolazioni native sarebbe un approccio molto più economico e sostenibile rispetto alla introduzione di OGM brevettati. Qualunque altro tentativo di risolvere le carenze da micronutrienti, anche di tipo diverso, come lo iodio o il ferro, nei limiti in cui ricalca il progetto del golden rice si troverebbe a dover affrontare gli stessi problemi, come è il caso del riso transgenico fonte di ferro (15).

 

3. Conoscere bene la natura prima di cambiarla

 

In linea generale va ricordato che qualsiasi manipolazione ingegneristica – in particolare quando vengono introdotti diversi “geni di interesse” – volta a migliorare il contenuto nutrizionale degli alimenti, interferendo in modo profondo con importanti vie metaboliche, può dar luogo, come “effetti collaterali”, a variazioni, anche rilevanti, della concentrazione di altri micronutrienti e degli stessi antinutrienti, così come delle tossine. Nel caso dei micronutrienti, la diminuzione di uno in favore di un altro può avvenire intenzionalmente, ma anche – ed è grave – in modo inconsapevole e indesiderato. Infatti il metabolismo è costituito da una rete di percorsi tra loro strettamente interconnessi: alterare una via metabolica porta facilmente a provocare effetti negativi in altre, con danni da non sottostimare. Così potrebbero essere seriamente compromessi i livelli normali, presenti in vari alimenti, di sostanze utili come polifenoli, carotenoidi, antocianine, tannini, terpeni, alcaloidi, fitoestrogeni, ecc. Questi composti esplicano importanti funzioni biologiche e giocano un ruolo centrale per i loro effetti antiossidanti, ormonali o immunoregolatori. L’introduzione di geni esogeni con effetti sugli aspetti nutrizionali di un prodotto agricolo potrebbero anche aumentare i livelli di altre sostanze, i già citati antinutrienti e tossine, come sinapsina, sinigrina, solanina, tomatina, ossalati, inibitori delle proteasi, saponina, tannini, ecc. Non si tratta di una semplice ipotesi, in quanto nel mais Bt, con la sola introduzione di un gene batterico (Bacillus thuringiensis) che determina la sintesi di una tossina letale per certi insetti dannosi, è aumentato inaspettatamente il contenuto di lignina (fra il 33% e il 97% in più) rispetto alle cultivar convenzionali (16). L’alterazione della via metabolica della lignina o l’accumulo della stessa lignina potrebbe interferire con altri processi cellulari. Fino ad oggi poche indagini, quasi sempre condotte dalle aziende biotech, hanno tentato di indagare questi aspetti legati alla modifica (non voluta e imprevista) dei livelli di micronutrienti e di antinutrienti nei prodotti di piante ingegnerizzate (17). Si possono fare ora alcune considerazioni, sulla scorta sia dei dati riportati, sia di altri, come ad esempio, i recenti tentativi, realizzati da un centro di ricerca pubblico italiano, di modificare il contenuto nutrizionale di un alimento assai diffuso nella nostra dieta: il pomodoro. In primo luogo andrebbe chiesto quale significato, sanitario e nutrizionale, rivestano tali esperimenti, dato che è stata bloccata la produzione di una importante sostanza antiossidante, il licopene, per aumentare quella di beta-carotene, certo pure necessario, come abbiamo visto in precedenza, ma non tale da essere privilegiato oltre misura. Infatti il bilancio complessivo di questo pomodoro geneticamente manipolato non appare per niente “migliorato”, ma piuttosto sbilanciato su un solo componente. Già questo pone degli interrogativi e delle perplessità sotto il profilo sanitario in rapporto alla nostra dieta che, come requisito di base, deve essere equilibrata. Infatti anche il beta-carotene, come altre sostanze, in situazioni diverse, esplica effetti addirittura opposti, positivi, cioè anticarcinogenici, in un caso, o negativi, procarcinogenici, nell’altro. Un esperto del settore, John Baron, commentando i risultati di un approfondito studio popolazionistico (18), ha rilevato che il fumo e l’assunzione, anche moderata, di alcool, modificano radicalmente gli effetti del beta-carotene sullo stato di salute. Infatti nei soggetti che si astengono dal fumare e dal bere la vitamina A riduce in modo significativo il rischio di sviluppare adenomi (tumori benigni che possono evolvere nel cancro del colon-retto), ma la situazione si capovolge tra i bevitori, anche moderati, e i fumatori, nei quali si registra invece un aumento dei casi, per cui nella stessa prescrizione degli integratori vitaminici si devono considerare alcune abitudini comportamentali, tra cui il fumo e l’assunzione di alcolici. Ma anche in un’ottica di intervento generalizzato di supplementazione alimentare in zone particolari, al di fuori dell’Occidente, la ragion d’essere di questo pomodoro transgenico resta oscura, dato che tale pianta cresce in aree dove non esistono gravi problemi di avitaminosi A. Inoltre, ammettendo a puro titolo di ipotesi una utilità per popolazioni che si trovano in tale situazione, si ripropongono tutte le riserve sopra riportate per il golden rice. A margine di quanto osservato, ci sembra interessante un richiamo agli aspetti “adattativi” della pianta: infatti le stesse sostanze che esplicano un beneficio per la salute umana rivestono anche una funzione fisiologica utile per l’organismo vegetale, spesso come difesa da attacchi ambientali di vario tipo. Pure su questo piano risulta evidente il pericolo di alterare profondamente un equilibrio consolidatosi nel corso di un tempo lunghissimo, dato che tale manipolazione può rendere l’organismo indifeso e debole, molto di più di quanto eventualmente lo sia già, trattandosi di una pianta coltivata, quindi “addomesticata”. Ne potrebbe conseguire la necessità di ulteriori interventi umani a tutela della pianta, interventi sia di tipo ancora una volta ingegneristico, sia chimico. Quale senso ha tutto ciò? Nessuno, a nostro parere: siamo nell’assurdo. Al di là dei ben noti e pesanti interessi economici in gioco, ci sembra che spesso i biotecnologi, colti da un insopprimibile bisogno di creare “chimere” genetiche, giochino come i bambini al meccano e operino totalmente indifferenti, se non ignari, rispetto alle reali esigenze delle persone nella loro concretezza e, se vogliamo, dello stesso mercato. Infatti il pomodoro in questione ha un colore arancione, diverso da quello classico, cosa che lo rende “sospetto”, anche visivamente, agli occhi del consumatore, per cui pure i vantaggi economici, derivanti da una eventuale durata maggiore del prodotto, dopo la raccolta, vengono inficiati. Gli operatori nel campo della ingegneria genetica, insomma, sono vittime di una frenesia produttiva autoreferenziale che, per essere giustificata, spesso a posteriori, li porta a fare affermazioni assai discutibili, se non del tutto errate, in settori nei quali sono privi di competenze, come quello della nutrizione umana. Costoro, perseverando cocciutamente in questo genere di ricerche, arrecano un grave danno all’immagine, già non proprio positiva, del loro settore. Anche in questo caso il richiamo a un sano realismo e alla prudenza ci sembra più che opportuno. Deve valere sempre il principio che, prima di cambiare la natura della natura, noi dobbiamo essere sicuri che tutte le sue potenzialità siano state usate. A questo proposito è opportuno ricordare che esistono 30.000 specie vegetali contenenti parti edibili, 7.000 di queste sono state introdotte nella dieta umana in passato, mentre oggi noi coltiviamo solo 120 specie, di cui 9 forniscono il 75% del nostro cibo e addirittura 3 specie coprono il 50% del nostro fabbisogno alimentare. A fronte di una eccessiva riduzione e standardizzazione delle colture operata dall’uomo in tempi recenti, appare evidente come esista una enorme capacità latente per la produzione di risorse agricole differenziate, spesso già ben adattate ad ambienti ostili e difficili, come, ad esempio, il sorgo e il miglio in Africa (19). In questo grande patrimonio poco conosciuto esistono già molte soluzioni ai problemi dell’agricoltura e dell’alimentazione: basta cercarli, rifiutando di seguire chi, in nome di un profitto fine a se stesso o di una concezione ipertecnologica della vita, cerca di svalutare o nascondere quanto la natura ci ha già dato per convincerci che quasi tutto deve essere ancora “inventato” (e brevettato!). Quella che proponiamo è la strada della ricontestualizzazione delle colture, opposta a quella ingegneristica che vorrebbe imporre uno sfrenato processo di decontestualizzazione dagli esiti imprevedibili.

 

 

Note:

 

(1) FAO [2004]: http://www.fao.org

(2) Monastra, G. e L. Rossi, [2003], Transgenic Foods as a Tool for Malnutrition Elimination and Their Impact on Agricultural Systems. Riv. Biol. 96: 363-384

(3) Hoag, H. [2003], Biotech Firms Join Charities in Drive to Help Africa’s Farms. Nature 422: 246.

(4) Salamini F. [2003], dichiarazione contenuta nell’articolo: La chiesa apre agli OGM, Famiglia Cristiana, 23/11/03

(5) Kishore, G.M. e C. Shewmaker [1999], Biotechnology: Enhancing Human Nutrition in Developing and Developed Worlds. Proc. Natl. Acad. Sci. USA 96: 5968-5972.

(6) Population Division of U.N. [2002-2003]: http://www.un.org/esa/population/unpop.htm

(7) World Health Organisation [1996], Indicators for Assessing Vitamin A Deficiency and Their Application in Monitoring and Evaluating Intervention Programmes. Miconutrient Series. WHO/NUT/96.10. WHO, Ginevra.

(8) Gura, T. [1999], New Genes Boost Rice Nutrients. Science 285: 994-995.

(9) Burkhardt, P.K., P. Beyer, J. Wünn, A. Klötl, G.A. Armstrong, M. Schledz, J. Von Lintig e I. Potrykus [1997], Transgenic Rice (Oryza sativa) Endosperm Expressing Daffodil (Narcissus pseudonarcissus) Phytoene Synthase Accumulates Phytoene, a Key Intermediate of Provitamin A Biosynthesis. The Plant Journal 11: 1071-1078.

(10) Nestle, M. [2001], Genetically Engineered Golden Rice Unlikely to Overcome Vitamin A Deficiency. J. Am. Dietetic Assoc. 101: 289-290.

(11) Dall’intervento di Ingo Potrykus al convegno “Il riso della speranza” Il Biotech che aiuta a vedere lontano, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma, 12 maggio 2004. Questo incontro è stato una passerella propagandistica delle più esagitate posizioni favorevoli alle agrobiotecnologie, sostenute, ai margini della Chiesa, da un ristretto gruppuscolo di individui, senza alcuna vera competenza nel campo della biologia e della medicina.

(12) Nestle, M. [2001] cit.

(13) Benade, A. [2003], A Place for Palm Fruit Oil to Eliminate Vitamin A Deficiency. Asia Pac. J.Clin.Nutr. 12: 369-372; Radhika, M.S., P. Bhaskaram, N. Balakrshna e B.A. Ramalakshmi [2003], Red Palm Oil Supplementation: A Feasible Diet-based Approach to Improve the Vitamin A Status of Pregnant Women and Their Infants. Food Nutr. Bull. 24: 208-217; Zagre, N.M., F. Delpeuch, P. Traissac e H. Delisle [2003], Red Palm Oil as Source of Vitamin A for Mothers and Children: Impact of a Pilot Project in Burkina Faso. Public Health Nutr. 6: 733-742.

(14) Drammeh, B.S., G.S. Marquis, E. Funkhouser, C. Bates, I. Eto e C.B. Stephensen [2002], A Randomized, 4-month Mango and Fat Supplementation Trial Improved Vitamin A Status among Young Gambian Children. J.Nutr. 132: 3693-3699.

(15) Murray-Kolb, L.E., F. Takaiwa, F. Goto, T. Yoshihara, E.C. Theil e J.L. Beard [2002], Transgenic Rice Is a Source of Iron for Iron-Depleted Rats. J. Nutr. 132: 957-960.

(16) Saxena, D. e G. Stotzky [2001], Bt Corn has a Higher Lignin Content than Non-Bt Corn. Am. J. Botany 88: 1704-1706.

(17) Novak, W.K. e G. Halsberger [2000], Substantial Equivalence of Antinutrients and Inherent Plant Toxin in Genetically Modified Novel Foods, Food and Chemical Toxicology 38: 473-483.

(18) Baron J.A., Cole B.F., Mott L., Haile R., Grau M., Church T.R., Beck G.J. e Greenberg E.R. [2003], Neoplastic and Antineoplastic Effects of  Beta-Carotene on Colorectal Adenoma Recurrence: Results of a Randomized Trial, J. Natl. Cancer. Inst. 95: 717–722.

Vedi anche: Scientific Committee on Food [2000], Opinion on the Tolerable Upper Intake Level of Beta Carotene, http://europa.eu.int/comm/food/fs/sc/scf/out80b_en.pdf

(19) Almekinders, C.J.M., N.P. Louwaars e G.H. De Brujin [1994], Local Seed Systems e Their Importance for an Improved Seed Supply. Developing Countries Euphytica 78: 207-216; De Vries, J.D. e J.O. Olufowote [1997], The Role of NGOs in Crop Improvement an Seed Multiplication. Proceeding of Alternative Strategies for Smallholder Seed Supply, an International Conference on Options for Strengthening National and Regional Seed System in Africa and West Asia, Harare (Zimbabwe); Vecchio, V. [2002], Le alternative al transgenico e l’esperienza nei Paesi in via di sviluppo. Atti del convegno: OGM, il tempo delle scelte, Roma, pp. 48-64.