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La teoria della deriva dei continenti era una cosa seria, a differenza dell’evoluzionismo

di Francesco Lamendola - 17/06/2014

Fonte: Arianna editrice


 

 


 

Una teoria scientifica deve ritenersi provvisoriamente dimostrata se, oltre a spiegare uno, o una serie, di fenomeni naturali, nella maniera più esaustiva e convincente, è anche in grado di esibire una serie di “prove”, ossia di evidenze inconfutabili, nonché di fornire una spiegazione accettabile circa le cause dei fenomeni stessi. Non è sufficiente, pertanto, che una teoria sia puramente descrittiva; è necessario che si tratti di una teoria esplicativa.

Abbiamo usato l’avverbio “provvisoriamente”, perché nessuna teoria scientifica può essere ragionevolmente considerata come definitiva. La teoria corpuscolare della luce è stata integrata da quella ondulatoria; la teoria della deriva dei continenti è stata integrata e perfezionata dalla teoria della tettonica a zolle, che, a sua volta, si fonda sulla teoria dell’espansione dei fondali oceanici. Mano a mano che nuovi elementi di fatto vengono scoperti e che nuove teorie, più articolate, vengono messe a punto, per spiegare in maniera più esaustiva e più globale i fenomeni naturali, le precedenti teorie vengono sottoposte a un processo di revisione.

Coloro i quali innalzano – o degradano, secondo i punti di vista – le loro teorie al ruolo di “bandiere” sempiterne di una determinata visione scientifica, ignorano il carattere transitorio e perfettibile di tutte le teorie esistenti e trascurano il fatto che il sapere scientifico non perviene mai allo status di verità definitiva e incontrovertibile, a motivo del livello sempre crescente di complessità che lo studio della natura rivela e, quindi, della necessità di aggiornare costantemente le “certezze” scientifiche e di integrare, talvolta, differenti teorie, che si credevano inconciliabili fra loro, per giungere a una spiegazione più esauriente di un dato fenomeno (come, appunto, nel caso della natura della luce).

L’evoluzionismo e il neoevoluzionismo darwiniani, almeno nella versione che ne presentano i loro più strenui sostenitori, sono il contrario di ciò che dovrebbe essere una teoria scientifica: pretendono di porsi al livello dei dogmi, stabiliti e accettati per fede una volta per tutte; e aggrediscono qualunque obiezione, tacciandola di anti-scientificità o di pseudo-scientificità. Addirittura, affermano che chiunque osi ancora parlare di “anelli mancanti”, per sostenere che non sono state trovate le forme intermedie dei vari “taxa” – ad esempio, fra Rettili e Mammiferi – adopera un linguaggio non scientifico e che, quindi, non merita alcun credito in un serio dibattito sull’argomento: come se bastasse censurare o criminalizzare una espressione per inficiare una argomentazione sgradita, ma oggettiva, che mette a nudo le debolezze di una teoria.

Peraltro, il carattere ipotetico e non dimostrato della teoria evoluzionista non dipende solo dalla insufficiente documentazione paleontologica (sebbene lo stesso Darwin avesse riconosciuto che il mancato rinvenimento delle forme fossili di transizione avrebbe dato un colpo mortale alla sua ipotesi), ma anche da altri ordini di ragionamento, tanto che uno scienziato come Antonino Zichichi arriva a negare all’evoluzionismo lo statuto di teoria scientifica.

D. R. Finley fa notare che i suoi punti deboli, gravissimi, sono tre: primo, il tempo disponibile; secondo, le testimonianze fossili; terzo, la dipendenza dalle parti collegate.

Primo: la teoria evoluzionista presuppone un tempo a disposizione di essa che supera enormemente la durata della vita sulla Terra: quest’ultima è di 4-5 miliardi di anni, quella ne richiederebbe trilioni e trilioni. Infatti, le istruzioni genetiche relative al processo dell’evoluzione, giungendo ai miliardi di nucleotidi che possiedono gli organismi viventi (il DNA umano ne ha 3 miliardi), richiederebbero tempi lunghissimi, diciamo centinaia e centinaia di generazioni, per attuare una modificazione significativa degli organismi stessi. Invece il tempo effettivamente disponibile “impone” che vi sia stato un tasso medio d’incremento di 0,75 nucleotidi all’anno: una cosa semplicemente impensabile. Tale difficoltà, anzi, tale impossibilità, è aggravata ulteriormente dal fatto che le mutazioni genetiche responsabili dell’evoluzione sarebbero del tutto casuali; e il caso, com’è  facilmente intuibile, non va d’accordo con l’estrema velocità dei mutamenti biologici postulati dalla teoria.

Punto secondo: la documentazione fossile non è solo lacunosa, è anche irregolare. La teoria evoluzionista postula una trasformazione lenta e graduale da forme più semplici a forme sempre più complesse. Ma quello che i fossili ci mostrano è ben diverso: improvvisi e radicali cambiamenti, seguiti da lunghe e documentate fasi di “stallo”: esattamente il contrario di quel che ci si aspetterebbe, in base alla teoria. Senza contare il “mistero” rappresentato dai cosiddetti fossili viventi: specie vegetali e animali che sono arrivate fino alla nostra epoca, ma che sono già documentate in fossili antichi di milioni di anni, e che non mostrano di aver registrato la benché minima modificazione.

Punto terzo: la teoria dell’evoluzione si basa sull’idea-chiave della “selezione naturale”. Ora, selezionare significa scegliere alcuni elementi di un organismo, alcune funzioni, alcune caratteristiche fisiche, portandoli verso una complessità sempre maggiore. Ma la selezione naturale, per incominciare a selezionare qualcosa, deve poter disporre di funzioni già sufficientemente complesse, altrimenti non sarebbe in grado di selezionare nulla. In altre parole: chi o che cosa ha creato la complessità degli organismi, affinché questi fossero in grado di incominciare ad essere selezionati, o, se si preferisce, ad attuare la selezione che sarebbe all’origine della loro trasformazione continua e incessante in qualche cosa di sempre più complesso? Evidentemente, bisogna postulare una complessità originaria, non spiegabile mediante l’evoluzione stessa.

La conclusione è che la teoria dell’evoluzione mediante la selezione naturale non è una teoria seria, perché non regge alle obiezioni scientifiche più elementari. Non si fa questione, pertanto, di prove che non sono state ancora sufficientemente perfezionate: si tratta di una serie di contraddizioni e di evidenti impossibilità logiche, oltre che scientifiche.

Un esempio di teoria scientifica seria è quella della deriva dei continenti, che il suo autore, il geologo e meteorologo Alfred Wegener, non ebbe la soddisfazione di vedere riconosciuta, anche se non è vero che egli non fosse in grado di addurre delle prove a suo sostegno: le prove c’erano, solo che egli non poté fornire una spiegazione soddisfacente del “perché”. Ebbe, a un certo punto, l’intuizione giusta: che, cioè, responsabili dello “scorrimento” dei continenti fossero le correnti convettive del mantello terrestre; ma qui, effettivamente, gli mancò il tempo, e gli mancarono anche gli strumenti, per individuare le necessarie evidenze scientifiche.  

Ecco come Wegener espose le prove della sua teoria nel libro «La deriva dei continenti e degli oceani» (riassunte da Cristina Pignocchino Feyles nel volume «Scienze della Terra» (Torino, S.E.I., 2013, p. 116):

 

«La teoria di Wegener era supportata da prove geomorfologiche, paleontologiche e paleoclimatiche.

PROVE GEOMORFOLOGICHE. Dall’esame dell’atlante geografico si nota che le sponde dell’Africa  e delle regioni meridionali del Sudamerica si potrebbero incastrare come i pezzi di un puzzle. Tale incastro può essere giustificato, secondo Wegener, solo accettando l’ipotesi di una passata unione dei due continenti. I suoi oppositori misero in dubbio il valore di questa prova. Innanzitutto l’incastro non è preciso, come sembra a prima vista, in secondo luogo buona parte dei geologi riteneva assai improbabile che la morfologia delle coste, continuamente esposta all’azione erosiva del mare, potesse essere rimasta inalterata per tempi lunghi, conservando la corrispondenza iniziale.

Oggi sappiamo che il limite reale tra continenti e oceani non corrisponde alla linea di costa, ma si trova sotto il livello del mare, a circa 900 m. di profondità, cioè dove la scarpata separa la piattaforma continentale dai fondali oceanici. Accostando i continenti lungo questo limite, la corrispondenza risulta ancora più evidente.

PROVE PALEONTOLOGICHE. Confrontando rocce e fossili sulle due sponde dell’Oceano Atlantico si  potuto osservare che, in alcune località, sono sorprendentemente simili. È il caso di certi tipi di rocce e dei resti fossili di felici e di rettili, ritrovati solo in una parte del Sudamerica e nella parte dell’Africa corrispondente. Secondo le teorie sull’evoluzione dei viventi, una tale somiglianza tra organismi di continenti diversi implica necessariamente che sia esistita la possibilità di passare con facilità da una zona al’altra. In precedenza, per spiegare la distribuzione della flora e della fauna ai due lati dell’Atlantico si ricorreva all’ipotesi dei ponti continentali, tratti di crosta continentale che in passato avrebbero collegato  continenti ora separati. I ponti sarebbero poi sprofondati nei fondali oceanici e flora e fauna avrebbero cominciato da quel momento a diversificarsi. Secondo Wegener, una teoria del genere non ha alcun fondamento: non è possibile, infatti, che le rocce granitiche e leggere dei ponti sprofondino nel materiale più denso che è presente nella crosta degli oceani. Inoltre, non sono mai stati trovati sui fondali oceanici i resti della crosta continentale, che avrebbe costituito questi giganteschi ponti.

PROVE PALEOCLIMATICHE. Dallo studio e dalla distribuzione dei climi sulla Terra in epoche passate, si è potuto dedurre che nei continenti meridionali, in regioni che oggi hanno un clima  tropicale, c’erano condizioni di clima freddo, documentate dalla presenza di depositi glaciali risalenti a più di 300 milioni di anni fa. Grandi depositi evaporitici, che si formano solo in ambienti caldi e secchi, e giacimenti di carbone, tipici di un clima tropicale, risalenti allo stesso periodo, testimoniano, invece, l’esistenza di climi caldi in diverse regioni settentrionali. Secondo Wegener, l’unica spiegazione possibile di questi dati è che i continenti fossero all’epoca uniti e spostati molto più verso sud, di quanto non lo siano attualmente.»

 

Riassumendo. La teoria della deriva dei continenti, formulata da Wegener nel 1912, era una teoria scientifica seria, perché, pur non potendo dare conto delle cause del fenomeno dello scorrimento, partiva dalla constatazione di una serie di fatti incontrovertibili, che indicavano una forte probabilità in suo favore. Che le coste orientali del Sud America e quelle occidentali dell’Africa coincidano, è un fatto (anche se la loro coincidenza appare perfetta solo confrontando la linea delle rispettive piattaforme continentali); così come è un fatto che certe specie viventi, per esempio la flora a “Glossopteris” (una felce preistorica), o rettili come il “Cynognatus” e il “Mesosaurus”, fossero distribuite, come documentano i resti fossili, esattamente nelle zone corrispondenti sulle sponde opposte dell’Atlantico meridionale; e lo stesso vale per una serie di formazioni rocciose che proseguono, di qua e di là dall’oceano, alla medesima latitudine e con perfetto incastro. È un fatto, infine, che in zone, oggi tropicali, poste a sud dell’Equatore, esisteva un clima freddo (Patagonia, Africa meridionale, Penisola Indiana, Tasmania), mentre un clima tropicale caratterizzava regioni attualmente nordiche (come le isole Spitzbergen); e che l’unica spiegazione convincente e simultanea di questi due fatti è che le masse, oggi separate, dei continenti meridionali, fossero un tempo ravvicinate e che tutte le terre emerse, comprese quelle settentrionali, nell’insieme fossero situate molto più a sud di quanto lo sono attualmente: dunque, che i continenti e gli oceani si muovono lentamente, scorrendo e come galleggiando sulla superficie del mantello.

Mancavano ancora parecchi tasselli del mosaico; ma la teoria, nelle sue linee essenziali, reggeva, nel senso che poteva avvalersi di molti indizi a favore, mentre non vi si opponeva alcuna obiezione insormontabile. Così non è per la teoria dell’evoluzione mediante la selezione naturale, che si scontra con difficoltà insormontabili. La teoria di Wegener difettava di alcuni elementi esplicativi; la teoria di Darwin è minata alla base da una serie di circostanze che la rendono non solo fragile (come poteva apparire, anche se non lo era, quella della deriva dei continenti), ma addirittura inverosimile. Evidentemente, una teoria scientifica si deve ritenere contraddittoria quando si pone in conflitto con se stessa: è contraddittorio sostenere che la vita sulla Terra si sia evoluta da forme semplicissime, unicellulari, fino agli organismi complessi delle piante e degli animali superiormente organizzati, in un arco di tempo che non si concilia in alcun modo con le stesse “leggi” biologiche  dell’evoluzione. Per non parlare dell’estrema inverosimiglianza, o meglio della impossibilità, che la vita sia nata per aggregazione “spontanea” di strutture molecolari nella materia inorganica…