I banchieri temono un disastro economico mondiale
di Gabriel Kolko - 21/08/2006
Counterpunch Lo scorso 15 giugno pubblicammo l’articolo di Gabriel Kolko sulla enorme instabilità del sistema finanziario mondiale. Nelle settimane successive il Professor Kolko ha ampliato la sua analisi e qui vogliamo offrire ai nostri lettori la sua versione aggiornata. Si è verificato un cambiamento profondo e fondamentale nell’economia mondiale dal passato decennio. L’autentico trionfo della deregolamentazione e della liberalizzazione finanziaria, una delle pietre miliari del “Consenso di Washington [1]” che il governo degli Stati Uniti, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale hanno perseguito insistentemente e con successo negli ultimi decenni, ha prodotto una profonda crisi che i suoi sostenitori a malapena si sarebbero aspettata. La struttura finanziaria globale di oggi è la meno trasparente di sempre. Ci sono sempre meno imposizioni sulle dichiarazioni dei soggetti che in essa vi operano. Le imprese finanziarie stanno costantemente creando nuovi “prodotti” che sfidano sia gli stati sia le banche internazionali. Rodrigo de Rato, Direttore Generale del FMI, verso la fine del maggio 2006 lamentava questo rischio – rischio che la debolezza del dollaro USA ed il suo crescente deficit commerciale hanno accresciuto enormemente. I timori di De Rato riflettono il fatto che il FMI ha dovuto sopportare crisi sia strutturali che intellettuali. Da un punto di vista strutturale, il suo credito ed i suoi finanziamenti sono scesi drammaticamente dal 2003, da oltre 70 miliardi di dollari a poco più dei 20 di oggi, che ha provocato un raddoppiarsi delle risorse disponibili inutilizzate ed una perdita di influenza sulle politiche economiche dei paesi in via di sviluppo – e quindi un minore introito. Ora il Fondo Monetario Internazionale è in deficit. Una larga parte dei suoi problemi è dovuta al raddoppiarsi dei prezzi delle merci in tutto il pianeta a partire dal 2003 - specialmente petrolio, rame, argento, zinco, nichel e così via – che le nazioni in via di sviluppo tradizionalmente esportano. Mentre da una parte assisteremo a fluttuazioni al rialzo, dall’altra c’è motivo per pensare che ciò potrebbe perdurare perché la rapida crescita economica in Cina, India e ovunque ha creato una domanda così fiorente come mai si era vista prima – quando cioè la bilancia commerciale favoriva sistematicamente le nazioni ricche. Gli Stati Uniti hanno assistito alla caduta della posizione dominante dei loro capitali netti posseduti all’estero, non appena i paesi come il Giappone, alcuni paesi dell’Asia emergente e le nazioni esportatrici di petrolio sono diventati più potenti nell’ultimo decennio e sono progressivamente diventati creditori nei confronti degli Stati Uniti. Mentre il suo deficit cresceva a causa dell’ammontare delle importazioni di molto maggiore rispetto al volume delle esportazioni, il valore del dollaro scendeva, perdendo il 28 % del suo valore nei confronti dell’euro nel periodo 2001-2005. Inoltre il FMI e la Banca Mondiale sono stati severamente penalizzati dalle crisi economiche nell’Estremo Oriente, in Russia ed altrove, negli anni 1997-2000, e molti dei suoi uomini chiave hanno perso fiducia nelle anarchiche premesse, discendenti dal pensiero economico classico del laissez faire, che fino ad allora aveva guidato le loro strategie politiche. “.. la nostra conoscenza della crescita economica è estremamente incompleta”, ammettono ora in tanti nel FMI, e “maggiore umiltà” da parte loro è ora assicurata. Il FMI afferma che molto è stato fatto per prevenire il riverificarsi di un’altra crisi simile a quella del 1997-1998, ma da allora l’economia internazionale è cambiata radicalmente e, come Stephen Roach della Morgan Stanley ha garantito, il mondo “ha finora fatto ben poco per prepararsi a quella che potrebbe essere la prossima crisi.” La natura del sistema finanziario globale è cambiata radicalmente ed ha assunto tendenze che non hanno niente a che vedere con le “virtuose” politiche economiche nazionali che seguono le linee del FMI – tendenze che lo stesso FMI non può più controllare. I manager dei fondi privati di investimento e delle principali hanno rimpiazzato le banche nazionali e gli organi internazionali come il FMI, muovendosi al di là delle strutture regolatrici esistenti. In molte banche d’investimento gli operatori sono subentrati ai banchieri tradizionali perché oggi i profitti maggiori derivano dal comprare e vendere azioni, bond, derivati, eccetera, e assumersi rischi sempre più alti è ora la regola in quello che una volta era un ramo della finanza abbastanza conservativo. Sono spesso soggetti all’effetto house money[2]. I bassi tassi di interesse hanno consentito, ad essi e ad altri speculatori sparsi nel mondo, di portare a termine nuove operazioni, incluse una gran quantità di dubbie fusioni che un tempo sarebbero state giudicate temerarie. Inoltre ci sono sempre meno clausole legali a difesa degli investitori, cosicché i risparmiatori sono meno che mai tenuti al risarcimento da parte di eventuali società mal amministrate. Al di là del fatto che le loro scommesse sono sempre più rischiose, gli Hedge Funds [3] (in Italia Fondi Speculativi) si stanno mostrando strumenti sempre più inutili per pareggiare eventuali perdite dovute a questi giochi finanziari. I cosiddetti Traders hanno “re-intermediato” loro stessi tra i tradizionali risparmiatori – sia nazionali che individuali – ed i mercati, deregolamentando la struttura finanziaria mondiale e rendendola più imprevedibile e soggetta a crisi. Essi prevedono così di generare alti ritorni d’investimento – che è poi la chiave del loro compenso – e si assumono rischi sempre maggiori per raggiungere l’obiettivo. Nel marzo di quest’anno il FMI ha pubblicato un libro di Garry Schinasi, “Salvaguardare la stabilità finanziaria” attribuendogli un’importanza insolita sia prima che dopo la sua pubblicazione. Il libro di Schinasi è tendenzialmente allarmista, rivela e documenta con dettagli scomodi i profondi timori del FMI. Essenzialmente “le deregolamentazioni e le liberalizzazioni” che il FMI ed il “Consenso di Washington” hanno invocato per decenni sono diventate un incubo. Hanno creato dei “benefici privati e sociali spaventosi”, ma hanno anche preparato “il campo (sebbene non necessariamente con un’alta probabilità) per delle conseguenze economiche avverse quali fragilità, instabilità e rischio sistemico”. Il suo libro, eccellentemente documentato, conferma la conclusione che lo sviluppo irrazionale della finanza globale, combinato con misure di deregolamentazione e liberalizzazione, ha “creato lo spazio per una innovazione finanziaria ed ha accresciuto la mobilità dei rischi”. Schinasi ed il FMI sono i sostenitori di una struttura radicalmente nuova per il monitoraggio e la prevenzione dei problemi emergenti, il cui buon esito “potrebbe dipendere troppo dalla buona sorte” piuttosto che da un disegno politico o dalla sorveglianza del mercato. Lasciare il futuro nelle mani della sorte non è esattamente ciò che gli economisti classici indicarono inizialmente. Il FMI è disperato, e non è il solo. Come il crack economico dell’Argentina ha mostrato, i paesi che non sottostanno al FMI ed alle pressioni delle banche possono giocare sulle divisioni interne tra membri del FMI --- in particolar modo gli U.S.A. --- tra i banchieri ed altri ancora, per evitare domande di valuta straniera. Circa 140 miliardi di dollari in bond sovrani verso creditori privati e verso il FMI erano stati investiti, concludendosi alla fine del 2001 come la più grande inadempienza nazionale della storia. Negli anni novanta le banche erano entusiaste nel concedere valuta argentina, e alla fine hanno pagato il conto. Da allora, comunque, i prezzi delle merci hanno spiccato il volo, il tasso di crescita delle nazioni in via di sviluppo tra il 2004 ed il 2005 è stato più del doppio di quello dei maggiori paesi contribuenti --- una tendenza che continuerà fino al 2008 --- e già fin dal 2003 i paesi emergenti erano la fonte del 37% degli investimenti stranieri diretti verso i paesi in via di sviluppo. La sola Cina contribuisce in gran parte alla sua crescita, ma questo significa anche che il FMI ed i ricchi banchieri di New York, Tokyo e Londra hanno un’influenza più debole che mai. Contemporaneamente la maggiore richiesta di fondi speculativi e di altri investitori per finanziamenti ad alto rischio, combinata con bassi tassi di interesse che permettevano agli stessi fondi di utilizzare valuta in prestito per operazioni sempre più precarie, ha portato a livelli di debito molto più alti di quelli che i richiedenti si imbarcano per fusioni ed altre imprese azzardate che diversamente sarebbero state impossibili. La crescita della complessità è la regola fondamentale dell’economia mondiale che è emersa nell’ultimo decennio, e le infinite negoziazioni della WTO [4] hanno fallito nel superare le politiche dei sussidi e del protezionismo che hanno ostacolato la nascita di un eventuale accordo per un commercio globale libero e la fine delle minacce di guerre economiche. Lo scenario per una instabilità ancora maggiore, combinato con un crescente pericolo economico per i paesi ricchi è più che mai imminente nell’intera economia mondiale. Economia Globale ad alta velocità Il problema finanziario globale che sta emergendo è legato al deficit fiscale e commerciale americano che sta crescendo velocemente. Dal 2001, anno in cui è salito in cattedra, Bush ha superato di oltre 3.000 miliardi di dollari il limite dell’indebitamento finanziario. Quanto più continua questa svalutazione del dollaro americano, tanto più le banche ed i finanzieri cercheranno di proteggere le loro scorte e le operazioni finanziarie più rischiose appariranno sempre più proficue. Questo è il contesto, ma Washington ha sostenuto le grandi liberalizzazioni finanziarie molto prima che il dollaro iniziasse ad indebolirsi. Questo insieme di fattori ha creato dei rischi infinitamente maggiori di quelli che i promotori del “Consenso di Washington” potessero mai credere. Oggi esistono molti fondi speculativi, con i quali siamo ormai pratici, ma ora essi operano nel credito derivato [5] – e in altri numerosi strumenti finanziari che sono stati inventati da quel momento – ed il mercato futures del credito derivato è prossimo allo sbarco. Il mercato dei derivati esisteva appena nel 2001, è cresciuto abbastanza lentamente fino al 2004 ed ha raggiunto l’apice, toccando quota 17,3 mila miliardi di dollari alla fine del 2005. Ma cos’è il credito derivato? Gillian Tett, giornalista del Financial Times e principale esperto in mercati dei capitali, ha provato ad indagare, ma non è riuscito nell’impresa. Circa dieci anni fa alcuni banchieri della J.P. Morgan erano a Boca Raton in Florida e, tra un drink ed un tuffo in piscina, coniarono la nozione di un nuovo strumento finanziario troppo complesso per essere copiato (le idee finanziarie non possono essere brevettate) e che avrebbe assicurato loro una notevole fonte di denaro. Tett era fortemente critico riguardo a questo mercato potenziale che avrebbe causato una reazione a catena di perdite che avrebbero inghiottito i fondi speculativi che si fossero lanciati in questo mercato. Warren Buffet, il secondo uomo più ricco del pianeta, che conosce il gioco della finanza meglio di chiunque altro, chiamò il credito derivato “arma finanziaria di distruzione di massa.” il credito derivato “un’assicurazione nominale contro le inadempienze”, incita di gran lunga le operazioni rischiose e l’espansione del credito. La Enron ha fatto un largo uso di esso, e ciò è stato appunto un segreto dei loro successi – ed anche della loro bancarotta di circa 100 miliardi di dollari di perdite. Non è monitorato in alcun modo, tanto che due esperti lo hanno definito di una “opacità esasperante”. Molti di questi innovativi prodotti finanziari, stando al giudizio di un direttore finanziario, “esistono solo nel cyberspazio” e spesso sono dei semplici stratagemmi fiscali per gli ultra-miliardari. E’ per motivi come questi, e molti altri come ad esempio i trust di frazionamento dei capitali, le obbligazioni a debito anticipato, gli accordi di swap [linea reciproca di crediti] del mercato creditizio, che il FMI e le autorità finanziarie sono così preoccupate. Attualmente le banche non riescono a comprendere in maniera semplice la catena di partecipazioni, non sanno chi possiede cosa –lo ammettono gli stessi banchieri. Il crack del fondo speculativo a lungo termine della Capital Management del 1998, che ha coinvolto 5 miliardi di dollari in capitale, lo ha rivelato. La struttura finanziaria di oggi infinitamente più complessa, basti pensare che nella top-ten dei fondi speculativi, stilata nel marzo 2006, il totale dei patrimoni posseduti equivale a 157 miliardi di dollari. Gli hedge funds sostengono la loro integrità, gli alti profitti per i loro gestori sono il naturale premio per gli alti rischi assunti. Esistono però migliaia di fondi e molti di essi possiedono enormi archivi di informazioni al loro interno, il che è illegale ma ad ogni modo necessario. Il sistema è carico di pericoli, a cominciare dalla sua struttura di compensazione. Molti fund manager sono spesso incompetenti. Tuttavia, ad esempio, i manager dei 26 migliori fondi hanno guadagnato nel 2005 in media 363 milioni di dollari ciascuno; James Simons di Renaissance Technology ha guadagnato un miliardo e mezzo di dollari. C’è un generale consenso su fatto che tutto ciò, e molto altro ancora, ha creato dei pericoli in continua crescita. Noi possiamo anche mettere da parte la persistenza dei bilanci in perdita basati sugli incrementi delle spese o sui tagli delle entrate per lo stato sociale, molto meno possiamo farlo per i mercati delle merci e degli stock volatili che lo scorso maggio hanno costretto gli hedge fund a ritorni minori rispetto a quelli dello scorso anno. La domanda di ognuno è: dove andranno i mercati? E chi ci guadagnerà mentre gli altri perderanno?. I fondi speculativi producono ancora ottimi profitti, e fino alla primavera del 2006 il loro valore era di circa 1,2 mila miliardi di dollari in tutto il mondo, ma ora stanno diventando sempre più rischiosi. Più della metà di essi ha preferito alcuni grandi investitori, e la U.S. Security and Exchange Commission (SEC) [6] dalla metà di Giugno 2006 ha apertamente deplorato tale pratica poiché il panico potenziale che potrebbe scatenarsi a causa di tali favoritismi è ora troppo palese per essere ignorato. Tale pratica è una “bomba ad orologeria”, come è stata definita da un avvocato del settore industriale. Questi rischi per il credito – rischi che esistono anche in altre forme – sembravano pronti a materializzarsi già alla fine di giugno, quando Tett del Financial Times riportò in un articolo che una certa banca di investimenti stava tentando di scaricare in prestiti “diversi miliardi di dollari” che aveva raccolto tramite fondi speculativi. Se fosse vero, “ciò segnerebbe un sensazionale spartiacque nel sistema finanziario.” I banchieri sono diventati “ultracreativi… nei loro sforzi per spezzettare e ridistribuire i rischi, in questo periodo di facile liquidità.” Avinash Persaud, un guru della finanza riassume così: ”I bassi tassi di interesse hanno portato gli investitori ad utilizzare denaro preso in prestito per i loro giochi di borsa, e “una dolorosa uscita dal gioco delle acquisizioni è inevitabile come il susseguirsi del giorno e della notte… La sola domanda è quando ciò accadrà.” Non c’era alcuna possibilità che i fondi speculativi, divenuti così complessi nel garantire sicurezza, potessero evitare la resa dei conti ed “essere obbligati a cedere i propri investimenti.” “Io non scommetterò mai su un loro risultato positivo” conclude il giornalista del Financial Times commentando qualche tardo tentativo di svincolare tali fondi dalle proprie follie. Grandi quantità di denaro sono state trasferite dagli investitori dei paesi ricchi verso le borse emergenti, le quali sono state particolarmente colpite nelle scorse settimane, e nel caso dovessero lasciarle lo shock finanziario sarebbe devastante – i pericoli di un crack esistono anche là. I problemi sono strutturali, come ad esempio il crescente utilizzo del “corporate debt” [7] per la capitalizzazione del guadagno, che è cresciuto sostanzialmente tra le quattro e le sei volte lo scorso anno in quanto esistono pochissime clausole legali che proteggono gli investitori dalle perdite --- addirittura proteggono le compagnie dalla bancarotta quando invece dovrebbero finirvi. Fino a che i tassi di interesse sono stati bassi, le operazioni di leverage buy-out [8] sono state la soluzione. Ora, con i fondi speculativi ed altri strumenti finanziari ci troviamo in un mercato di compagnie incompetenti oppresse dai debiti. Le regole un tempo associate erroneamente al capitalismo – integrità, virtuosità ecc. – non fanno più presa. I problemi riguardano inoltre la velocità e la complessità, e questi sono molto vari ed alquanto surreali. Il credito derivato è abbastanza precario, e verso la fine di maggio la International Swaps and Derivatives Association ha rivelato che ogni cinque operazioni, molte delle quali di svariati miliardi di dollari, almeno una implicava errori delle maggiori compagnie – in pratica non appena il volume degli scambi aumenta vengono commessi errori. Essi sono raddoppiati nel periodo successivo al 2004. Molte operazioni erano addirittura registrate su foglietti di carta e non opportunamente registrate. “Inconsapevolmente” ha dichiarato un Alan Greenspan “onestamente scioccato”. Stephen Roach, principale economista della Morgan Stanley, lo scorso 24 Aprile scrisse che una crisi finanziaria delle major era nell’aria e che le istituzioni globali per prevenirla – dal FMI, alla Banca Mondiale e altri meccanismi di controllo della finanza internazionale – erano totalmente inadeguate. Il Primo Ministro di Hong Kong avvertiva nei primi di giugno dei rischi degli hedge funds. L’iconoclastico capo-economista del FMI, Raghuram Rajan, nello stesso periodo avvisava che la struttura compensativa dei suddetti fondi aveva spinto chi li aveva in gestione ad assumersi i rischi annessi, compromettendo in tal modo l’intero sistema finanziario. Verso la fine di giugno Roach era ancora più pessimista: “un indiscutibile clima di anarchia” pervadeva gli ambienti accademici e politici, i quali erano “incapaci di spiegare il funzionamento di questo nuovo mondo.” I cui luoghi sono pervasi di mistero. La realtà è fuori controllo. L’intera struttura finanziaria mondiale sta divenendo talmente incontrollabile nei suoi aspetti cruciali che neanche i suoi stessi leader mai avrebbero immaginato tanto, e l’instabilità è diventata progressivamente la sua caratteristica distintiva. La liberalizzazione finanziaria ha prodotto un mostro, e risolvere i molti problemi emersi è impossibile per chi lamenta dei controlli su quanti tentano di arricchirsi con qualsiasi mezzo. Il rapporto annuale della Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS, Bank for International Settlements), pubblicato il 26 Giugno, tratta questi problemi e parla delle “difficoltà nel razionalizzare” il successo di questi comportamenti economici predatori. Gli squali hanno raggirato i banchieri più tradizionali e conservativi. “Data la complessità della situazione ed i limiti della nostra conoscenza, è estremamente difficile prevedere come tutto ciò si potrà risolvere.” La BIS non vuole che i suoi timori causino panico, e le circostanze la costringono a restare dalla parte dei non-allarmisti. Ma ora ammette che “un big-bang” nei mercati è una possibilità, e scova “diverse ragioni economiche per una seria riflessione sul livello di disordine.” Noi non ci troviamo attualmente in tale situazione di probabile disastro finanziario ma “ci auguriamo il meglio preparandoci per il peggio.” Per un decennio, ammettono alla BIS, i trend economici globali ed i “bilanci sbilanciati” hanno creato pericoli crescenti, e “comprendere come siamo arrivati a ciò è cruciale nella scelta delle politiche da attuare per ridurre gli attuali rischi.” La BIS è seriamente preoccupata. Dato questo profondo e diffuso pessimismo, gli avvoltoi delle banche di investimento hanno iniziato a posizionarsi in modo da approfittare dell’imminente crisi – una crisi che essi stessi vedono come una questione di tempo e non come una semplice teoria. Sin dall’inizio del 2006 le banche di investimento hanno esteso i loro finanziamenti alle operazioni di acquisizione (leverage buy-out), spingendo le banche commerciali fuori da un mercato che una volta era loro prerogativa. Per ottenere una maggiore quota di mercato stanno tentando operazioni sempre più rischiose ed incrementando il pericolo di inadempienza tra le società a forte partecipazione. Ci troviamo ora di fronte ad un generale consenso tra gli analisti finanziari sul fatto che le inadempienze cresceranno sostanzialmente nel futuro immediato. Ma poiché la ricchezza deve essere comunque prodotta, sta crescendo la richiesta di esperti in ristrutturazioni aziendali di compagnie in bancarotta o quasi. La Goldman Sachs ha appena assunto uno dei migliori esperti in ristrutturazioni della Rotschild. Tutti i fattori che muovono verso una crisi – eccessivo indebitamento, crescita dei tassi di interesse, ecc. – esistono, e quelli che ne sono a conoscenza prevedono che le compagnie in difficoltà si troveranno in uno stadio molto più avanzato di problemi non appena le banche di investimento entreranno nella scena; le quali questa volta prevedono di spremere i fondi dai potenziali profitti in modo di possedere più capitale da investire. Le contraddizioni stanno incrinando il sistema finanziario mondiale, ed un generale consenso sull’imminenza della crisi unisce ora da un lato chi lo sempre appoggiato, e dall’altro chi, come me, crede che lo status quo della finanza sia pervaso di immoralità. Se noi diamo credito alle istituzioni ed alle personalità che hanno combattuto in prima linea nella difesa del capitalismo, e dovremmo farlo, significa che ci troviamo veramente sull’orlo di una seria crisi. Gabriel Kolko è il principale storico della guerra moderna. E’ autore del classico “Century of War: Politics, Conflicts and Society Since 1914 and Another Century of War”. Ha inoltre scritto la migliore storia della guerra del Vietnam, “Anatomy of a War: Vietnam, the US and the Modern Historical Experience”. Il suo ultimo libro, “The Age of War”, è stato pubblicato nel Marzo 2006. Gabriel Kolko Fonte: http://www.counterpunch.org Link: http://www.counterpunch.org/kolko07262006.html 26.07.2006 Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FABIO MAURIZI Note del traduttore: [1] “Consenso di Washington”, espressione utilizzata nel 1989 dall'economista John Williamson per definire le sue dieci raccomandazioni indirizzate agli stati desiderosi di riformare le proprie economie. Esprime l'ideologia che sia possibile riciclare in modo rapido e sicuro le masse enormi di capitali speculativi, la cui esistenza è del tutto indipendente dalla produttività del pianeta. Sono capitali che grazie alle nuove tecnologie attraversano le frontiere con la velocità della luce alla ricerca del rendimento più elevato. Ebbero un'enorme influenza, pur essendo interpretate e messe in opera in modo molto differente a seconda delle realtà locali. Fonte: Ecologia Politica [2] Tale espressione trae origine dal gergo dei giocatori d’azzardo, in cui “playing with the house money” sta ad indicare la situazione in cui il giocatore presenta vincite nette positive. Nel gergo finanziario indica la tendenza a seguire un atteggiamento di maggiore propensione al rischio da parte di un agente che abbia ottenuto in precedenza dei guadagni. Fonte: Università Bocconi [3] Fondi che utilizzano particolari strategie di copertura, liberi nello scegliere l'oggetto del proprio investimento e in grado di generare, ove la gestione risulti efficiente, un livello di performance superiore rispetto ai fondi tradizionali. In Italia sono stati disciplinati dal regolamento del Ministero del Tesoro emanato con decreto del 24 maggio 1999 n.228; dal Provvedimento della Banca d'Italia del 20 settembre 1999 e successive modificazioni apportate con decreto del Ministero del Tesoro n. 47 del 31 gennaio 2003. [4] World Trade Organization, Organizzazione Internazionale per il Commercio. [5] Gli strumenti derivati rappresentano un accordo tra due parti che si impegnano a comprare o a vendere una determinata attività ad una data scadenza ad un determinato prezzo. I derivati sono strumenti rappresentativi di altri strumenti finanziari. Sono così chiamati perché il loro valore “deriva” da attività di vario tipo chiamatesottostante (indici azionari, obbligazioni o merci più diverse). Gli strumenti derivati vengono negoziati nei cosiddetti mercati a termine poiché rappresentano una compravendita futura; in altre parole il “termine” è la data futura alla quale si realizza effettivamente la compravendita. [6] Equivalente negli Stati Uniti della nostra CONSOB [7] Si tratta di obbligazioni garantite a breve o lunga scadenza emesse dalle società [8] L'acquisizione con indebitamento indica l'acquisizione di un'altra società mediante fondi presi a prestito. La società acquirente usa i propri beni come garanzia per il prestito nella speranza di poter ripagare le somme prese a prestito con i flussi di cassa futuri della società acquisita |