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Cenni sulla tutela paesistica

di Filippo Gargallo di Castel Lentini - 21/08/2006

 


Evoluzione storica e giuridica della tutela dei beni culturali dall’unità d’Italia al Codice Urbani. Cenni sulla tutela paesistica.
 
 
 
 
La tutela dei beni culturali sul territorio nazionale ha radici legislative che possono rintracciarsi in tempi preunitari per trovare il loro programmatico compimento ad unità ormai avvenuta, dopo una maturata conoscenza delle problematiche attinenti il patrimonio culturale italiano.
Per ovvie ragioni di economia siamo costretti a non analizzare i precedenti legislativi posti in essere dalle diverse amministrazioni che storicamente si sono succedute nel governo degli stati preunitari, anche se non possiamo sottacere che tali attività erano presenti sin dalle epoche più remote e trovavano la loro naturale giustificazione nell’immenso patrimonio storico - culturale e paesaggistico che il Paese in ogni sua provincia ha sempre potuto vantare. Ma per il limite territoriale dei singoli stati o anche per il carattere “individualista” dei vari regnanti o ancora e soprattutto, per i tempi non ancora maturi per una coscienza matura per l’apposizione di generalizzate tutele sui beni culturali e naturalistici, fino agli albori dell’unità d’Italia i provvedimenti legislativi si erano sempre caratterizzati in singole norme da attuare per lo più in via d’urgenza per porre rimedio a situazioni contingenti oppure per garantire speciali tutele alle proprietà dei molti sovrani.
Dal ‘700 in poi, inoltre, il ritrovato interesse per lo studio dei classici e l’elevazione dell’archeologia a scienza avevano introdotto nelle comunità italiane un interesse alla protezione dei beni culturali sempre crescente.
Giunti agli albori dell’unità d’Italia, nel 1859, l’allora Ministro della pubblica Istruzione del Regno di Sardegna, Marchese Casati, nello stilare quella che sarebbe stata una fondamentale seppur discussa riforma dell’istruzione, pose quale materia di studio anche i beni culturali, secondo una accezione per quei tempi oltremodo moderna.
Ma la storia dei provvedimenti a favore dei beni culturali in Italia ha, come dicevamo prima, origine solo dopo una maturata convinzione delle necessità ed una appurata presa di coscienza (ancor prima che di definita conoscenza) del patrimonio storico, artistico e naturalistico della Nazione.
 

Legge Nasi
n. 185/1902
E così, la prima disposizione legislativa organica dell’Italia unita, espressamente dedicata ai beni culturali (anche se nel titolo si faceva riferimento alla “Tutela del patrimonio monumentale”) è del 1902 (n. 185) conosciuta come “Legge Nasi” dal nome del Ministro della pubblica Istruzione in carica al momento della sua approvazione. Lo studio di questa legge, ancora oggi, ci sorprende per gli spunti di interesse in essa rinvenibili, introducendo temi ancora attuali, sia pure nella diversa accezione e formulazione che la corrente legislazione gli configura. Infatti, questa legge, oltre a spiegare i concetti di tutela dei monumenti e dei reperti archeologici, introdusse temi quali il limite dei 50 anni dalla produzione dell’oggetto perché la tutela potesse svolgere i suoi effetti, o il discusso concetto della cosiddetta “tutela indiretta” consistente nella possibilità di regolamentare, previo indennizzo, l’edificazione nelle vicinanze di monumenti tutelati; a questa legge è anche da attribuire l’introduzione del diritto di prelazione a parità di offerta da parte dello Stato nella compravendita di beni oggetto di tutela e l’introduzione del divieto di esportazione per tali oggetti. Erano riportati in essa anche i criteri risarcitori per i proprietari dei fondi ove i beni oggetto di tutela fossero stati rinvenuti. Ma la legge Nasi, sia pur dalla portata innovativa, ebbe però una incisività relativa e le motivazioni della sua inefficacia sono da ricercarsi nella previsione di un catalogo dei monumenti ove includere tutti i beni da tutelare, operazione oltremodo difficile qualora posta nei confronti di un patrimonio storico culturale come il nostro e in definitiva macchinosa, lasciando tempi di attuazione assolutamente non sostenibili. All’uopo si cercò di provvedere con un regolamento di attuazione che vide la luce nel 1904 ma che appariva anch’esso di difficile applicazione essendo più monumentale dei monumenti che doveva proteggere: ben 418 articoli, non sempre coerenti tra loro, e che non riuscirono a raggiungere l’intento di aiutare l’applicazione della legge.

 

Legge Rosadi
n. 364/1909
Stanti le difficoltà di esecuzione di questa legge, il successivo Ministro della pubblica Istruzione, Bianchi, nominò una commissione per l’elaborazione di una nuova legge di tutela (c.d. Legge Rosadi) che vide la luce nel 1909 con il n. 364. L’oggetto di tutela di questa legge veniva decisamente ampliato passando dai generici “monumenti” a “ …. le cose immobili e mobili che abbiano interesse storico, archeologico, paletnologico o artistico …”. Inoltre la legge introduceva alcune novità di cui una fondamentale: l’istituzione della notifica. Attraverso questo meccanismo il provvedimento di tutela non era più subordinato all’inclusione di un determinato bene all’interno di un catalogo ma si decideva di ufficializzare, mediante notifica, la difesa dei singoli beni da porre sotto tutela, man mano che i beni venivano individuati. Questa legge introduceva anche limitazioni per quei diritti della proprietà privata in materia di esportazione ed eliminava il già previsto indennizzo per le eventuali limitazioni per i proprietari delle aree limitrofe ai provvedimenti di tutela.

 

L. n. 688/1912
Con la legge 688 del 1912, poi, la validità della legge Rosadi veniva estesa a ville, parchi e giardini con il riconoscimento di interesse storico artistico: nasceva così il primo provvedimento estensivo di tutela del paesaggio nazionale.

 

 
Regolamento di esecuzione del 1913
Ad entrambe queste leggi si diede attuazione attraverso un nuovo regolamento di esecuzione, posto in essere nel 1913, dal carattere snello e composto di “soli” 189 articoli divisi in tre titoli: il primo dedicato al regime interno delle cose di interesse, il secondo alla loro esportazione e l’ultimo alle disposizioni finanziarie. Questo regolamento è sopravvissuto al suo tempo. Infatti fino all’ultimo Codice Urbani, ha avuto in sorte di resistere alle leggi che si sono nel tempo succedute, da quelle del giugno del 1939, che per l’immediatezza del periodo bellico non ebbero successiva regolamentazione, per arrivare fino al T.U. del 1999.

 

Codice Penale
R.D. 1938 del 19.1.1930
Art. 733 c.p.
Continuando nella nostra cronistoria dei provvedimenti a carattere generale che si sono a vario titolo interessati della materia dei beni culturali, rinveniamo all’interno del Codice Penale del 1930 (R.D. 1938 del 19.1.1930) le sanzioni (anche aggiornate, chiaramente, da disposizioni successive) previste per il danneggiamento ed il deturpamento di beni, con la previsioni di aggravanti qualora tali reati vengano perpetrati nei confronti di “ … cose di interesse storico, artistico o destinate all’esercizio di un culto …” (artt. 635 e 650 c.p.), trovando specifica previsione di reato nell’art. 733 c.p. (Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale) e per quanto riguarda la distruzione o il deturpamento di bellezze naturali nell’art. 734 c.p..

 
Ma l’anno (addirittura il mese:giugno!) che ha rappresentato una vera svolta epocale nella tutela dei beni culturali e ambientali è sicuramente il 1939. Infatti il 1.6.1939 con la legge 1089 la Nazione otteneva un testo organicamente maturo per la “tutela delle cose di interesse artistico e storico”, mentre il 29 dello stesso mese ed anno si emanava la legge n. 1497 avente ad oggetto la protezione delle bellezze naturali.

L. n. 1089/39
Tutela delle cose di interesse artistico e storico
L. n. 1089/1939
Proponente e fautore della legge 1089/39 fu il Ministro Giuseppe Bottai, allora Ministro dell’Educazione nazionale, che volle ribadire l’importanza primaria che il regime assegnava all’arte come strumento indispensabile di educazione della collettività. Ma la compilazione di questa legge, fondamentale per la nostra legislazione di riferimento, fu così ben portata avanti dalla commissione incaricata che oltre a recepire i passi fino ad allora compiuti poneva attenzione in campi di intervento prima non esplorati o insufficientemente trattati, spaziando così dai beni di interesse artistico e storico fino a comprendere l’arte contemporanea, le manifestazioni e le istituzioni sportive, i restauri, gli Archivi e la Discoteca di Stato, il diritto di stampa e d’autore fino alla materia urbanistica ed alle relative organizzazioni amministrative. Oltre a comprendere questi innovativi capi di intervento la legge disciplinò le funzioni di tutela, di valorizzazione nonché di gestione e promozione dei beni culturali. Questione mai prima affrontata.

Ogni legge successiva, anche se abrogante di questo o di quell’articolo della 1089/39 ne ha sempre rispettato l’impianto e la costruzione logica.

L. n. 1497/39
Protezione delle bellezze naturali
 


L. n. 1497/1939
Come detto lo stesso mese dello stesso anno, nel giorno 29, veniva emanata la legge n. 1497 avente ad oggetto la protezione delle bellezze naturali. Con questa legge il concetto di paesaggio viene definitivamente incluso nel patrimonio nazionale che diventa così suddiviso nelle due categorie di beni culturali e paesaggistici.

Con questa legge si prende consapevolezza della rilevanza del paesaggio ai fini della determinazione dell’identità nazionale come già previsto da Benedetto Croce, Ministro dell’ultimo governo Giolitti (1922) quando definì il paesaggio come “ .… la rappresentazione materiale e visibile della Patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo”.
La legge prevede l’istituzione di un piano paesistico concepito quale mezzo innovativo di valorizzazione del territorio e momento di contatto, e direi di riflessione, con le esigenze edilizie ed urbanistiche.
Questa legge, peraltro per moltissimo tempo unico baluardo per le tematiche ambientali nel deserto legislativo che ha caratterizzato questa materia fino agli anni ’70 dello scorso secolo (momento dal quale è iniziata una forse altrettanto curiosa e a volte esagerata produzione legislativa), si pone a fondamento delle tematiche paesaggistiche della Nazione. Solo nel 1985, infatti, l’impianto della 1497/39 verrà posto in discussione dalla legge c.d. Galasso (n. 431/1985) che rilancia la pianificazione del paesaggio attraverso il coinvolgimento di tutte le regioni (operazione lungimirante stante la recente riforma dell’art. 117 Cost. che prevede la legislazione concorrente per la materia del “Governo del territorio”).

Codice Civile
R.D. 16.3.1942 n. 642
art. 826
 


Nel 1942 vedeva la luce il nostro Codice Civile (R.D. 16.3.1942 n. 642) all’interno del quale oltre a trovare materia astrattamente riconducibile al nostro tema secondo l’interesse privatistico, nel terzo libro, in particolare al capo secondo del titolo primo, riguardante “beni appartenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici” troviamo l’art. 826 che introduce il concetto di patrimonio indisponibile dello Stato per “ …. le cose di interesse storico, archeologico, paletnologico e artistico, da chiunque e in qualunque titolo ritrovate nel sottosuolo …”. Ed ancora all’art. 831 viene previsto come i beni degli enti ecclesiastici e gli edifici di culto sono soggetti al Codice Civile se non diversamente disposto dalle leggi speciali che li regolano e come gli edifici destinati al culto cattolico anche se privati non possono essere sottratti alla loro destinazione.

Costituzione della Repubblica
artt. 9, 117, 118.

Il 22.12.1947 (promulgata il 27 dello stesso mese ed entrata in vigore il 1.1.1948) viene approvata dall’Assemblea Costituente la Costituzione della Repubblica Italiana.

Lo studio della Carta fondamentale del nostro Ordinamento ci permette di ritrovare le tematiche da noi affrontate sotto diversi aspetti anche se per i soliti motivi di economia degli spazi affrontiamo in questa sede le  previsioni più evidenti ed esplicite.
Innanzitutto l’art. 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
 La lettura di questo articolo ci porta a due considerazioni preliminari: 1) il recepimento (al 2° comma) all’interno dei principi fondamentali della Costituzione dei concetti espressi nelle due leggi del giugno del 1939 e 2) la stretta correlazione tra il primo ed il secondo comma dell’articolo laddove nel primo si tratta lo sviluppo della cultura mentre nel secondo si parla di patrimonio storico e artistico innovando così la concezione statico – conservativa del patrimonio culturale verso una concezione dinamica della cultura, ossia una concezione orientata al pubblico godimento con fini di ricerca e di promozione, sia pur dichiaratamente con esigenze di tutela.
E’, peraltro, in seconda deliberazione presso la Camera dei deputati la revisione di questo articolo con la previsione di un terzo comma che preveda in maniera esplicita come “La Repubblica tutela l’ambiente e gli ecosistemi anche nell’interesse delle generazioni future, protegge la biodiversità e promuove il rispetto degli animali”. Un bel passo in avanti, anche se a questo punto la necessaria seconda deliberazione dovrebbe avvenire attraverso il meccanismo della “prorogatio”, stante l’inizio della nuova legislatura. Vedremo.
Proseguendo la lettura della Carta troviamo come l’art. 44 statuisce obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata anche per conseguire un razionale sfruttamento e con ogni conseguenza di espropriabilità delle proprietà private ai sensi dell’art. 42 Cost. E’ ovvia e conseguente la capacità operativa di quest’articolo nei confronti dei beni culturali e paesaggistici laddove, beni di particolare pregio e in pericolo di compromissione possano essere, con le modalità che le leggi correnti prevedono, rimessi attraverso il meccanismo dell’esproprio nel patrimonio diretto dello Stato.
Stato che ha legislazione esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, come recita la lettera “s” del 2° comma dell’art. 177 Cost. secondo la riforma del Titolo V della Costituzione intervenuta con legge Costituzionale n. 3 del 2001. La ratio di questa previsione è da ritrovare nella necessità per lo Stato di conferire una maggiore uniformità ed omogeneità strategica all’azione di tutela, senza differenze sul territorio nazionale. Ciò non esclude che le Regioni possano introdurre misure di tutela più rigorose adattandole ai diversi contesti territoriali in attuazione del principio della differenziazione e della sussidiarietà. In tal senso, peraltro, l’art. 117 Cost. prevede al 3° comma tra le materie di legislazione concorrente anche la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione e organizzazione di attività culturali. Così come l’art. 118 Cost. al 3° c. prevede forme di intesa e coordinamento tra Stato e Regioni nella esplicitata materia della tutela dei beni culturali.
 

Convenzione UNESCO del 14.5.1954 per  protezione beni culturali in guerra
E’ del 14.5.1954 la prima Convenzione dell’UNESCO per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato. Tale convenzione internazionale vede la luce dopo le aberranti esperienze della guerra e si fonda sulla convinzione che il patrimonio culturale anche di una singola nazione deve essere considerato di appartenenza dell’intera umanità, quale espressione delle culture dei paesi ove trova compimento. In tal senso il testo della convenzione redige una dettagliata definizione dei beni culturali ai fini della loro protezione e salvaguardia, elencando le misure (anche militari) necessarie per l’esecuzione della convenzione. L’Italia è membro dell’UNESCO dalla fondazione dell’organismo.

Convenzione UNESCO 1970 su importazioni ed esportazioni illecite di beni culturali
 


Ancora nel 1970 l’UNESCO emana una nuova Convenzione avente ad oggetto la prevenzione e la proibizione delle importazioni ed esportazioni illecite di beni culturali.
 

 
Dagli anni ’70 dello scorso secolo in poi la legislazione nazionale sui singoli aspetti dei beni culturali e paesaggistici diviene frequente e frammentata in un grande numero di norme che non sempre hanno apportato i benefici sperati non risultando facile l’applicazione delle disposizioni delle varie norme.

Commissioni Franceschini, Papaldo, Giannini
E’ in questo periodo che il Parlamento, prendendo coscienza del problema, affida a varie Commissioni (Franceschini nel 1967, Papaldo nel 1970 e Giannini nell’82 e nell’89) progetti e disegni di legge per il riordino della materia. Tali lavori saranno preziosi per la successiva, e fino alla più recente, produzione legislativa.

1974 Istituzione Ministero per i beni culturali e per l’ambiente
 


Con il D.L. 14.12.1974 n. 657 (poi convertito con la L. 29.1.1975 n. 5) si istituisce il Ministero per i beni culturali e per l’ambiente.
A tale Ministero vengono conferite le competenze di tutela, valorizzazione e diffusione del patrimonio culturale del Paese e ad esso vengono devolute le attribuzioni spettanti al Ministero della pubblica Istruzione per le attività e le belle arti, per le accademie, le biblioteche e per la diffusione della cultura nonché quelle per la sicurezza del patrimonio nazionale. Le direzione, con il personale, le sedi e gli strumenti operativi, in essere presso il precedente Ministero passano al nuovo costituito.
 

Legge Galasso n. 431/1985
Come anticipato durante l’esame della legge 1497/39, è del 1985 la legge c.d. Galasso (n. 431) che rivede in via radicalmente innovativa la tutela del paesaggio, finendo per essere anche in campo ambientale un baluardo nei confronti, nello specifico, dell’abusivismo edilizio.

 

L. n. 241/90
Conferenza dei Servizi
Con la rivoluzionaria legge 241 del 7.8.1990, avente ad oggetto nuove norme in materia di procedimenti amministrativi e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, si introduce la previsione della Conferenza dei Servizi, chiamata ad operare anche per l’organizzazione dei procedimenti amministrativi nei campi della tutela dell’ambiente e dei beni culturali.

 

1992
Comando Carabinieri per la tutela patrimonio artistico
 


Dal 1992 è operante un Comando Carabinieri per la tutela del patrimonio artistico, distaccato presso il Ministero per i beni e le attività culturali (anche se allora si chiamava ancora per i beni culturali e per l’ambiente) con delega sulla sicurezza del patrimonio culturale e sull’acquisizione di dati informativi. I successi quotidiani del Comando sono sotto gli occhi di tutti ed ampiamente divulgati anche quale mezzo per la diffusione delle informazioni riguardanti i beni recuperati; all’interno dell’Arma, contro ogni previsione ed in ossequio all’ottimo lavoro svolto, è diventato motivo di prestigio poter accedere a questo reparto.
 

Regolamento CEE n. 3911/92
Controllo sulle esportazioni beni culturali fuori confini della Comunità
Con il Regolamento CEE 3911/92 la Comunità Europea ha voluto dare un forte segnale circa la materia dell’esportazione dei beni culturali, intendendo uniformare i controlli sulle esportazioni di beni culturali alle frontiere esterne della Comunità. Viene in tal senso introdotta la figura della licenza di esportazione, che ha validità in tutta la Comunità.

 

Direttiva 93/7/CEE
Restituzione beni culturali
usciti illecitamente da uno Stato membro
Mentre è del 15 marzo del 1993 la Direttiva n. 93/7/CEE relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro in violazione della legislazione di quello Stato membro o del Regolamento CEE 3911/92. In tal senso la Direttiva prevede l’istituzione di una Commissione comunitaria per il procedimento di reintegra nel patrimonio dello Stato membro del bene artistico o culturale uscito illegalmente. Questa Direttiva è stata recepita in Italia con L. 30.3.1998 n. 88 “Norme sulla circolazione dei beni culturali”.

 

D.Lgs. n. 368/98
Istituito Ministero beni e attività culturali
Con il Decreto Legislativo n. 368 del 20.10.1998, in forza della legge delega n. 57/97, viene istituito il Ministero per i beni e le attività culturali, sostituendosi così al precedente Ministero per i beni culturali e ambientali, laddove la previsione “ambientali” aveva causato non poche conflittualità con il Ministero per l’Ambiente nel frattempo sorto nel 1986. Peraltro, l’introduzione del concetto delle “attività culturali” conferisce al Ministero in parola attribuzioni anche in materia di spettacolo, di sport e di impiantistica sportiva, ponendo i presupposti per quella interdisciplinarietà che è tipicamente connaturata con ogni manifestazione culturale e che il parlamento, ed in genere l’opinione pubblica, richiedevano al Ministero.

 

D. Lgs. n. 490/99
T.U. disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali
Per porre chiarezza nella materia, ormai ingolfata dalle mille piccole e meno piccole (dire grandi sarebbe troppo) aggiunte e modifiche alla L. 1089/39, il Parlamento aveva conferito delega al Governo, con L. 352/97, per predisporre un testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali. Con leggero ritardo rispetto la prevista puntualità, il D. Lgs. 490 del 29.10.1999 in 166 articoli ricomprende, cercando di tenere una certa coordinazione, tutta la precedente legislazione nazionale nonché il recepimento delle Convenzioni internazionali e dei Regolamenti e delle Direttive della Comunità Europea. Le previsioni inserite nella L. 1089/39 sono ancora il nucleo centrale del T.U. che oltre alla tutela prevede anche finalità di valorizzazione dei beni culturali, secondo le mutate esigenze dei tempi. Viene, inoltre, innovato il procedimento della dichiarazione di interesse per i beni facenti parte il patrimonio storico, artistico, demo-etno-antropologico, archeologico, archivistico e librario, appartenenti a soggetti privati. La dichiarazione, pertanto, avviene quale atto conclusivo del procedimento di identificazione del bene da porre sotto tutela e separato dall’atto di notifica della dichiarazione stessa all’interessato, concedendo a quest’ultimo dei termini di garanzia secondo quanto intervenuto con la L. 241/90.

 

D. Lgs. n. 42/2004
Codice dei beni culturali e del paesaggio
D. Lgs. n. 490/99
T.U. sulle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali
Ma è con il D. Lgs. n. 42 del 22.1.2004, su delega del Parlamento intervenuta con L. 137/2002 (art. 10) avente ad oggetto la riorganizzazione, il riassetto e la codificazione in materia di beni culturali e ambientali, spettacolo, sport, proprietà letteraria e diritto d’autore, che nasce il c.d. Codice Urbani, ossia la prima esperienza codicistica nella materia che il nostro ordinamento abbia mai visto. In particolare questo Codice dei beni culturali e del paesaggio, in cinque parti e 184 articoli, abrogando il precedente T.U. del ’99 si prefigge, secondo la presentazione dello stesso Ministro Urbani, di ottenere:

a)     Il pieno recupero del paesaggio nell’ambito del “patrimonio culturale”, del quale oggi costituisce parte integrante alla pari degli altri beni culturali del nostro Paese.
b)    Il fondamentale riconoscimento del carattere rigorosamente unitario della tutela dell’intero nostro patrimonio storico - artistico e paesaggistico, così come previsto dalla Costituzione della Repubblica, sia nell’art. 9 sia nel nuovo Titolo V, agli articolo 117 e 118.
c)     L’enucleazione, finalmente caratterizzata in modo compiuto, sia sotto il profilo formale che funzionale, di un apposito demanio culturale nell’ambito del più ampio patrimonio pubblico, al quale sono ascritti tutti quei beni la cui piena salvaguardia ne richiede il mantenimento nella sfera della proprietà pubblica (statale, regionale, provinciale, comunale che sia) così come imposto dall’interesse della collettività.
d)    L’autentica svolta che porterà la pianificazione in materia urbanistica ad avere d’ora in avanti un carattere rigorosamente subordinato rispetto alla pianificazione in materia paesaggistica, di fronte alla quale la prima dovrà essere sempre pienamente compatibile.
Il programma è certamente ambizioso e sorge con le migliori intenzioni ma è anche cauto sulle aspettative laddove viene prevista la possibilità per il Codice di essere riconsiderato, aggiornato e corretto nell’arco di 24 mesi dall’entrata in vigore. Meccanismo che ad oggi possiamo dire essere puntualmente intervenuto.
Con questa presentazione sembrerebbe che la materia venga totalmente stravolta rispetto alla legislazione precedente. In realtà dalla lettura dell’articolato questo non si evince anzi il Codice appare nel solco della tradizione ormai più che secolare dei beni culturali, consistendo in dichiarazioni di interesse pubblico, limiti all’esportazione, prelazioni, disciplina dell’uso dei beni. Le innovazioni, e ce ne sono, riguardano le garanzie procedimentali sia per i privati che per i rapporti tra Stato e Regioni.
La trama è strutturata in: disposizioni generali; beni culturali e loro tutela; valorizzazione dei beni culturali; beni paesaggistici; sanzioni.
I principi del Codice fanno riferimento a due grandi gruppi: 1) rapporti tra pubblico e privato e 2) distribuzione di funzioni tra Stato e Regioni. Per il primo gruppo, come autorevolmente affermato, si può dire che “lo Stato estende il suo controllo mentre limita la sua gestione”, riconoscendo validità, dunque, a forme di gestione indiretta attraverso i privati, la promozione di attività di studio e di ricerca, le sponsorizzazioni e gli accordi con le fondazioni private. Sul piano, invece, dei rapporti tra Stato e Regioni, il Codice segue la riforma del Titolo V della Costituzione, contemplando per la tutela l’attività legislativa dello Stato (art. 117 Cost., 2°c., lett. s), sia pur con forme di intesa e di cooperazione (art. 118 Cost., 3°c.) con le Regioni e gli enti locali. La valorizzazione invece, come visto, è affidata alla legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni, ma secondo il regime proprietario, per cui sui beni di proprietà dello Stato (la maggior parte) sarà lo Stato a dettare le norme sulla valorizzazione e viceversa. Analogamente il Codice disciplina anche i relativi compiti amministrativi, “correggendo” di fatto a favore dello Stato, la distribuzione delle funzioni disposta con la riforma del 2001. Infine, per tentare di attenuare la sempre presente caratteristica statalistica della normativa del 1939, il Codice impronta ad un nuovo modello i rapporti tra Stato e cittadino, cercando di tutelare la volontà di quest’ultimo che voglia farsi udire prima dell’imposizione dei vincoli.
 
Rispetto al 1939 i tempi sono cambiati. Così come sono cambiate le esigenze di tutela dei beni culturali e paesaggistici. Troppe nuove figure, siano esse legate ai rapporti internazionali o alle disponibilità finanziarie, sono intervenute in questi 65 anni. Troppo sono cambiate le esigenze sia di tutela che di valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, e diversi sono i soggetti, anche istituzionali, chiamati ad interagire. Troppo è maturata la coscienza dei singoli cittadini e lo Stato ha imparato a tenerla in debito conto. Questo Codice sembra aver recepito i cambiamenti. Ma l’impianto iniziale era buono. E pare sopravvivere. Mutatis mutandis.