Un piatto di pesce e plastica
di Carlo Petrini - 24/08/2006
Non è il primo avvertimento né l'ultimo. Ricordo gli autorevoli studi di Silvano Focardi, rettore dell'Università degli Studi di Siena, professore ordinario di Ecologia, docente presso l'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Già nel '91, dopo una ricerca condotta nel Mediterraneo su una vasta morìa di delfini, Focardi aveva concluso che fosse da imputare alla concentrazione di Pcb nell'organismo di questi mammiferi, e al conseguente abbassamento delle loro difese immunitarie. Sono passati quindici anni, e il problema è sempre lì.
Da tempo la comunità scientifica ci avverte, ogni giorno, che l'ecosistema mondiale è gravemente compromesso dall'attività dell'uomo. Ma chi governa l'economia globale sembra sordo e cieco verso il futuro, considera solo il problema della crescita e del profitto immediato.
Sono rimasto estremamente colpito dai risultati della ricerca Millennium Ecosystem Assessment presentati nel 2005 da 1300 scienziati internazionali: la maggiore causa di inquinamento e distruzione di ecosistemi e biodiversità è la produzione di cibo.
Anche questa notizia della plastica che avvelena le acque, e noi stessi, può essere riconducibile al sistema cibo: proviamo a fare caso, aprendo gli scaffali delle nostre dispense, all'imballaggio che riveste gli alimenti, per lo più inutile e dannoso. L'industria alimentare pare soffrire di sindrome da frenesia del packaging: porzioni sempre più piccole, più singole, più inquinanti...
Adottiamo comportamenti virtuosi, privilegiamo nell'acquisto alimenti senza imballaggi di plastica, rivolgiamoci a chi produce cibo vicino a noi, accorciamo e semplifichiamo la filiera. Nell'attesa che la classe politica mondiale si scuota da un torpore che sta diventando criminale è la società civile ad essere chiamata ad agire prima che la cieca logica del profitto avveleni irrimediabilmente noi e la nostra Terra Madre.