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Il comunismo nel mercato globale

di Piero Visani - 18/10/2005

Fonte: linea

La corsa inarrestabile della Cina moderna
Il comunismo nel mercato globale

Piero Visani
IIl veicolo spaziale SHENZHOU
VI, in orbita da qualche
giorno ad una distanza
di 350 km dalla Terra, è la
dimostrazione più palese – se
ancora ce ne fosse bisogno –
che la Cina fa sul serio, che sta
sviluppando una politica molto
ambiziosa e al tempo stesso
graduale, articolata per tappe e
basata su una progettualità che
gran parte del mondo occidentale
pare aver completamente
dimenticato.
A ben guardare, la Cina è una
realtà del tutto anomala nello
scenario internazionale attuale:
dotata di uno spiccatissimo
senso della storia e di una concezione
del tempo assai diversa
da quella nevrotica tipica degli
occidentali, essa si è data delle
tappe per il conseguimento dei
suoi obiettivi e le sta portando
inesorabilmente a compimento
l’una dopo l’altra. Pechino sa
dove vuole arrivare e sa pure
bene di non poterlo fare bruciando
i tempi, e allora procede
sorniona, per gradi, ben conscia
che nessuno può arrestare
il suo cammino. Il vecchio
principio de “il numero è
potenza”, oggetto di interminabili
sberleffi da parte dei fautori
dell’imperialismo democratico,
si sta dimostrando assolutamente
fondato quando si basa
su una popolazione di 1,3
miliardi di persone e su uno
spazio geografico di dimensioni
e profondità tali da non
poter essere spazzato via in
alcun modo, neppure con un
“primo colpo” nucleare.
La dirigenza cinese è comprensibilmente
molto attenta a sottolineare
la natura assolutamente
pacifica e civile del proprio
programma spaziale, che
presenta al mondo come una
scelta intesa a far diventare il
Paese una superpotenza scientifica
e tecnologica, e non
necessariamente militare. E
cerca di dare corpo alle proprie
affermazioni sottolineando
come tale programma costi
appena 2,2 miliardi di dollari
l’anno, una cifra che rappresenta
poco più di un decimo di
quanto viene speso dalla
NASA americana. Le dichiarazioni
rassicuranti,
tuttavia, non possono nascondere
gli obiettivi molto ambiziosi
del programma stesso, che prevedono
la costruzione di una stazione
spaziale orbitante entro un massimo
di dieci anni e lo sbarco di un
primo astronauta sulla Luna entro
il 2020.
Gli Stati Uniti sono costretti a fare
buon viso a cattivo gioco e sono
troppo pesantemente impegnati nel
pantano iracheno e mediorientale
per poter volgere più di tanto la
loro attenzione ad altri scenari
strategici, ma a nessun esperto
americano sfugge il fatto che, dietro
le rassicurazioni di facciata, il
contenuto militare del programma
spaziale cinese è chiarissimo e
decisamente preoccupante per gli
USA. Sono sufficienti alcune scarne
valutazioni di carattere tecnico
per eliminare ogni dubbio: in primo
luogo, per poter portare in
orbita un veicolo spaziale, è necessario
che sia divenuta sempre più
sofisticata la tecnologia dei vettori
missilistici indispensabili al trasporto
di tale veicolo. Ciò significa
che, se oggi tali vettori sono in
grado di trasportare una navicella
spaziale, sono già altrettanto in
grado di trasportare testate missilistiche
sofisticate, capaci di colpire
contemporaneamente una molteplicità
di bersagli. E tutti i tecnici
sanno che, in campo missilistico,
la tecnologia dei vettori è assai più
importante di quella delle testate,
dal momento che sono i vettori a
portare le testate sugli obiettivi, e
non viceversa.
In secondo luogo, un veicolo spaziale
di tipo avanzato come lo
SHENZHOU VI non è ovviamente
dotato soltanto di capacità per
impieghi civili, ma è certamente
provvisto di capacità (probabilmente
anche superiori) di carattere
militare, a cominciare da quella di
poter essere utilizzato nell’attacco
a satelliti e ad altri sistemi spaziali
statunitensi. Questo è forse l’aspetto
che maggiormente preoccupa la
dirigenza americana, la quale è
perfettamente consapevole del fatto
che i grandi conflitti del futuro
(e non vi è dubbio che ve ne saranno…)
avranno una componente
spaziale di importanza cruciale,
per non dire decisiva.
I progressi cinesi in questi campi –
e siamo così al terzo e ultimo punto
– dimostrano inequivocabilmente
che Pechino è ormai una potenza
con ambizioni planetarie e, quel
che più conta, la sua dirigenza
politica la vuole trasformare non
appena possibile in una superpotenza,
dotata di tutti gli strumenti
di dominio indispensabili a chi
nutra aspirazioni di egemonia.
Al momento attuale – come si
diceva – gli Stati Uniti non sembrano
disporre di strumenti realmente
efficaci per contrastare questa
spinta poderosa della Cina: non
solo e non tanto perché la dirigenza
di quel Paese sta facendo di tutto
per dissimulare i propri reali
obiettivi e per renderli “politicamente
corretti”, dunque facilmente
presentabili al resto del mondo
come la realizzazione di programmi
del tutto legittimi, ma perché
per il momento non sono ancora
state trovate strategie adeguate per
contrastare la crescita cinese: il
“comunismo di mercato” – quella
miscela esplosiva che combina
repressione politica con dimensione
capitalistica dell’economia,
nazionalismo acceso con cultura
confuciana, livelli esasperati di
produttività con lucida comprensione
degli obiettivi da raggiungere
– appare al momento difficilmente
contrastabile da parte americana,
se non facendo pesantemente
appello al cosiddetto soft
power, cioè alla capacità di
introiettare nelle società civile
cinese elementi di democratizzazione,
di consumismo, di soggettivismo:
in una parola, di americanizzazione
culturale. Finora la
cosa non ha avuto successo, sia
perché per ridurre una distanza
culturale molto ampia occorre
tempo e la capacità di individuare i
punti deboli dell’avversario, cioè
là ove introdurre gli elementi di
disgregazione della sua società e
della sua cultura, sia perché le
autorità cinesi si sono dimostrate
molto consapevoli della devastante
potenza di questo tipo di aggressione
e vigilano affinché non si
manifesti e comunque possa essere
contenuta al massimo (si pensi ai
controlli esercitati da Pechino sull’impiego
di Internet da parte dei
cinesi e all’aiuto prestato in tal
senso loro – in un’ottica assai miope
e puramente economica – da
Google). Ma la battaglia in questo
campo è apertissima e comincerà
davvero solo se e quando la società
cinese diventerà più complessa,
articolata e sofisticata di quella
attuale.
Come che sia, è ormai sempre più
evidente che la Cina sarà uno dei
massimi protagonisti (se non il
massimo) del XXI secolo. Il suo
“assalto al potere mondiale” è già
cominciato. Chi lo detiene attualmente,
cioè gli USA, ha da preoccuparsi
di un temibilissimo concorrente.
Chi, come l’Europa, vive
già oggi in una condizione subalterna
e servile, dovrebbe affrettarsi
a decidere se farne il proprio definitivo
destino o se, in un ormai
imminente rimescolamento di carte
su scala planetaria, il riavvicinamento
ad un altro gigante malato –
la Russia – non potrebbe offrire
almeno un’ipotesi di rimedio ad
una decadenza altrimenti inarrestabile.