Rodolfo Quadrelli, la voce più alta dell'Italia silenziosa
di Marcello Veneziani - 22/10/2014
Fonte: Marcello Veneziani
Amava la tradizione senza essere conservatore. E con largo anticipo denunciò l'avvento del nichilismo e l'americanizzazione dell'Europa
Amava la tradizione senza essere conservatore. E con largo anticipo denunciò l'avvento del nichilismo e l'americanizzazione dell'Europa
«L'Italia non è un paese moderno e non è detto che questa sia una disgrazia». Con un incipit così, in pieno progressismo e in piena modernolatria, dove pensate che potesse finire Rodolfo Quadrelli? Nella segrete dell'oblio, maledetto tra gli oscurantisti.
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Trent'anni fa Quadrelli morì all'età di 45 anni, forse si trattò di un suicidio, come quello di Guido Morselli alcuni anni prima. A pochi giorni di distanza in quel 1984 morì Giovanni Volpe, editore nel segno della Tradizione. Quadrelli torreggiava in quell'arcipelago di solitudini scontrose e antimoderniste che affiorò nella vita civile e culturale italiana di mezzo secolo fa dopo la bufera sessantottina. Alcuni di loro furono brillanti promesse mancate prematuramente: oltre a lui, penso a un filosofo cattolico come Emanuele Samek Lodovici o su altri versanti a Franco Pintore o Adriano Romualdi, tutti scomparsi in quegli anni, in età sotto i quaranta o poco più.
Quadrelli, milanese, insegnava in un liceo, era un cattolico di disparte, scriveva saggi e poesie, pubblicava da Vallecchi e da Rusconi, piaceva a Prezzolini e a Del Noce, dispiaceva a Umberto Eco ma non a Claudio Magris. Non era fascista e non si definiva conservatore, amava la tradizione, l'Italia genuina e «provinciale», la cultura orale. La cultura di un popolo, scriveva, è quel complesso di valori, vissuti come verità, che appaiono dai riti, dai gesti, dai costumi, e che si esprime nell'oralità oltre che nella scrittura. Denunciava la perdita di identità e radici, l'eclissi del senso religioso e l'avvento del nichilismo, la sostituzione della tradizione con la storia, paventava un nuovo totalitarismo e criticava l'americanizzazione dell'Europa. Si situava nel solco di Dante, che considerava anche filosofo, e riteneva che compito della poesia fosse scoprire la via «che si chiama per ognuno destino e tradizione per tutti». Amava Eliot e Pound, Noventa e Solzenicyn, e riconobbe la grandezza e la contraddizione di Pasolini, «poeta maledetto perché vissuto in un'epoca in cui la poesia e la religione sono maledette»; amò i suoi ultimi scritti polemici e poetici e condivise la rivendicazione della poesia totale, scrivendo alla sua morte che «era dogmatico come tutti gli innocenti e come tutti i peccatori non ipocriti». Il suo grande limite fu non aver riscoperto l'idea di tradizione.
I libri di Quadrelli toccano la metafisica dei costumi, la filosofia delle parole e delle cose viventi, cercano il senso del presente e sono un amoroso viaggio nell'Italia profonda, «paese umiliato» e dominato da una «mezzacultura» che nasce radical e finisce nichilista. Non fu un reazionario perché a suo parere la redenzione del passato non si compie volgendosi ingenuamente indietro, come Orfeo che si volse verso Euridice e la perse per sempre; «piuttosto rinunciando ad osservarlo per riottenerlo nel futuro». Compito del poeta per lui è rappresentare la tradizione per il proprio tempo e redimere il linguaggio dall'usura del tempo e dalla corruzione delle generazioni.
Poco o nulla si trova in giro delle sue opere: gli ultimi testi che rividero la luce nel terzo millennio furono La tradizione tradita (ed. Leonardo) che univa due saggi degli anni Settanta e che sintetizza già nel titolo il senso dei suoi scritti, e Lo studio della letteratura europea pubblicato dal Cerchio e curato da Andrea Sciffo. Qui Quadrelli scrive: «Troppe realtà sono state conculcate, fatte sparire, segretamente processate come in un grandioso processo staliniano: non basta riabilitare i morti, occorre dar voce ai vivi». E auspica il ritorno a una cultura pubblica, non privata, di strada e di piazza, che colleghi l'interno all'esterno, l'intimo al mondo ed è «uno dei segreti della felicità italiana ed europea». Quadrelli non condivideva «lo spiritualismo igienico» dei Paesi protestanti e il loro puritanesimo né si riconosceva in quell'odio verso la materia di matrice gnostica e «piagnona»; ma al contrario auspicava il ritorno a un sano «materialismo» nel senso aristotelico e tomista dell'incarnazione. È inutile precisare che qui materialismo sta per realismo, legame con la terra, la vita, la natura e la realtà e non col materialismo storico e dialettico. Come diceva Majakowskij: «Da quando domina il materialismo è scomparsa la materia». È la stessa linea di Charles Péguy, Gustave Thibon, Marcel de Corte e altri autori del realismo cristiano attenti alla dimensione concreta, terricola e carnale della vita.
Nei primi anni Settanta in Italia stava condensandosi una grande cultura legata all'idea di tradizione, critica sia verso il potere dominante che verso i contestatori, che considerava le sue guardie bianche: oltre gli autori citati, spiccavano in quegli anni Del Noce, Fabro e Sciacca, o su altri versanti Evola e Scaligero, Cristina Campo e Zolla, Quirino Principe e Rosario Assunto, Morra, Marcolla e Sermonti. Sul piano accademico emergeva Giovanni Reale, appena scomparso, che riportava il pensiero nel grembo della metafisica e della tradizione spiritualista. Ma l'ostracismo della grande editoria e della grande stampa, l'ostilità del potere culturale e accademico, l'assenza di sponsor, l'indifferenza se non la diffidenza del ceto politico di centro-destra, la morte precoce di alcune giovani promesse, la moria di testate affini o almeno ospitali, l'inattitudine a costituire un intellettuale collettivo, con una strategia e un pensiero comunitari, condannarono all'isolamento e alla disperazione i suoi esponenti. Eppure sarebbe stato assai proficuo vivere i decenni seguenti avendo a disposizione divergenti letture culturali, valori di riferimento alternativi, figure ed esempi di altro stampo e confronti dialettici tra pensieri differenti. Prevalse invece il coro del fanatismo giacobino e del conformismo ideologico-politico; a cui seguì il deserto del cinismo di massa.
In quel pendolo dall'Astio all'Oblio, dalla Militanza alla Miscredenza, si persero idee, figure e pensieri non allineati. Gli anni Ottanta provvidero a spazzare quasi tutto quel mondo con i suoi autori. Qualcosa affiorò con la Nuova Destra, ma la grande stagione dei non conformisti s'inabissò nel buio dell'omologazione prima ideologica e poi sfociata nella «deculturazione». Una volta, pensando alla sua testimonianza solitaria, Quadrelli citò Dante: «Facesti come quei che va di notte/ e porta il lume dietro e sé non giova,/ ma dopo sé fa le persone dotte». La tragedia fu che quel lume fu inghiottito dal buio e non giovò nemmeno ai posteri. Viviamo nella scia della loro dimenticanza.