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Relativismo buonista e perbenismo ipocrita

di Adriano Segatori - 12/11/2014

Fonte: centroitalicum

 

Più passa il tempo, e più si analizzano le modalità di comunicazione tra le persone e le istituzioni, più ci si accorge di una sempre più pervasiva e distruttiva <<transvalutazione di tutti i valori>>, per dirla alla Nietzsche.

Non c’è più un punto fermo che definisca i parametri di orizzonte mentale, legale, fisico, religioso, simbolico e sociale della nostra realtà contemporanea. Il bene e il male, il vero e il falso, la salute e la malattia, il bello e il brutto, tutto è variabile secondo una formula precisa: “Dipende”. Il pensiero debole, e quel paradigma interpretativo ad esso associato che si chiama relativismo, ha metastatizzato ogni settore della vita pubblica e privata, scardinando regole, misure e orientamenti.

È la stessa realtà, o meglio, il suo esame corretto ad essere stato sovvertito, con la pretesa – per altro in molti campi riuscita – di crearne una nuova, più adatta ai tempi correnti.

Prendiamo come esempio l’ultimo fatto di sangue accaduto al quartiere Traiano di Napoli. L’uccisione di un minorenne in fuga da un posto di blocco dei carabinieri, su un motorino con altri due pregiudicati dei quali uno latitante perché evaso, a notte inoltrata, diventa un caso nazionale, superando la miseria di un semplice evento di cronaca nera. Quando un politico osa affermare che fermarsi all’alt della polizia è un obbligo, apriti cielo!, con tutti ad evocare derive securitarie e rischi di grilletto facile. L’unica forte e chiara valutazione in dissenso dall’ipocrita buonismo diffuso è stata quella del giudice Luigi Bobbio riportata dal quotidiano Il Mattino: «L'identikit del bravo ragazzo una volta era ben diverso da quella che oggi qualche sprovveduto vorrebbe appiccicare al morto dell'altra notte». Il giovane è stato ucciso da  <<una realtà schifosa la cui mentalità delinquenziale e la inclinazione a vivere violando ogni regola possibile è la normalità». [] giustificazionismo, buonismo, perdonismo e pietà non solo non servono a niente ma aggravano il male. A 17 anni si è uomini fatti e gli uomini sono responsabili delle loro scelte, delle loro azioni, dei loro stili di vita». [] il fatto che sbandati come loro, parenti e non del morto, vogliano giustificarli mostrando di ritenere normale la loro condotta che evidentemente ritengono normale mi fa solo disgusto». Chiaro, onesto e controfirmabile.

Invece, no. Dopo violenze e devastazioni, il giorno del funerale – è scritto su un giornale – non c’è la presenza della polizia, <<forse perché lo Stato ha deciso di fare un passo indietro>>. Nella stessa occasione, sul Corriere del Mezzogiorno si legge che, prima che fosse osservato un minuto di silenzio in ricordo di Davide, una donna si è avvicinata al colonnello dei Carabinieri Marco Minicucci per chiedergli di togliersi il cappello “in segno di rispetto”. Il comandante provinciale <<ha subito accolto l’invito, si è tolto il cappello e poi, insieme ai ragazzi, ha osservato il minuto di silenzio>>.

Poi, in momenti successivi, c’è la dichiarazione del carabiniere che ha sparato che chiede perdono, c’è il sindaco de Magistris che manifesta l’intenzione di voler ‘adottare’ l’area in cui è avvenuto il fatto, c’è anche qualcuno che suggerisce il disarmo per evitare altri spargimenti di sangue.

Non potevano mancare, alla fine, gli interventi di due opinion makers come Ilaria Cucchi e la madre di Federico Aldrovandi. Grande assente la madre di Giuliani, l’altro bravo ragazzo ‘giustiziato’ mentre tentava di far fuori un carabiniere con un innocente estintore in piazza Alimonda a Genova. Visto che a questo teppista è stata dedicata una piazza e affissa una targa a Montecitorio, vediamo se anche agli altri saranno dedicati spazi pubblici o indirizzi stradali.

Per fare una valutazione ragionevole e corretta dell’avvenimento esposto, e per cercare di chiarire il concetto del relativismo morale sempre più diffuso, torniamo alle parole del giudice Bobbio: <<L'identikit del bravo ragazzo una volta era ben diverso>>, e da qui partire.

Chi è il bravo ragazzo secondo la formula già indicata con “Dipende”?

È quello che di notte si aggira a vuoto per i luoghi malfamati non avendo alcuna responsabilità da assumersi durante la giornata? È quello che rientra agitato e aggressivo alle cinque di mattina dopo aver assunto oppioidi e ketamina in discoteca? È il tossico pluripregiudicato che arrestato per l’ennesima volta decide lo sciopero della fame e muore? È quello che si aggira travisato dal passamontagna per sfuggire alla regolare identificazione?

Si sa che non sono i tipi indicati, ma oramai l’autocensura pericolosissima già denunciata da Orwell è in piena attuazione, si è definitivamente interiorizzata. Per cui: il poliziotto si scusa con il delinquente, l’ufficiale rende onore al fuggiasco morto scappando ai carabinieri, le istituzioni presenziano al funerale del fuorilegge. Nessuno più sa chi è e chi è l’altro.

E a proposito di De Magistris, il prode giustizialista “‘o manetta”, condannato per abuso di ufficio, invece di dimettersi attacca i suoi colleghi magistrati con una veemenza ed una violenza verbale degna del peggiore insurrezionista.

Questo personaggio diventa importante nella nostra argomentazione, perché simbolo negativo della trasmissione di un pensiero corrotto. E così Renzi, che disquisisce sull’articolo 18 senza aver mai timbrato un cartellino. O la ministra superstipendiata che rivendica come lei possa mantenersi con ottanta euri di alimenti alla settimana.

Viviamo in un vero e proprio clima dissociato, nel quale non c’è regola né coerenza. Un’atmosfera psicotica in cui ciascuno vive in un proprio mondo, negandolo, e pretende di imporlo agli altri contro ogni ragionevolezza e contro il minimo esame critico.

È questa condizione diffusa che fa da terreno di coltura all’illegalità, quadro direttamente associato al fenomeno della tolleranza.

Ormai, da tempo, nessuno più risponde di nulla, non c’è alcuna certezza nella pena e, soprattutto a livello politico, c’è una completa alienazione tra ciò che si afferma e tra come si razzola.

Nel corso degli ultimi decenni si è perduto ogni slancio di dignità, di amor proprio e di decoro. Dall’abbigliamento alla sessualità, dal linguaggio al comportamento, tutto è indicativo di un’assenza di stile. Si è giunti a quella condizione di <<proletariato spirituale>> denunciato da Evola: uno stato sociale e mentale senza ideali, senza etica, senza quel senso del sacro della vita e della morte segni della migliore condizione umana.

La <<transvalutazione di tutti i valori>> è la causa e l’effetto – in simultaneità – del relativismo buonista e dell’ipocrisia perbenista: è, in altre parole, la vittoria del pensiero debole. Di quel pensiero del ripiegamento, della debilitazione, che nulla esige, ma tutto interpreta e opina. Di quel pensiero che rifugge qualsivoglia certezza e principio, per lasciarsi andare al potere delle opinioni e alla suggestione della discrezionalità. Come sottolinea Claudio Bonvecchio: <<mentre l’individuo responsabile è di fatto sanzionato e colpevolizzato, l’irresponsabile assurge a vittima e viene assolto a priori. È il trionfo dei diritti sui doveri>>[1].

I giovani trasgressivi, disagiati, devianti o criminali sono figli di padri incoerenti, tolleranti, accondiscendenti o contraddittori, negatori della realtà e sobillatori dell’utopia, con la tempesta che ne consegue e che tutti, quotidianamente, assistiamo nei suoi effetti.



[1] C. BONVECCHIO, La maschera e l’uomo, Franco Angeli, Milano 2002, p. 133.