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Dall’ecologia di mercato all’ecologia profonda

di Fabrizio Maggi - 12/11/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Una visione distorta del pensiero di Darwin ci ha portato a travisare completamente il significato dell'evoluzione e a mettere in pericolo la nostra stessa permanenza sul pianeta.
  

La vita non persegue scopo alcuno se non la prosecuzione di sé stessa, prosecuzione attuata con un meticoloso lavoro di equilibrio tra tutte le specie viventi e tra le forze generate dagli elementi naturali. Il mondo non è stato creato per nessuno e nessuno ha il diritto di distruggerlo. Provare a convincere l’uomo contemporaneo di verità così basilari è impresa ai limiti dell’impossibile. Egli è profondamente convinto di appartenere alla razza più evoluta del pianeta che, in quanto tale, può godere di privilegi particolari ad essa espressamente riservati. Non ci sono pari: c’è un padrone e tanti altri oggetti in perenne regime di sudditanza.

Liberarsi della costruzione protagorea, dell’ “uomo come misura di tutte le cose”, è sfida ardua. Quell’affermazione ha scavato un solco abissale nelle nostre menti, rinforzandosi ad ogni passaggio generazionale di pari passo con l’affinamento della razionalità strumentale. Ma lo svuotamento dell’antropocentrismo e la sua sostituzione con l’ecocentrismo, cioè con quella teoria che assegna uguale dignità ad ogni forma di vita sulla terra e predica il rispetto degli equilibri e dei limiti imposti dal pianeta, è un passaggio inevitabile per la nostra sopravvivenza. Come ha scritto Giuseppe Di Marzio nel suo libro Anatomia di una rivoluzione, “la manifestazione della vita è un valore in quanto tale. L’ecologia profonda sostiene che per gli esseri vivi e gli ecosistemi, questo valore è indipendente da qualsiasi conoscenza o interesse attribuito dal riconoscimento umano. La vita è, appunto, un valore in sé stessa. Difendere il diritto alla vita costituisce un punto di vista diametralmente opposto rispetto all’antropocentrismo che sostiene come solo gli esseri umani siano in grado di produrre e riconoscere valori.”

L’uomo “oeconomicus” però vive in uno stato di cronica disconnessione dalla vita ed è incapace di udire il richiamo della sua appartenenza alla nuda terra. A tal proposito E. R. Zaffaroni ha sottolineato: “l’umano che aspira ad essere il dominus frammenta la realtà, si situa fuori da essa e per questo si crede il centro, ma nella realtà non può ascoltare, perché per ascoltare è necessario appartenere e lui crede di non appartenere allo stesso piano dell’entità che sta interrogando; lui si colloca su un piano superiore.” Spinti costantemente ad una competizione esasperante, ci siamo convinti che lo scopo della vita è primeggiare, che il motore dell’evoluzione, sia essa biologica o sociale, è la conquista di spazi e risorse a scapito degli altri, conquista che sovente avviene tramite l’utilizzo della forza bruta. Il mondo è un posto pericoloso, per sopravvivere conviene adeguarsi agli standard del “bellum omnium contra omnes”, dell’”homo homini lupus” (come Hobbes insegna).

Eppure, dando uno sguardo attento alle opere di Charles Darwin, è facile notare che il naturalista britannico ha spesso sottolineato che a sopravvivere non sono necessariamente gli individui più adatti in sé (l’aggettivo usato è “fittest”), cioè i migliori, i più capaci, ma quelli che si adattano meglio ( i “best adapted”) all’ambiente in cui vivono. Una visione distorta del pensiero di Darwin ci ha portato a travisare completamente il significato dell’evoluzione e a mettere in pericolo la nostra stessa permanenza sul pianeta.

Come scrive Kenneth Boulding, “in un contesto espansivo sono i comportamenti competitivi che generalmente favoriscono il successo e lo sviluppo della specie, viceversa in contesti non espansivi (di equilibrio) sono i comportamenti cooperativi che generalmente favoriscono il successo”. Non esiste una regola valida per ogni stagione, quello che conta è adeguare strategicamente i comportamenti all’ambiente in cui ci si trova. Si colonizza quando c’è abbondanza di territori, ci si assesta in una posizione di equilibrio quando gli spazi scarseggiano. E ancora Thomas Lewis sul medesimo argomento: “la forza che governa la natura su un pianeta come il nostro con questo genere di biosfera è la cooperazione (…) Il più innovativo di tutti gli schemi in natura, e forse il più significativo nel determinare i grandi eventi che segnano le pietre miliari dell’evoluzione, è la simbiosi, che è semplicemente un comportamento di cooperazione portato all’estremo.”

Cooperare è la chiave di volta. Mettersi sullo stesso piano di tutto quello che c’è, animali, vegetali, risorse naturali, equilibri ecosistemici; poi riconoscere alla Natura diritti inalienabili come è stato fatto nella costituzione dell’Ecuador. Proseguire stabilendo delle soglie limite da non superare, trovandone una specifica da applicare in ogni campo. E infine riconoscersi, noi, l’umanità, una grande famiglia che va avanti solo come un’unica mano tesa verso il futuro.