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A Milano la borghesia è morta Brera è finta, io amo via Padova

di Massimo Fini - 12/11/2014

Fonte: Massimo Fini


Ho un figlio, del ‘79, ne avrei voluti altri. Da piccolo ero in libreria, in via Manzoni, sfogliavo Camus e un signore al mio fianco mi chiese perché lo stessi leggendo. Era Vittorini. Mi fece domande per un quarto d’ora... Dimmi se oggi trovo un nuovo Vittorini che passeggia e si ferma per ...

  

Intervista a cura di Andrea Galli

Perché siamo a casa tua e non, per dire, in un bar?
«Non ne esistono più».

Abbiamo una raccomandazione: parlare di Milano senza scivolare nella malinconia.
«I bar non hanno più i biliardi, punto di incontro tra giovani e adulti. Correvano certe sfide, parole, risate. Al posto dei biliardi han messo i videopoker. Meno spazio, più guadagni. Comunque: lì avanti, in via Fara, ce n’è uno. Bello e semplice. Scambi quattro chiacchiere con gli sconosciuti senza passare per matto o maniaco».

In che senso?
«Ho un figlio, del ‘79, ne avrei voluti altri. Da piccolo ero in libreria, in via Manzoni, sfogliavo Camus e un signore al mio fianco mi chiese perché lo stessi leggendo. Era Vittorini. Mi fece domande per un quarto d’ora… Dimmi se oggi trovo un nuovo Vittorini che passeggia e si ferma per …».
Ricordati: niente nostalgia. Cosa stavi dicendo?
«Che se io in una libreria avvicino un ragazzino e gli faccio delle domande, la mamma chiama la polizia. Mi pare una città di trattenuti. Giriamo con la paura e l’ansia di tornare a casa il prima possibile per chiuderci dentro».

Tu la giri Milano?
«In bici. Arrivo ai Navigli e da lì a Vigevano. Mi bevo un bicchiere e torno».
Dove sei cresciuto?
«Via Washington quando era periferia. Giocavamo a pallone in strada, le cartelle come pali. Giocavamo anche a fare le bande. Botte vere ma non c’era bullismo. Se sfottevi un disabile, le prendevi».

Risposte secche. Un giudizio sugli ultimi sindaci?
«Non pervenuti. Non c’è sindaco o consigliere che va tra la gente anche solo per un caffé».

L’Expo?
«Speculazione. E un favore alla criminalità».

Parla bene d’un quartiere.
«Ti parlo male di Brera: finta. Conoscevo un giovane pittore; l’ho rivisto e che fa? Fa il giovane pittore a Brera».

Milano in un libro?
«“Ascolto il tuo cuore, città” di Savinio».

Chi è il motore di Milano?
«Non la borghesia. Morta».

E chi?
«La finanza. Comanda. Ma non si vede, non si “concretizza”, non lascia segni tangibili».

Qual è il tuo personaggio milanese preferito?
«Renato Vallanzasca».

Il bandito?
«Ci ho cenato tre anni fa. Intelligente, coerente».
Fini: ha ammazzato.
«È stato tirato in mezzo e spesso non ha parlato… La malavita è specchio della società, giusto? Quella dei tempi di Vallanzasca aveva regole e codici».
Senti, e un altro? Qualcuno che conosci fin da giovane?
«Mah… Con Berlusconi giocavo a pallone. Dai Salesiani».
Era forte?
«No. Voleva fare il centravanti ed era un “venezia”, non passava mai la palla».
Se un amico di fuori ti chiedesse di mostrargli Milano?
«Un pomeriggio mi dissero di accompagnare Federico Fellini. Andammo di sera a vedere due cavalcavia e un prato».
Quali cavalcavia?
«Uno sopra il cimitero di Greco e l’altro che taglia la stazione Garibaldi. Il prato era a Rogoredo. Uscivano fiammelle dal terreno. Era un discarica, c’era sotto zolfo».

A Fellini piacque?
«Non glielo chiesi».

Sei classe ‘44: come sono i settant’anni?
«A breve esce un mio libro. Titolo: “Una vita”».

Perché non prendi una casa al mare come buen retiro?
«Mio figlio… Il lavoro…».

Bravo: parli male di Milano ma ti serve e rimani.
«Ho avuto una fidanzata architetto. Mi ha aiutato a osservare i palazzi, a cogliere le diversità, gli stili, le epoche. Ho volato con un piccolo aereo sopra il centro e ho visto meraviglie di giardini».

Altre note positive?
«Le mostre piene. E attenzione ai teatri: rimontano».

Geografia milanese: consigliaci un luogo.
«San Siro, l’area delle vecchie scuderie, dietro la pista d’allenamento. Una città medievale, sospesa. Ma voglio parlarti di via Padova».

I leghisti non saranno d’accordo.
«Chi se ne frega. Chiaro, se uno nega che a una certa ora sia pericoloso girarci, afferma il falso. Ma via Padova è, come dire, finalmente disordine».

Finalmente?
«I ristoranti e i locali chiudono presto se no i residenti fanno esposti. Ci sono le Capannelle, zona San Vittore, ma è un caso isolato… E allora, guarda, evviva via Padova. Milano è quella e non i grattacieli. Avevamo già il Pirellone, opera d’arte, e ci bastava: questa città non è fatta per imitare le altre».