Il viaggio a piedi: dal pellegrinaggio al turismo contemporaneo (introduzione)*
di Stefano Corbetta - 28/08/2006
Fonte: boscaglia.it
CANTO DI VIAGGIO
O sole, entrami luminoso nel cuore,
o vento, disperdi con il tuo soffio pene e malanni!
Non conosco sulla terra gioia più profonda
dell’essere in viaggio in paesi lontani
Verso la pianura dirigo i miei passi,
il sole deve bruciarmi, il mare rinfrescarmi;
per partecipare alla vita della nostra terra
dischiudo festosamente tutti i miei sensi
E così ogni giorno novello deve
indicarmi nuovi amici, nuovi fratelli,
finchè senza pena posso mettere in luce ogni energia,
essere amico e ospite di tutte le stelle.
-Hermann Hesse-
INDICE.
INTRODUZIONE pag.
1. La storia del viaggio pag.
1.1 Popoli nomadi e stanziali, pag. 1.2 Il pellegrinaggio, pag. 1.3 Dal pellegrinaggio al Grand Tour, pag. 1.4 Il tempo libero: dal Grand Tour al turismo, pag.
2. Il viaggio come esperienza pag.
2.1 Il non autentico nell’esperienza turistica, pag. 2.2 La ricerca della communitas, pag 2.3 Verso una nuova coscienza turistica?, pag.
3. Camminare. Annotazioni tra storia cultura e letteratura pag.
3.1 Lo spazio rubato al cammino, pag. 3.2 Pellegrinaggi di ieri e di oggi, pag. 3.3 Due viandanti nella Pianura Padana, pag. 3.4 Camminare tra poesia e pensiero: il viandante, pag. 3.4 Camminare nell’arte, pag.
4. Il camminare e il turismo sostenibile pag.
4.1 Il turismo e l’esigenza della sostenibilità, pag. 4.2 Turismo culturale e sostenibile: tre casi, pag.
CONCLUSIONE pag.
Introduzione
Questa tesi nasce dai miei viaggi, dai libri letti, dai racconti ascoltati, dalle persone incontrate sulla strada.
Associo l’idea di viaggio ad una dimensione eccezionale, diversa da quella quotidiana, una dimensione nella quale poter entrare solamente tramite la fatica, il disorientamento, il sentirmi straniero; una dimensione che prevede una perdita e una ricostruzione che reputo possibili soltanto tramite l’apertura alla casualità della vita e degli incontri. Intendo il viaggio come possibilità di vivere in modo personale un’esperienza, esponendomi all’imprevisto, accettando l’inconveniente, costruendo il proprio significato. Hermann Hesse diceva che
Viaggiare deve comportare il sacrificio di un programma ordinato a favore del caso, la rinuncia del quotidiano per lo straordinario, deve essere strutturazione assolutamente personale delle nostre inclinazioni.
L’autore scriveva in un’epoca in cui iniziava l’infinito dibattito sulla questione di definire il turista e il viaggiatore, e trovo che egli esprima un’idea importante a riguardo. Innanzitutto non definisce un modo di viaggiare autentico e uno non autentico, indica piuttosto un atteggiamento da seguire per andare verso un’esperienza che sia unica in quanto personale, che soddisfi interiormente e che non sia solamente uno sguardo al diverso o motivo di vanto al momento del ritorno.
Il vero centro del viaggio non starebbe dunque nel luogo visitato ma in come esso riesce a plasmarci. In un saggio del 1926, Viaggiare o essere trasportati, Zweig, sostiene:
Quanto meno consentiremo che le esperienze ci raggiungano per una via di tutto riposo, quanto più ci faremo incontro a loro con spirito d’avventura, tanto più quelle esperienze si radicheranno nel nostro animo […] Nella vita ogni cosa essenziale, che noi chiamiamo conquista, nasce da fatiche e da ostacoli, solo così potenziamo effettivamente la nostra capacità di “sentire” il mondo. […] Conserviamoci dunque questo quadratino di avventura nel nostro mondo troppo ordinato; non lasciamoci trasportare da agenzie di viaggio come colli. Soltanto così ogni viaggio sarà una scoperta del mondo esterno ma anche del nostro mondo interiore. [1]
Il viaggio, oltre che spostamento fisico, è anche processo di cambiamento mentale. Qualcuno ha sostenuto che sia solo un mezzo per avvicinarsi ad una verità che è già dentro di noi. Duccio Demetrio, a tal proposito, sostiene che anche chi non viaggia possa raggiungere una conoscenza profonda delle cose, a patto che disponga di una “mente inquieta”. Dove per inquieta intende curiosa, non in stato di quiete: in movimento. Da qui si intende come qualsiasi forma di viaggio possa essere una possibilità di crescita.
Ovviamente certe forme di viaggio si prestano più di altre a plasmare l’individuo. Il pellegrinaggio è sempre stato considerato il “viaggio nell’anima”, ciononostante anche questa forma di viaggio sacro è soggetta a cambiamenti nel tempo, tanto è vero che oggi viene considerato anche come una forma di turismo culturale. L’esperienza sul Camino de Santiago nel Maggio del 2004 mi permise di osservare che in molti ritenevano centrale l’esigenza di ricercare la componente spirituale legata al cammino.
Il lungo viaggio a piedi è il mezzo per sviluppare questa ricerca. La fatica del camminare quotidiano, la frequente solitudine, le piaghe, il dormire per terra sono solo una parte di un nuovo mondo, fatto anche di disagi, che nella quotidianità si cerca di evitare. Camminare, quindi, come per riscoprire lentamente il mondo nella sua totalità attraverso la propria intima interiorità; riscoprire il senso profondo dei rapporti umani ricreando un senso di comunità spesso soffocato dagli impegni, dalle esigenze e dalla velocità della vita quotidiana.
Eunate si raggiunge dopo pochi giorni di cammino da San Jean Pied du Port, è una chiesa nel mezzo di campi di grano, circondata dai monti della Navarra. La famiglia che vive nella vecchia casa vicino alla chiesa accoglie i pellegrini secondo l’antica e umile ospitalità. Mariluz, la donna di casa, ci parla dell’importanza di far passare due settimane ininterrotte di cammino per poter raggiungere una nuova visione e per abbandonare il dolore fisico, le preoccupazioni e le paure mentali. Due settimane per conquistare la leggerezza di uno stato naturale dell’uomo. Stato che spesso gli viene sottratto. Trovo che sia questo l’antico potere curativo del pellegrinaggio.
Il riavvicinamento alla “bellezza e al divino” era ciò che cercavano personaggi come San Francesco e Fra Dolcino, i quali, dopo averli raggiunti, li mantennero come loro unico possibile modo di vita. La povertà e l’uguaglianza stavano alla base della loro predicazione: valori che contrastavano l’effettiva potenza della Chiesa, la quale fece sì che i clerici vaganti venissero incanalati, insieme ai pellegrini, sulle strade verso le mete sacre. Il vagabondaggio venne proibito, lentamente la diffusissima pratica dei lunghi pellegrinaggi andò perdendo di intensità e venne sostituita con viaggi più brevi, a volte solo di qualche giorno: viaggi forse più controllabili e dal potere inferiore. Quasi fosse una piccola concessione, un breve momento di “trasgressione controllata” che molti studiosi associano all’attuale pratica del turismo.
Il tipo di viaggio che verrà affrontato affonda le sue radici nella pratica del pellegrinaggio anche se di questo muta alcune caratteristiche. La figura del viandante, il wanderer, il viaggiatore inquieto e padrone del suo tempo verrà accostata a quella del pellegrino. Oggi, come nel Medioevo, le “vie della fede” erano percorse da genti dagli intenti diversi. Lungo i sentieri verso Santiago si incontrano preti e bevitori, contadini ed ingegneri, cattolici, anarchici, giocolieri vagabondi, menestrelli, neo-nomadi zelandesi, studenti universitari, gente dei Rainbow, gruppi di pensionati, mistici, Cavalieri Templari, uomini scalzi e amanti del trekking tecnologico. La magia nasce quando genti diverse si incontrano e tutti, camminando, percorrono la stessa strada.
* introduzione alla Tesi di Laurea
[1] Volker Michels, Motivi per partire non mancano ma. In viaggio con Hermann Hesse, in Hermann Hesse, Il viandante, Milano, Oscar Mondatori, 1993, p. 16.
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