I costi sociali del "sistema"
di Mario Bozzi Sentieri - 03/12/2014
Fonte: Arianna editrice
Non c’è mutazione climatica che tenga per giustificare quello che è accaduto , a metà novembre, in Liguria. L’alluvione che si è abbattuta su Genova, Chiavari e sui comuni al confine tra Liguria e Toscana ha responsabilità e ragioni ben più complesse di una mutazione climatica, imponendo una lettura non banale su quanto è accaduto ed evitando ogni giustificazionismo politico-amministrativo.
Si deve anzi dire, con chiarezza, che è il sovrapporsi di responsabilità istituzionali, politiche ed ambientali ad avere trasformato l’Italia nel Paese più colpito, tra quelli europei, da ogni tipo di catastrofe naturale.
Dall’ alluvione di Firenze del 1966: 17.668 frane e 3.656 alluvioni con 4.173 morti e 168 miliardi spesi per danni e risarcimenti, circa 3,5 miliardi l'anno.
Le cause principali sono certamente l’eccessiva cementificazione e la forte concentrazione urbana. Ad esse è connessa l'impermeabilizzazione del territorio, cioè la ricopertura delle superfici con strade, abitazioni e attività produttive: non incontrando un terreno in cui penetrare e radici che la trattengano, l'acqua scorre via rapidamente, concentrando il problema dell'alluvione più a valle.
Il risultato è che – come denunciato da un rapporto del Ministero dell’Ambiente nel 2008 - sono ben 6.633 i comuni italiani (sugli 8.071 totali) in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, l’82% del totale dei comuni italiani, per una superficie ad alta criticità idrogeologica di 29.517 Kmq, il 9,8% dell’intero territorio nazionale, di cui 12.263 kmq (4,1% del territorio) a rischio alluvioni e 15.738 Kmq (5,2% del territorio) a rischio frana. Secondo l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), nel 2009-2012 è stata “impermeabilizzata” una superficie pari a Milano più Firenze, Bologna, Napoli e Palermo.
Alla “fragilità” del territorio va aggiunta paradossalmente una visione troppo “conservatrice” dell’ambiente, che ha favorito l’incuria dei rivi e delle zone circostanti. Lasciando che la natura facesse il suo corso, i torrenti non sono stati dragati e quindi hanno visto alzarsi il letto, i boschi sono stati lasciati in balia delle sterpaglie e dei pini abbattutisi per malattia, la presenza dell’uomo è stata ridotta o proibita, con il risultato di fiumi dall’alveo sempre più alto, spesso intasati dalle sterpaglie,a cui si sono aggiunti gli alberi trascinati dai monti. Da qui una vera e propria valanga di fango, arbusti ed acqua che ha invaso i paesi, costruendo, con le automobili trascinate vere e proprie dighe, che hanno aumentato la forza dirompetene della pioggia.
Fin qui le cause immediate. Sul “contesto” politico non può essere taciuto lo scaricabarile sulle responsabilità amministrative del dissesto del territorio italiano tra il Presidente del Consiglio ed i Presidenti delle regioni interessate, esponenti – si badi bene – dello stesso partito e quindi equamente responsabili per ritardi ed inadempienze (soprattutto laddove, come in Liguria e Toscana, è sempre stata la sinistra a governare). "Ci sono vent'anni di politiche del territorio da rottamare, anche in alcune regioni del centrosinistra" – ha dichiarato Matteo Renzi, mentre dal canto loro governatori e sindaci hanno attribuito la responsabilità alle politiche del territorio, nonché alle sanatorie edilizie dettate da Roma.
E’ certamente al livello politico-istituzionale che va posta la maggiore attenzione e non certo per giustificare gli uni rispetto agli altri. La questione è ben più profonda. E’ di “sistema” nella sua complessità.
Su “Il Sole 24 Ore” Giorgio Santilli (“Competenze chiare e un fondo unico”, 18 novembre 2014) ha fotografato, con grande efficacia questa realtà, evidenziando come “il piano anti-dissesto idrogeologico dovrebbe essere – non da oggi, ma da anni – l’espressione dell’azione lunga e costante di manutenzione con cui lo Stato si prende cura del territorio e invece è stato e resta l’espressione massima del caos istituzionale in cui versa lo Stato italiano con la riforma del titolo V.” Santilli invoca un "fondo unico a risorse costanti negli anni, competenze straordinarie alle Regioni e poteri sostitutivi (anche di revoca delle risorse) allo Stato, progetti esecutivi, esclusione dal patto di stabilità. Abbiamo, invece, un minestrone di inefficienze che segna il massimo di distanza fra politica e cittadini".
Sarebbe questo "il vero salto che Renzi dovrebbe far fare al governo sul fronte Economia-Ragioneria: pochi fondi unici a risorse costanti per le priorità di investimento. Un fondo per le infrastrutture, uno per l'edilizia scolastica, uno per la difesa del suolo, con importi predeterminati che tolgano alla legge di stabilità annuale il potere di fare e disfare".
Quella che soprattutto manca è una visione d’insieme, anche perché mancano o sono stati depotenziati gli Istituti nazionali in grado di sviluppare tale strategia: l’Istituto Idrografico Nazionale è stato a suo tempo smembrato; l’Istituto Geologico Nazionale è riuscito a completare soltanto al 40 % la carta del Paese; l’Istituto Sismico Nazionale è stato inglobato nella Protezione Civile; l’Istituto Meteorologico Civile ancora non esiste.
C’è chi rimpiange la legge 183/1989 dedicata al riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo (poi abrogata dal D.Lgs. 152/2006) al punto da costituire il “Gruppo 183” per la promozione di politiche di sviluppo sostenibile in materia di difesa del suolo, di tutela e risanamento delle acque, di fruizione e gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale.
La richiesta di fondo è di partire da una visione nazionale dei problemi, che concretamente:
- Faciliti ed incentivi gli interventi e le azioni preventive di difesa del suolo.
- Restituisca centralità al tema della manutenzione programmata del territorio.
- Semplifichi le procedure amministrative, l’accorpamento dei soggetti istituzionali chiamati in causa, la costituzione di coordinamenti efficaci che presidino l’intero percorso che va dalla programmazione all’attuazione, alla manutenzione e al controllo degli interventi di prevenzione.
- Recuperi istituzioni e meccanismi storicamente affidabili e ingiustamente abbandonati.
- Elimini gli sprechi nell’utilizzazione delle risorse economiche e umane disponibili.
Per realizzare un’organica politica di riforme e d’interventi sul territorio c’è – in definitiva – bisogno di abbandonare finalmente gli interventi “tampone”, fissando, anche in termini finanziari, obiettivi ampi e di lunga durata; c’ è bisogno di ricostruire , anche nell’ambito della difesa del territorio, quel tessuto politico-istituzionale da troppi anni lasciato in balia del pressapochismo, dei particolarismi e della corruzione; c’è bisogno di tornare a guardare al “Paese reale”, ai suoi problemi e alle sue potenzialità, in ragione delle competenze e della volontà partecipativa presenti. Più rigore insomma nella gestione del territorio, più politica d’insieme, più buon senso, più coinvolgimento diretto dei cittadini, per evitare di dovere piangere di nuovo tante vittime innocenti ed i disastri provocati dall’ennesima alluvione.