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Cronache della tarda modernità

di Alessandro Puma - 03/12/2014

Fonte: Arianna editrice


 

 


Afferma Perniola che il disfacimento dei valori tradizionali, dagli anni Sessanta del Novecento a oggi, e' stato determinato, fra le altre cose, dal passaggio traumatico da una società basata sull'azione ad un'altra fondata, invece, sulla comunicazione.

    Infatti: "Le grandi ideologie dell'Ottocento e del primo Novecento conferivano a coloro che le facevano proprie un'aureola eroica; quanti le rifiutavano ricevevano proprio da questo rifiuto un sovrappiù di grandeur. Il miracolo mediatico ha invece reso futili e vuote le esistenze individuali e le relazioni di parentela: esse non sono più argomento di romanzi, ma al massimo di storiette. La cosiddetta 'rivoluzione sessuale' si è rivelata una beffa. La mobilità sociale ed economica e' oggi molto minore di quanto è stata negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale. Il disfacimento delle istituzioni scolastiche e universitarie rende impossibile il riconoscimento dei meriti e delle eccellenze. [...] Si ama e si odia molto meno; il posto delle passioni e' stato preso da piccole attrazioni che non hanno la forza di legare le persone per la vita e la morte e da piccole invidie che non hanno la forza di uccidere."

  Soprattutto la cosiddetta civiltà delle immagini impedisce di attribuire un vero significato agli eventi sociali e politici che risultano indecidibili dal punto di vista della loro veridicità e storicità.

    "Nelle società tradizionali questi problemi non si ponevano perché la ripetizione dei modelli passati era ovvia: il nuovo era la riedizione del vecchio, e in ogni caso l'innovazione non si contrapponeva mai alla conservazione. Sorgono invece nel disfacimento del mondo moderno, causato dal fatto che il posto dell'azione individuale e collettiva e' stato preso dalla comunicazione, il cui motto e' l'esclamazione <<impossibile eppure reale!>>

   "la società dei consumi segna la fine della vita activa. Questa si articolava in tre dimensioni differenti: il lavorare, che è subordinato alla soddisfazione dei bisogni della vita, l'operare, che crea un mondo di oggetti i più eminenti dei quali sono le opere d'arte, e infine l'agire, concernente la vita politica intesa come dominio pubblico che pone in relazione gli esseri umani su un piano di uguaglianza. Queste tre dimensioni della vita attiva sono impossibili in una società di consumatori, cioè di lavoratori senza lavoro, la quale è definita da Hanna Arendt come <<il paradiso del pazzo>>."

   La trasposizione mediatica di un avvenimento e' sempre miracolistica e traumatica perché risulta, al tempo stesso, sia vera che falsa. E soprattutto, potremmo dire, posticcia.

      Gli antichi distinguevano, a tal proposito, tra fatti veri (praktike'), falsi  (pseude') e altri che si riferivano all'arte dell'intrattenimento (plàsmata), come le rappresentazioni teatrali e le lotte tra gladiatori. "La comunicazione assomma in se stessa i tre precedenti tipi di storia: e' insieme vera, perché pone dinanzi a un fatto; falsa, perché adotta tecniche di esagerazione, manipolazione e mistificazione; finta, perché  l'aspetto fantastico e immaginativo (e direi anche scandalistico e sensazionalistico n.d.r.) vi gioca un ruolo essenziale." (pagg. 19-20)

  Ciò "introduce un elemento surrettizio di artificiosità e di contraffazione che sovverte la concezione razionale della vita individuale e del processo storico, senza rendere possibile un ritorno indietro alle condizioni di vita del passato (e) si ha l'impressione che tutto il nostro sapere sia completamente inadeguato per capire il mondo della comunicazione, cominciato negli anni Sessanta del Novecento, il quale non funziona più secondo azioni e reazioni, ma secondo miracoli e traumi, non più secondo il fare e il subire, ma secondo dispositivi dei quali tutti siamo ostaggi." (pagg. 22-23)

    La Storia (come capacità di raccontare gli eventi e trarre da essi insegnamento) e' dunque finita; il ruolo sacro dello scrittore e dell'intellettuale-autore capace di educare le masse con la sua guida e il suo ragionamento, non esiste più in un mondo telematico dove, democraticamente, sono tutti autori e scrittori sui social network e tutti regolarmente mediocri e/o incapaci di scrivere. E infine anche il lavoro, caratterizzato dalla flessibilità e da un rapporto pervertito tra lavoratore e datore di lavoro, e soprattutto basato sulla presenza e non sull'eccellenza o le competenze del prestatore d'opera, e' reso obsoleto.

Il lavoro e' infatti ovunque proprio perché non c'è più lavoro (Baudrillard) e perché, invadendo anche la sfera privata del lavoratore, non c'è più differenza tra lavoro e tempo libero.

   "Chi ha paragonato i meccanismi con cui funziona la comunicazione al lavoro onirico descritto da Freud non si è sbagliato. Dal momento in cui la comunicazione ha preso il posto dell'azione, viviamo come in un sogno, che talora è un prodigio talora un incubo" (pag. 37).

    Naturalmente, da questo punto di vista, anche la politica, basandosi sulla messa in scena mediatizzata dei talk-show, cessa di avere un significato reale che possa influire sul comportamento e sulla condotta esistenziale dei cittadini. Basata sulla prostituzione, la politica - che viene controllata ormai dalle banche e non dalle imprese nazionali, come una volta - diventa pornografia, e la pornografia (anche la più squallida) diventa apprezzabile e condivisibile.

   Non esistendo più, tecnicamente, un fatto che possa ancora dirsi reale, ecco che subentra l'ansia del "documentarismo", del mostrare tutto, dello svelare, togliendo l'incanto e il miracolo del segreto, anche le parti più intime e obbrobriose dell'intimità personale.

   In nome di una pretesa pseudo-scientifica risibile e aberrante, si cancellano quelli che sono i valori personali più intimi e nascosti per fare si che possano, lucifericamente, essere accessibili a tutti, cancellando la dignità e la bellezza del pudore e del candore, anche artefatto, che da migliaia di anni dettava le regole della seduzione e della giusta lentezza  e riflessione che si è sempre avuta in materia di sessualità e di affettività.

   Il modo in cui vengono giustificati e anzi considerati normali i contorcimenti di una porno-star, la sua totale sottomissione a uno o più  partners maschili e l'alienazione che la vede subire con gioia (per "recitazione") gli sputi o gli schiaffi dei presunti violentatori, la collocano a un livello molto più basso di qualunque prostituta reale, che ha, invece, con i clienti modi piuttosto rudi ed ostili.

   E questa ansia del "documentarismo", la ricerca pedissequa e inutile, anche dal punto di vista storico, del preciso giorno feriale e della temperatura che si percepiva, per esempio, nel corso delle Idi di Marzo o della Rivoluzione Francese, fa a pugni con la cessazione di un discorso sensato e lineare di ciò che poteva essere chiamata, un tempo, una "narrazione condivisa".

  Da questo punto di vista, quasi tutta la letteratura novecentesca, da Pirandello a Borges, da Philip Dick a Bret Easton Ellis, e' basata su questa incapacità di distinguere ciò che è falso da ciò che è reale, proprio a causa di un sovraccarico di informazioni, ognuna delle quali considerate sullo stesso piano estetico e non veritativo.

 Per quello che riguarda la cosiddetta "settima arte" e lo spazio filmico, il "cantore" di questo sfilacciamento dei nessi logici, degli effetti che non trovano più la loro causa, e' il cineasta statunitense David Lynch.

   Nei suoi film ritroviamo, infatti, un continuo stato di tensione tra ciò che viene mostrato e il suo significato reale, occulto perché introvabile (qualcosa di simile al procedimento cabbalistico kafkiano di cui abbiamo trattato).

    La realtà come stato immanente nella sua cinematografia, con i suoi protagonisti avvinti dal mistery o dal cosiddetto noir, con i suoi scambi di personalità, le sue metamorfosi 'corporali' e i suoi spazi abitativi persi nel buio che conduce in altre dimensioni di tempo e spazio, viene ad essere completamente scardinata in una serie di "percorsi alternativi" presenti all'interno di una stessa trama.

    Il tutto anche caratterizzato, a volte, da un certo intento satirico nei confronti della stessa follia mediatica del post-moderno, come quando un boss mafioso si preoccupa di dare spiegazioni a un guidatore spericolato sulla corretta distanza di sicurezza da tenere su strada, mentre fa scempio del guidatore, o come quando viene proiettata una sit-com surreale e sinistra, con tre protagonisti con teste di coniglio, in cui la risata registrata di sottofondo non ha nulla a che vedere con le banalità non ironiche (e anzi vagamente minacciose) che vengono dette.

  Va da se' che, nonostante questo modo di descrivere la realtà immanente come un mistero inestricabile, sia maggiormente attinente a quella che ci si mostra come la nostra effettiva realtà fenomenica, un tale procedimento può scadere in un tipo di compiacimento per il mistero fine a se stesso, per cui non si deve spiegare nulla di ciò che ci circonda, mentre dal punto di vista artistico risulta sempre più elevato un tipo di narrazione - filmica o d'altro genere - che, pur facendo uso di metafore e simboli, possa rivelarsi maggiormente comprensibile. E' il caso, per esempio (per rimanere in ambito cinematografico), delle metafore di un regista come Luis Buñuel che, seppur paradossali, sono piuttosto comprensibili nel loro attacco ai valori morali e religiosi della classe borghese. Dall'Angelo sterminatore al Fantasma della libertà, tutti film in cui viene rappresentata l'impotenza della borghesia a celebrare i propri riti (come una semplice cena o il non poter evadere da un'abitazione), fino al radicale sovvertimento di tali riti (ci si ritrova in sala da pranzo per sedersi su comodi water e ci si chiude in bagno per mangiare), il 'gioco' dissacratorio' del regista spagnolo (un surrealista come il connazionale Salvador Dalì), appare come volutamente osceno ed evidente, nella messa in scena della nostra società falsamente edonistica e soggettivista.