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E’ improbabile che l’Italia possa salvarsi

di Eugenio Orso - 10/12/2014

Fonte: Pauperclass


1. La statistica ci insegna che non c’è una perfetta “unidirezionalità”, in quanto esistono sempre probabilità che un evento si verifichi e, nello stesso tempo, probabilità contrarie al suo verificarsi. Accanto a una strada, molto praticata, ce ne può essere un’altra, con opposta direzione, che probabilmente non imboccheremo. A volte, le probabilità che un evento negativo si verifichi sono elevatissime, tali da rendere insignificanti le probabilità contrarie. E’ questo il caso italiano o, più esattamente, della probabilità che ha l’Italia di salvarsi e di uscire da una crisi interminabile, che potrebbe “terminare” il paese.

Di seguito, vedremo perché l’Italia ha bassissime probabilità di uscire dal tunnel della crisi, con l’aggravante che non c’è più il tempo per invertire la direzione di marcia e tutti gli indicatori volgono inesorabilmente al brutto.

E’ bene definire, in primo luogo, quali sono questi indicatori:

a)    Indicatori economici e finanziari.

b)    Indicatori, o meglio, aspetti sociali e politici.

c)    Situazione internazionale e possibile evoluzione geopolitica, nel breve, della stessa.

Se si concentra l’attenzione esclusivamente su parametri, pur importanti, di natura economica, finanziaria, monetaria e patrimoniale si limita il campo visuale e non si riesce a cogliere tutta la gravità della crisi “terminale” che sta attraversando il paese. Un mix estremamente sfavorevole, per l’Italia, di indicatori economici, di aspetti di natura non economica e di eventi internazionali affonderà con buone probabilità la penisola, senza che si debba attendere troppo a lungo. La caduta definitiva si verificherà nell’arco di un biennio da oggi (volendo essere prudenti), ben prima delle elezioni politiche previste nella prima metà del 2018, se mai si faranno veramente.

2. Per quanto riguarda il punto a), faccio riferimento a due editoriali, che non lasciano speranza, comparsi sul numero di settembre-ottobre della rivista online Italicum, dedicato alla Quarta guerra mondiale (e alla memoria di Costanzo Preve). I due editoriali sono Quanto durerà la “gabbia d’acciaio” europea? di Luigi Tedeschi e Dove portano queste riforme di Marco della Luna, ai quali rinvio per gli aspetti economici, raccomandandone caldamente la lettura integrale.
Il link alla rivista online del Centro culturale Italicum di Luigi Tedeschi è il seguente: https://centroitalicum.wordpress.com/2014/11/06/la-quarte-guerra-mondiale/

Per Luigi Tedeschi, che affronta il tema della totale subalternità italiana alle politiche economiche europidi (da Monti a Renzi, quantomeno, facendo perno sul pd), gli ingredienti del disastro italiano corrispondono ad altrettanti capitoli del suo editoriale: Immobilismo europeo e dominio tedesco, L’Europa dei rimedi impossibili, L’insostenibilità del debito pubblico italiano. A tale riguardo, Luigi Tedeschi ci ricorda quanto segue: “Renzi, al di là delle declamazioni parolaie verso la Commissione Europea, si è rivelato un puntuale esecutore delle direttive europee in tema di osservanza dei parametri europei di stabilità e riforme strutturali del lavoro. Renzi infatti, ha ottenuto una minima soglia di flessibilità del parametro deficit / Pil, ma qualora i parametri non dovessero essere rispettati, la UE imporrà nuove ulteriori manovre fiscali per l’Italia suicide, pur di drenare le risorse necessarie, quali l’aumento programmato dell’IVA, che nella fase di deflazione attuale avrebbe effetti devastanti. La UE pretende inflessibilmente il rispetto dei parametri, a prescindere dalle conseguenze distruttive sulle economie degli stati membri.

Tedeschi ha ragione da vendere. Sappiamo che gli organismi sopranazionali europidi di controllo hanno approvato “con riserva” la cosiddetta legge di stabilità dell’esecutivo piddino-renziano. Il gioco è chiaro, addirittura scoperto, perché tali organismi si riservano un giudizio finale e insindacabile, sulla finanziaria renziana, all’inizio del prossimo anno, dopo la fine del semestre europeo di presidenza italiana. Un semestre che non ha portato (e non porterà nel mesetto che resta) alcun cambiamento di rilievo nel rigore asfissiante impostoci. Hanno deciso semplicemente di rinviare di qualche mese il loro giudizio negativo.

Osservanza assoluta dei diktat europidi e menzogna conclamata, rivolta alla popolazione da gabbare, caratterizzano la squallida figura del collaborazionista euroservo e filo-atlantista Matteo Renzi, nonché la politica di tutto il pd. L’obiettivo finale delle signorie finanziarie, bancarie e assicurative, alle quali obbediscono Renzi e il suo partito, è di ristrutturare con violenza l’economia italiana e il sistema produttivo nazionale, riposizionando il paese in basso, molto in basso (fino all’irrilevanza completa) nella cosiddetta economia globale. Immaginiamo quanti disoccupati e veri poveri ci saranno, fra un annetto, nella penisola che fu, un tempo, moderatamente benestante. Persino un buffone mediatico e un sindacalista giallo come Maurizio Landini, aduso a prostrarsi davanti alla democrazia (ovviamente) liberale e al politicamente corretto, se n’è accorto, e si è lasciato scappare che gli onesti (gli uomini retti, i difensori di un principio di giustizia distributiva e dei diritti reali dei lavoratori) non stanno dalla parte di Renzi, pur ritrattando un attimo dopo.

Secondo Marco Della Luna, le linee di riforme “indispensabili per la crescita” (come la intendono le élite neocapitaliste e il sopranazionale ue) sono due, pericolosamente convergenti. Una linea istituzionale-strutturale che riguarda la “cessione” dell’autonomia dei vecchi stati nazionali, come quello italiano e il dominio, che si sviluppa in parallelo, degli organismi sopranazionali. La politica monetaria, in tali contesti, è sottratta al controllo dei governi nazionali e le banche centrali devono, di fatto, essere “indipendenti”, cioè sottratte al controllo governativo. Ne consegue che la decisione politico-strategica e la definizione degli obiettivi perseguiti competono esclusivamente al sopranazionale, controllato dalle aristocrazie del denaro senza “fastidiose” intrusioni popolari. Ciò riguarda intimamente la vera natura del sogno europeo, pubblicizzato proditoriamente dai lacchè di sinistra del grande capitale finanziario, partendo da Renzi fino ad arrivare all’attore Roberto Benigni.

C’è una seconda linea di riforme, ricalcate guarda caso da quelle renziane, che riguarda il modello capitalistico adottato, l’economia e la finanza. “La seconda linea di riforme, iniziata alla fine degli anni ’70, è quella economico-finanziaria e punta essenzialmente a difendere e tutelare gli interessi dei creditori finanziari con sacrificio degli altri interessi sociali: il modello di sviluppo keynesiano, caratterizzato dallo Stato che corregge il mercato e fa investimenti anticiclici per evitare la recessione e assicurare l’occupazione, al prezzo di una costante, fisiologica inflazione, viene sostituito con un modello da alcuni ritenuto hayekiano, ma che tale non è perché F. Von Hayek voleva non solo il libero mercato come unico regolatore dell’economia, ma anche uno stato che tenga il mercato libero dai monopoli e che si astenga dall’assistenzialismo sociale e imprenditoriale. Il modello economico-finanziario imposto all’UE fa per contro tutto questo, anzi in esso i grandi monopoli bancario-finanziari dettano la politica degli Stati e dell’Unione. Il detto modello raggiunge lo scopo della tutela degli interessi dei creditori finanziari mediante alcuni principali strumenti: indipendenza irresponsabilità delle banche centrali dai parlamenti, vincoli di bilancio pubblico (proibizione della spesa pubblica antirecessiva), stretta monetaria, compressione salariale (e della domanda interna) per assicurare un pareggio o un surplus della bilancia estera, socializzazione delle perdite delle banche.

Non resta molto da aggiungere alle parole di Marco Della Luna, tranne una necessaria puntualizzazione: le (contro)riforme di Renzi e le sue “leggi di stabilità” si muovono ineluttabilmente su questa linea, che fu la linea distruttiva di Monti, anche se le giustificazioni pubbliche e propagandistiche nascondono i veri obiettivi. Ad esempio, con la finanziaria si millanta un calo delle tasse di 18 miliardi che non ci sarà (pronti per l’anno horribilis 2015?) e lo jobsact “a tutele crescenti” pensato contro i lavoratori, fonte di libertà di licenziamento, precariato ad libitum e distruzione dei diritti (art. 18, svuotamento dello Statuto dei Lavoratori), dovrebbe servire per estendere le tutele a chi non le ha.

Per tutto quanto precede ringrazio Tedeschi e Della Luna. In breve, gli indicatori economico-finanziari non potranno che continuare a volgere al brutto anche nei prossimi mesi – più chiusure aziendali, più disoccupazione, sprofondo dei consumi interni e contrazione dell’economia, debito pubblico alle stelle, ennesima stretta creditizia e via elencando – mentre le possibilità di un’improvvisa inversione di rotta nelle politiche economico-finanziarie, a livello unionista e a livello nazionale, continueranno a essere irrilevanti. Dopo sette anni di vacche magre arriveranno puntualmente quelle scheletriche, prossime alla morte.

2. Gli aspetti sociali e politici, di cui al punto b), sono ovviamente legati a quelli economico-finanziari, ma subiscono l’influenza decisiva della dimensione storico-culturale in cui ci si muove, e così avviene anche nel caso italiano. Anche gli indicatori sociali, come quelli economici, da alcuni anni a questa parte volgono al brutto e al peggio, se si pensa ai molti milioni di italiani sotto la soglia di povertà (almeno dieci milioni in povertà assoluta, con circa quattro milioni di minori) e al fatto che da qualche mese, nel meridione, le morti hanno superato le nascite com’è accaduto in Grecia (redditi insufficienti, cibo spazzatura, inquinamento, malasanità, elevato costo dei medicinali e delle cure, contrazione della spesa sociale, natalità in picchiata, abbandono del territorio da parte dei giovani, eccetera). I soli disoccupati ufficiali, censiti dall’Istat, nel mese di ottobre erano oltre 3,4 milioni a livello nazionale, senza contare l’esercito di inoccupati che “sfugge” alle rilevazioni statistiche (altri tre milioni di unità?). Non serve ricordare la situazione critica in cui versa la maggioranza dei pensionati, sotto i mille euro mensili (e senza la regalia degli ottanta di Renzi), o i dipendenti pubblici a più basso reddito, con aumenti retributivi bloccati anche per tutto l’anno venturo.

Nella violenta e accelerata trasformazione dell’ordine sociale imposta dagli onnipotenti mercati&investitori ed eseguita dal pd di governo, pesa la fiscalità (volutamente) eccessiva, che prevediamo in crescita anche nel 2015 grazie soprattutto alle tasse locali. La fiscalità di rapina colpisce le vecchie “classi subalterne” e di conseguenza parte rilevante del ceto medio produttivo, soprattutto se di fascia bassa, che subisce un vero e proprio processo di plebeizzazione. Si tende, attraverso l’azione dei collaborazionisti di governo (in prima linea il pd e la sinistra), a creare una vasta neoplebe precaria relativamente facile da gestire. Operai, cassaintegrati, sotto-occupati e disoccupati, impiegati con la retribuzione bloccata, pensionati al minimo, artigiani vessati dall’agenzia delle entrate/equitalia, imprenditori falliti o prossimi alla chiusura ne fanno parte a pieno titolo. Sopportano in silenzio tutto il peso della schiavitù per debiti imposta allo stato italiano (valendosi dell’azione di basisiti politico-istituzionali come Napolitano) e qualche volta si suicidano, senza riuscire a mettere in discussione il sistema che li opprime. I trattati-capestro europei hanno agito contro di loro e contro la popolazione italiana in generale, che ne sconta gli effetti sulla propria pelle. Se Standard & Poor’s taglia il rating sul debito sovrano(!) dell’Italia a BBB-, appena un gradino sopra di quella che considerano spazzatura, chi ci rimetterà di più, chi sconterà gli effetti del “declassamento” del paese, sarà la neoplebe, sempre più numerosa nell’ordine sociale neocapitalistico che si prefigura.

Eppure, in questa situazione che annuncia il collasso, non c’è traccia di un’estesa, sacrosanta e sanguigna reazione popolare. Soltanto innocui grillini, felicemente approdati in parlamento, qualcuno che lancia le uova contro le automobili di ministri o prefetti e qualche sporadica scaramuccia, nelle città, fra polizia e centri sociali. Per il resto, tutto sembra tacere e il silenzio diventa assordante.

E’ evidente che la passività sociale, apparentemente sconcertante, manifestata dal popolo italiano davanti all’applicazione forzata di politiche economico-finanziarie che lo danneggiano, non può avere un’origine esclusivamente economica. Un lungo e intenso lavoro preparatorio ha preceduto, e poi accompagnato, l’applicazione delle politiche neocapitalistiche de-emancipanti, mancando il quale già da un po’ si sparerebbe per le strade. L’azione si è concentrata sull’uomo e sul suo ambiente culturale, modificandolo per renderlo adatto a sopportare il peso della trasformazione neocapitalistica complessiva. Senza questa premessa non si riuscirebbe a comprendere perché le neoplebi, postproletarie e postborghesi, non si ribellano con ampio uso della violenza, e perché il consenso è cresciuto a dismisura, intorno al principale partito euroservo e filo-atlantista, cioè intorno al pd.

Il nuovo ordine sociale è frutto, perciò, della precarizzazione lavorativa ed esistenziale di massa, della riduzione dei redditi popolari, nonché della manipolazione mediatica incessante e della diffusione propagandistica della menzogna ( “il privato è più efficiente”, “piccolo è bello” riferito alla Pmi, “diventa imprenditore di te stesso”, “io credo nel mercato”, “le ideologie sono morte”, ”diventare competitivi”, eccetera). L’unico alfabeto ammesso è quello sistemico, politicamente corretto, che trasforma e indirizza il pensiero nel senso voluto, ben sapendo che l’azione manipolatoria concentrata sul linguaggio e sul pensiero è un potente veicolo per l’assoggettamento. Il risultato è che la combattività delle neoplebi è inferiore persino a quella della classe proletaria, che nel dopoguerra si stava gradatamente “imborghesendo”, alimentando l’allora ceto medio figlio del welfare. Dalla tripartizione sociale precedente – borghesia proprietaria, proletariato e ceto medio – ci stiamo muovendo rapidamente verso la dicotomia classe globale dominante/classe povera (ridotta a neoplebe senza nerbo), così come dal capitalismo inclusivo del produttore/consumatore, caratterizzato da un compromesso fra stato e mercato, ci stiamo muovendo verso le terre non più incognite del nuovo capitalismo finanziarizzato ultraliberista (“anarchico” e senza redistribuzione della ricchezza), che genera i profili del precario e dell’escluso e consegna per intero la decisione politica al mercato.

Non mi dilungherò su temi antropologico-sociali come l’imbecillità socialmente organizzata, sull’uso del cibo, degli psicofarmaci e delle droghe per infiacchire la popolazione e renderla malleabile, gestibile senza una vasta, costosa e rischiosa azione repressiva. Sono discorsi che ho già fatto in passato, molte volte, e che non serve riassumere ancora una volta in questa sede. Recentemente ho avanzato la provocatoria ipotesi che è nata, da uomo e donna, sulle macerie culturali, sociali e politiche del novecento una nuova specie, diminuita quanto a facoltà critiche e “libera volizione”, il cui immaginario è totalmente colonizzato e il cui vocabolario è quello imposto dal sistema. Fattore-lavoro oppure, mancando il lavoro, eccedenza umana da smaltire, inutile per il capitale sovrano. Questo è il destino che puntualmente riserveranno a chi non si ribella.

In Italia, i collaborazionisti piddini delle eurocrazie e delle signorie finanziarie occidentali internazionalizzate hanno buon gioco, perché la manipolazione antropologico-culturale di massa ha prodotto gli effetti “sperati”. Come si nota, osservando questo paese, il passaggio all’ordine sociale neocapitalistico, velocizzato da Monti a Renzi, si sta compiendo senza scossoni di rilievo (riots estesi, jaquerie post-medioevale di massa, rivolte urbane armate, “terrorismo” diffuso, eccetera). Non stiamo vivendo nella quiete prima della tempesta (sociale), ma nella calma ferale della pax neocapitalista che regna incontrastata.

Anche per i predetti motivi, di natura non economica e non finanziaria, l’Italia è condannata.

3. La situazione internazionale e la sua possibile evoluzione nel breve, di cui al punto c), non ci lasciano troppe speranze. Anzi, le probabilità di un cambiamento positivo, di qui a un paio d’anni, si riducono al lumicino e la probabilità di un collasso definitivo del “belpaese”, nel breve-medio termine, è ormai altissima. Di seguito mi spiegherò meglio.

Se non vi sarà un’inversione di rotta nelle politiche economiche rigoriste-europidi, depressive e deflattive, com’è molto probabile (punto a), se non ci sarà una vigorosa reazione interna, sociale e politica, a questo stato di cose (punto b), non resta che sperare in un’evoluzione della situazione geopolitica favorevole per il paese. Ridotta nelle condizioni di asservimento che possiamo osservare, l’Italia non avrebbe altra chance che attendersi un rapido mutamento della situazione internazionale, non solo in Europa.

Dovrebbe accadere quanto segue: I) un indebolimento degli usa e della loro capacità d’intervento (militare ed economica), di pressione e di destabilizzazione; II) una rapida ricomposizione della frattura fra la Federazione Russa e alcuni importanti paesi europei, a partire dalla Francia, e l’auspicabile débâcle dello stato-canaglia filo atlantista ucraino; III) una stabilizzazione della situazione in Medio Oriente e nel Nord Africa, dopo un significativo indebolimento dell’organizzazione criminale mercenaria (al servizio degli islamosauditi, degli usa e dei sionisti) nota come stato islamico, nonché un’affermazione definitiva di Assad in Siria; IV) una decisa e repentina vittoria del Front National francese (possibilmente in elezioni presidenziali anticipate, prima del 2017), l’auspicabile fine dell’unione monetaria europide e il ridimensionamento del ruolo della germania. Già che ci siamo, possiamo aggiungere al novero V) l’affacciarsi di una crisi economica e/o politica in Cina (che ridimensionerebbe un pericoloso concorrente).

E’ chiaro che simili eventi avrebbero un’influenza decisiva sulla situazione interna del nostro paese: riavvicinamento alla Russia utile dal punto di vista economico e occupazionale, collasso del pd e dell’infame sinistra conseguente al collasso della ue e all’indebolimento usa, fine del rigore contabile economicamente e socialmente asfissiante, probabile riacquisizione della sovranità monetaria con riattivazione della spesa sociale e degli investimenti pubblici, eccetera. E’ altrettanto chiaro, però, che si tratta soltanto di un “libro dei sogni” (a essere prudenti) e che la situazione internazionale, nell’arco di uno o due anni, non potrà cambiare in modo così deciso e positivo.

Al contrario, è molto più probabile: I) che gli usa mantengano buona parte della loro capacità d’intervento (militare ed economica), di pressione e di destabilizzazione dei paesi ribelli; II) che non si ricomponga, o non si ricomponga del tutto, nel breve la frattura fra la Federazione Russa e i paesi europei soggetti alla nato e alla ue, e non collassi definitivamente l’ucraina filo atlantista (tenuta in vita dagli americani); III) che continui l’instabilità in Medio Oriente e in Africa settentrionale, proseguano i conflitti, le “pulizie” etnico-religiose e le attività criminali degli islamisti sunniti (così conviene anche agli usa) e in Siria non ci sia un vincitore; IV) che il Front National sia costretto a starsene “buono buono” fino alle presidenziali del 2017, rischiando di scontare un’erosione del consenso, con l’aggravante che i due maggiori partiti euroservi francesi, l’ump di Chatel e il ps di Cambadélis, potrebbero coalizzarsi in funzione anti-Le Pen. Già che ci siamo, aggiungiamo pure V) che la Cina continuerà a espandersi a nostro danno (pur con rallentamenti del tasso di crescita), perché al momento non vi sono segnali d’imminente ridimensionamento economico e/o dell’insorgere di una forte instabilità politica (nonostante le proteste a Hong Kong, dietro le quali ci sono gli americani).

In passato confidavo, almeno un po’, sull’evolversi della situazione internazionale e su un cambiamento geopolitico che avrebbe potuto essere benefico per l’Italia, impossibilitata a salvarsi motu proprio. Oggi ho motivo di ritenere che tale cambiamento è altamente improbabile, soprattutto in tempi brevi, e che il nostro paese anche per questo è condannato.