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La Montagna torna selvaggia come nel medioevo

di Luigi Dell'Aglio - 28/08/2006

Secondo l’Onu, entro il 2030 l’Unione europea avrà circa 41 milioni di abitanti in meno: a farne le spese saranno le aree rurali e quelle montane. Gli esperti lanciano l’allarme:sui monti abbandonati, poche specie animali e niente pascoli.Andrà bene solo a lupi e cervi

 

Per Legambiente, «il ritorno della foresta non è di per sè negativo: è come se la natura cicatrizzasse le ferite che le sono state inferte. Nei "secoli bui", la presenza umana sulle Alpi arrivava a 2.300 metri»

 

Gran parte d’Europa sta per ricoprirsi di foreste vergini e ridiventare com’era migliaia di anni fa, dopo l’ultima glaciazione? Se si pensa che, nel Vecchio Continente, l’uomo ha già abbandonato quasi un centinaio di milioni di ettari di montagna, c’è da dare ragione a Jean-Erik Petersen, dell’European Environmental Agency di Copenhagen. Larghe fette del territorio europeo saranno «restituite alla natura», conferma da Berlino il capo dell’Istituto per lo sviluppo della popolazione, Reiner Klingholz. Quelle foreste rimarranno al riparo dall’invasione del cemento; lassù non arriveranno né il frastuono né i fumi delle metropoli degradate.
Ma la completa restituzione di tante terre alla natura non significherà un ritorno all’Eden, al modello di vita e di bellezza che la montagna rappresenta per gli europei. Proprio gli ambientalisti "puri" esortano a non farsi illusioni. Montagne deserte, angusti fondovalle stipati di edifici, rischio idrogeologico altissimo. «Lassù andrà bene per lupi e cervi, ma non si vedrà nient’altro: pochissime specie animali, niente più pascoli, laghetti, siepi, aree agricole, fiori, farfalle: la foresta selvaggia distruggerà l’habitat che conosciamo», si sfoga Petersen.
E non è da meno Damiano Di Simine, di Legambiente, responsabile dell’Osservatorio, e della "Carovana", delle Alpi. «Il ritorno della foresta non è in sé negativo: è come se la natura cicatrizzasse le ferite che le sono state inferte. Ma sulle Alpi le forme dell’insediamento, dell’agricoltura e della pastorizia hanno creato paesaggi assolutamente peculiari; un mosaico di ambienti ai quali flora e fauna hanno avuto, nei secoli scorsi, tutto il tempo di adattarsi. Non meno grave è la perdita di un patrimonio plurisecolare di conoscenze sulla conduzione dei suoli, di tecniche di costruzione, di coltivazione e lavorazione dei prodotti. Tante culture materiali diverse rischiano di scomparire».
Nel Medioevo, con il clima più caldo, l’antropizzazione sulle Alpi si estendeva fino a 22 00-2300 metri, spiega Annibale Salsa, presidente del Club Alpino Italiano, il quale presiede anche il gruppo di lavoro "Popolazione e Cultura" della Convenzione delle Alpi, il trattato internazionale fra gli otto Stati dell’arco alpino. «Il livello di biodiversità era minimo in montagna, prima che l’uomo la dissodasse. Il paesaggio delle Alpi, in tutta la sua varietà e ricchezza, è opera dell’uomo».

La montagna è condannata all’abbandono? Le previsioni demografiche sembrano togliere ogni dubbio: molti terreni coltivabili lasciano il posto alle foreste perché la campagna - e più ancora la montagna - tendono a spopolarsi. Secondo l’Onu, entro il 2030 l’Unione europea avrà 41 milioni di abitanti in meno (nonostante la massiccia immigrazione). Saranno le aree rurali, soprattutto quelle montane, a pagare il tributo più alto: perderanno un terzo dei propri abitanti. Ma intanto la fuga verso le città è ancora in corso? In Italia l’esodo biblico dalla montagna è finito da vent’anni, afferma Corrado Barberis, presidente dell’Istituto nazionale di sociologia rurale. Il censimento del 2001 attribuisce alla montagna 7,4 milioni di abitanti, soltanto centomila in meno rispetto al 1991. E Barberis sa come spiegare questa flessione. Prima di tutto: la popolazione delle campagne e della montagna diminuisce nel Sud, dove le occasioni di lavoro scarseggiano, ma cresce nel Centro-Nord. Inoltre, tra quanti lasciano la montagna vengono impropriamente inclusi coloro che se ne vanno da alcuni dei 14 capoluoghi di provincia considerati, dal punto di vista statistico, Comuni montani.
«Da questi centri la gente è tentata di emigrare per via dell’effetto metropoli, perché non sopporta la città sovraffollata. Perciò, demograficamente parlando, queste città sono un passivo per la montagna», insorge Barberis. Sono varie le ragioni per cui una città è considerata Comune montano. Non solo l’altitudine, ma anche - per esempio - le essenze vegetali che vi crescono, come l’abete. «Così Genova è inquadrata dall’Istat fra le città montane. E passa per esodo dalla montagna il deflusso di 68 mila abitanti che il capoluogo ligure ha perso in quanto grande agglomerato urbano. (Stranezze statistiche: a Nervi, frazione di Genova, i turisti hanno l’eccezionale possibilità di "fare il bagno in montagna")».

Per la montagna (quella vera), il bilancio reale è forse più roseo di quanto sembri. Secondo Barberis, la montagna registra partenze ma soprattutto arrivi. Un fatto è però innegabile: fra i "transfughi", o tra coloro che si sono sistemati nel fondo valle ci sono i proprietari di circa cinque milioni di ettari di bosco abbandonati, che non compaiono più nelle statistiche, osserva Barberis.
Di qui la proposta: perché non permettere alle aziende sopravvissute di inglobare i tanti ettari ormai disponibili? E un’altra domanda l’aggiunge il presidente del Cai: perché - diversamente da quanto avviene in Svizzera e in Austria - nelle regioni montane d’Italia il potere politico, economico e amministrativo sta sempre in pianura, e mai in montagna?

Oltre allo spopolamento (relativo), sul futuro della montagna pesa l’invecchiamento, fenomeno - questo sì - indiscusso. Il primato negativo in Europa è di Prastos, paese del Peloponneso. Per secoli fiorente comunità di mille residenti, con oltre 50 mila capre, Prastos è oggi abitato da dodici anziani. Chiusa la scuola, muta la campana della chiesa, incoltivabili i terreni. La pioggia ha spazzato via la terra fertile; lì rimarrà boscaglia riarsa che d’estate prende fuoco da sola.
«E’ inutile accanimento terapeutico tentare di ripopolare territori completamente abbandonati», osserva Damiano Di Simine, di Legambiente. «Non si perda altro tempo prezioso. E’ ora di sostenere i giovani imprenditori disposti a scommettere sul rilancio dei territori su cui è ancora possibile intervenire. Sulle Alpi francesi stanno rinascendo centinaia di borghi».
L’amore per la montagna può trasformarsi in passione professionale. Il 52,3% degli italiani preferirebbe vivere in un Comune con meno di 5 mila abitanti (come risulta da un’indagine Coldiretti). Secondo il "borsino delle carriere ideali", preparato dal mensile Campus, tra due possibilità - diventare manager di una multinazionale o aprire un agriturismo - i giovani, senza esitare, optano per la seconda. Grazie all’information technology la montagna può affascinare giovani pieni di idee.