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Waiting for Athens

di Eugenio Benetazzo - 20/01/2015

Fonte: Eugenio Benetazzo

Inutile negare che i fatti di Parigi hanno assorbito tutta l’attenzione mediatica, sintonizzandosi su qualsiasi talk show in Italia non si parla d’altro: siamo in guerra, chiudiamo Shengen, basta con l’integrazione, gli USA hanno sbagliato politica estera, basta con le moschee e cosi via. La corrente radical chic, perbenista fino alla nausea, del giornalismo italiano sarà molto sorpresa dai risultati delle prossime tornate elettorali, i partiti e movimenti che difendono le identità nazionale faranno l’exploit, quasi ovunque. Ascoltare Martin Schultz, Presidente del Parlamento Europeo, in questi giorni post attentati, nel tentativo di smorzare i toni contro l’immobilismo e buonismo europeo, fa venire letteralmente voglia di tesserarsi ad Alba Dorata o al Fronte Nazional. Ci sarà comunque a breve un altro fatto che scuoterà il mondo, certo non con la stessa tragicità, ma con la stessa ridondanza mediatica: l’esito elettorale del voto politico di Atene il prossimo 25 Gennaio. Pensavamo che la Grecia fosse ormai sdoganata ed invece eccola che si ripresenta dopo tre anni più aggressiva e preoccupante che mai. La probabilità che questa volta gli ateniesi facciano gli spartani è oggettivamente molto elevata: chi lavora all’interno degli ambienti bancari sa che i grandi istituti si stanno preparando a gestire le bank runs (corse agli sportelli per ritirare il contante).

La nuova composizione del prossimo parlamento ellenico potrebbe rigettare l’euro ed il debito pubblico greco generando intanto un effetto shock sui mercati finanziari, soprattutto quelli obbligazionari. L’abbandono della moneta unica da parte della Grecia tuttavia nel medio e lungo termine potrebbe invece essere paradossalmente un elemento che rafforzerà l’euro e le politiche di austerity. Andiamo per gradi. Tanto per cominciare si può uscire dall’euro con un atto di sovranità nazionale, basta rinnegare tutta l’Unione Europea. Uscire dall’euro significa uscire dall’Europa: questo produce al paese che persegue tale strada sicuramente degli effetti positivi quanto negativi. Nessuno ad oggi può garantire che il saldo sarà positivo. Pertanto la Grecia potrebbe diventare un esperimento monetario non convenzionale con l’introduzione di una NCC (new currency country) che avrà un nuovo rapporto di cambio con le principali divise del mondo. Già nei primi sei mesi si potranno fare presunzioni oggettive ovvero se avrà avuto senso oppure se sarà stato un suicidio di massa. Di certo oggi la Grecia è più coinvolta e sensibile al concetto di sovranità nazionale e soprattutto ne ha fin sopra di Berlino, della Merkel, della Troika. Tuttavia la Grecia di oggi è anche molto più fragile e debole di quella di tre anni fa, molte imprese non esistono più, molti capitali sono fuggiti verso altri lidi.

Uscire in queste condizioni potrebbe condannare alla povertà ed al sottosviluppo per decenni intere generazioni di ragazzi greci. Identificare una soluzione win-win è impossibile, europeisti ed euroscettici hanno entrambi ragione all’interno del loro assetto intellettuale. Quello che la storia economica ci insegna è che ti conviene il moral hazard quando non hai niente da perdere, mentre quando devi preservare potere d’acquisto, sicurezza alimentare ed energetica, protezione del risparmio, assistenza sociale, allora forse è il caso che continui con la vecchia strada per quanto essa sia sterrata ed in salita.
Se la Grecia abbandona l’euro e questo diventasse il trigger event che porta tutto il paese alla sudamericanizzazione nel giro di pochi mesi, allora l’euro si rafforzerebbe oltre ogni misura, facendo sprofondare per sempre i rischi del break-up continentale. Probabilmente l’establishment europeo punta proprio a questo: lasciare la Grecia al suo destino nella speranza (per loro) che la maggior parte delle potenzialità macro-economiche tanto decantate non si avverino e producano pertanto la messa in scena di una nuova tragedia greca. In epoca medioevale in Europa si usava dire, mors tua, vita mea. Niente è più consono di questa locuzione latina per descrivere l’impasse che ci apprestiamo a vivere.

L’establishment, i poteri forti, le lobby o chiamateli come vi pare, sono consapevoli che la Grecia di oggi è molto più debole sul piano economico e quindi che questo potrebbe produrre la dipartita. Tuttavia sanno anche che l’Europa di oggi è molto più forte e strutturata, nonostante il tergiversare e l’annuncite della BCE, rispetto all’estate del 2011 che innescò la crisi del debito sovrano. Da allora infatti sono state ideate e messe a regime diversi meccanismi di protezione finanziaria, tanto per le banche sistemiche, quanto per i titoli di stato dei paesi in difficoltà. Non è casuale il temporeggiare della BCE sul noto programma di quantitative easing (QE) che dovrebbe essere presentato proprio il 23 Gennaio, quando le proiezioni sull’esito elettorale dovrebbero far presumibilmente comprendere se vinceranno gli euroscettici o se gli europeisti avranno ancora la meglio. In tal caso dopo il rinnovo del parlamento europeo di maggio dello scorso anno e metabolizzato l’esito del referendum scozzese di settembre potremmo definitivamente considerare l’euro ormai come un progetto oggettivamente irreversibile. Il 2015 si avvia pertanto ad essere un anno all’insegna dell’incertezza e della volatilità oltre ogni peggiore presagio sin dalle prime settimane: presenza di decorrelazione tra tutte le asset class, materie prime ai minimi degli ultimi anni, cambio euro/dollaro in picchiata, rischi di natura macro ovunque e rendimenti delle obbligazioni ormai al capolinea.