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Pesca eccessiva: le “Navi Mostro” stanno uccidendo i mari

di Andrea Bertaglio - 20/01/2015

Fonte: La Stampa







Negli ultimi sessant’anni le riserve ittiche si sono svuotate del 90 percento, e a livello globale rischiamo di arrivare al collasso di tutte le specie pescabili entro la metà di questo secolo. Una situazione letteralmente insostenibile, che unita all’inattività legislativa e al mancato rispetto delle poche regole esistenti potrebbe presto risultare irreparabile. L’allarme, lanciato da diverse associazioni ambientaliste fra cui Greenpeace e Oceana, sembra essere stato ignorato fino al limite del possibile, anche dalle istituzioni. Che, dal primo gennaio di quest’anno, almeno nell’Unione europea un timido passo in avanti l’hanno fatto: vietare il discarding, pratica con cui si rigetta in mare gran parte del pescato in quanto non conforme alle più redditizie richieste di mercato. Secondo Greenpeace International, che in questi giorni sta monitorando la situazione nei mari del centro-nord europeo, il problema è legato soprattutto alle «Monster boats»: navi dalle enormi capacità di pesca che, in una singola spedizione, rigettano in mare quantità di pesce sufficienti a sfamare per una settimana una città di 250mila abitanti. 

 

“Per decenni l’Unione europea e i suoi Stati membri hanno permesso alle loro flotte industriali di aumentare la pesca fino a un livello insostenibile”, denuncia l’Ong nel rapporto «Monster boats. The scourge of the oceans» (Navi mostro. La piaga degli oceani): “La maggior parte di queste flotte sono finanziate con i soldi dei contribuenti europei, ma i guadagni finiscono nelle tasche di un ristretto gruppo di operatori del settore”. Che, denuncia Greenpeace, oltre a depredare senza ritegno riserve ittiche patrimonio di tutti, sfruttano i loro legami con i decisori pubblici per ottenere profitti spesso al limite la legalità. I soldi provenienti destinati alla pesca sono davvero molti, in Europa, nell’ordine di diversi miliardi ogni anno. Eppure, questo denaro pubblico finisce nelle mani di chi di profitti ne fa già a cifre a sei zeri, denuncia l’associazione. Il tutto, mentre i piccoli operatori sono costretti sempre più spesso a chiudere i battenti.  

 

Ma è a livello ambientale che i numeri si fanno più impressionanti. Con l’uso di enormi reti a strascico (fino a 23mila metri quadrati di estensione) e la pratica del discarding, per ogni chilo di gamberetti pescato in mare aperto, ad esempio, si rigettano in mare senza vita tutti gli altri pesci che queste enormi reti pescano accidentalmente insieme ai gamberetti stessi: si tratta del cosiddetto bycatch, vale a dire l’80-90% del pescato. In altre parole, per ogni chilo di gamberetti vengono catturati e distrutti inutilmente altri 9 chili di vita marina.  

 

La buona notizia è che, dal 1° gennaio 2015 nei mari Ue la pratice del discarding è stata vietata. Resta da vedere se le grandi flotte rispetteranno davvero questa nuova regola, una volta giunte in mare aperto. C’è da sperare che lo facciano, se si pensa che, secondo i calcoli riportati sul rapporto Monster boats, ad ogni spedizione le navi mostro – in questo periodo dell’anno attive soprattutto nel Mare del Nord e nel Canale d’Inghilterra per la pesca dell’aringa - rigettano in mare fino a 600 tonnellate di pesce: l’equivalente di due milioni di pasti. Ma i dubbi sono molti, nonostante evitare di svuotare completamente i mari entro meno di 50 anni (le previsioni parlano del 2060) sia ovviamente anche nell’interesse di chi in mare ci lavora. E si tratta di milioni di persone, in Europa, ma anche e soprattutto in Paesi la cui economia è basata soprattutto sulla pesca.  

 

Il pesce è la principale fonte di proteine per 1,2 miliardi di persone, e questo fatto dimostra una volta di più come il rispetto e la tutela dell’ambiente si leghi ai temi sociali ed economici. Il fatto che i piccoli pescatori dei Paesi del sud del mondo non possano più auto-sostentarsi con la pesca li porta a dovere emigrare. Guardiamo ad esempio al Senegal (e all’Africa occidentale in generale): lì, dove pescherecci stranieri (anche europei) catturano in un solo giorno tanto pesce quanto 56 piroghe locali in un anno, quello che si può trovare nei mercati locali è calato del 75% in soli 10 anni. “Di questo passo potrebbe non esserci più pesce entro pochi anni”, denunciano le Associazioni di pescatori del posto: “In questo modo oltre alla possibilità di rimanere senza pesce, cresce il rischio di conflitti, pirateria ed emigrazione clandestina. Soprattutto verso l’Europa”.