Non sentirsi per nulla Charlie Hebdo
di Francesco Mario Agnoli - 27/01/2015
Fonte: Arianna editrice
Chi ha come fonte d'informazione esclusiva o quasi la stampa quotidiana e la televisione è necessariamente persuaso che milioni di europei, in pratica l'intera popolazione del continente, si riconosca nel motto “Je suis Charlie Hebdo”. Al contrario i frequentatori della rete hanno molte più probabilità di imbattersi in chi vuole differenziarsi, quasi sempre motivando con intelligenza, e, pur rammaricandosi per l'uccisione di esseri umani, dichiara di non sentirsi per nulla Charlie Hebdo.
Intendiamoci non credo affatto che i milioni di persone che hanno partecipato alle manifestazioni del giornale satirico parigino (in particolare i francesi – per gli altri ho qualche dubbio in più) siano imbecilli, che, come si diceva un tempo, hanno portato il cervello all'ammasso. Sono molte le ragioni che (ripeto, in particolare in Francia) possono avere spinto a scendere in piazza anche chi non aveva mai sentito parlare di Charlie Hebdo o, conoscendolo, lo considerava un giornalaccio da mettere al bando (ovviamente senza uccidere nessuno). A cominciare dal rispetto sempre e comunque per la vita umana, dal desiderio di trovare, in un paese sentito come sotto attacco, il conforto della vicinanza, in una identità di sentire, dei connazionali, e anche di venire rassicurato dalla presenza dei musulmani che hanno risposo positivamente all'appello di unirsi alla protesta e al compianto, prendendo così le distanze dagli assassini in nome di Allah.
Insomma contro questi milioni di francesi non ho proprio nulla anche se mi sono subito unito ai “je ne suis pas Charlie Hebdo”.
Profondo disgusto invece per le prime due-tre file (la prima era anche esteticamente orrenda) del corteo parigino. Anche in questo caso in particolare per i francesi, rappresentati da Hollande e Sarkozy, impegnatissimi a sfruttare senza vergogna il luttuoso avvenimento per risollevare le proprie declinanti fortune elettorali, tanto da avere invocato, come nel 1914 l'Union sacrée della Nazione mentre interdivano l'accesso al corteo al loro più pericoloso concorrente, il Front National di Marine Le Pen.
Tutti questi signori (ai quali vanno aggiunti molti degli intellettuali che, anche in Italia, si sono esibiti nei talk-show televisivi) si sono proclamati portatori e paladini dei valori altissimi della civiltà europea attaccati dai terroristi islamisti (l'aggettivo che la politically correctness utilizza in luogo di “islamici” per identificare il lato oscuro del mondo musulmano). Questi vergognosi ipocriti sembrano avere dimenticato che fra i valori della civiltà occidentale, accanto alla libertà di opinione vi sono anche, altrettanto irrinunciabili (e i politici “liberali” sono i primi, quando gli fa gioco, a riempirsene la bocca), la tolleranza ed il rispetto per tutti, indipendentemente dal colore della pelle, dall'appartenenza etnica e nazionale, dalla provenienza e, soprattutto dalle convinzioni politiche e dal credo religioso. E' appunto in nome di questi principi che i componenti delle due prime file del corteo, tutti “liberali” dal purissimo pedigree, promuovono nei loro paesi l'accoglienza dei migranti e il rispetto delle loro culture.
Date le responsabilità di cui sono investiti, invece di sfilare in testa ai cortei o ciarlare nei talk-shaw, i 50 capi di stato 50 accorsi a Parigi e i loro intellettuali di servizio dovrebbero compiere quel modesto sforzo mentale che gli consentirebbe di capire che l'offesa continua (oltre tutto immotivata e fine a se stessa) alle più profonde convinzioni di tutti, ma ancor più di chi arriva in un nuovo paese o comunque partecipa di una cultura diversa, non solo fa male, ma non facilita né la convivenza né l'integrazione ed è in radicale contrasto col principio di tolleranza.
In realtà simili riflessioni possono forse servire a quei milioni di persone che hanno sfilato in buona fede e ai molti che, avendo poi visto su internet le opere, esaltatrici del nulla più assoluto e dell'odio per l'odio, dei vignettisti di Hebdo. hanno cominciato a pentirsene e a scrivere “maintenant je ne suis plus Charlie Hebdo”. Certamente non ai protagonisti delle prime due file del corteo parigino (ancora una volta anzitutto i francesi, ma, insieme a loro, per complicità morale, tutti i colleghi che li tenevano a braccetto per condividerne il preteso dolore ed il presunto sdegno per l'offesa arrecata alla libertà di opinione). Costoro, autentici campioni, ancor più che d'ipocrisia (di cui sono comunque inarrivati maestri), d'impudenza, non hanno atteso nemmeno la fine delle manifestazioni dei “je suis Charlie Hebdo”, per fare arrestare il comico franco-camerunense Dieudonné, colpevole di avere contestato i marciatori per la libertà di opinione col dichiarare sarcasticamente “Je suis Charlie Coulibaly”, cioè il complice nero dei fratelli Kouachi.
Per l'establishment francese la satira dei vignettisti di Charlie Hebdo costituisce uno splendido esempio di libertà di opinione, di cui la Francia repubblicana è paladina, mentre quella di Dieudonné, sgradita al regime, secondo il ministro dell'interno, Bernard Cazeneuve (viene quasi da ridere -o da vomitare - a riferirlo), è irresponsabile e dimostra una insopportabile propensione a suscitare l'odio e la divisione. Di lì a poco, su ordine della procura di Parigi, più che sollecita a recepire l'input di Cazeneuve e del primo ministro Manuel Valls, prontamente aggiuntosi, da autentico libertario socialista quale è, per rincarare la dose, il comico Dieudonné si è ritrovato in galera con la non lieve accusa di apologia del terrorismo.
Poco furbo questo Dieudonné. Vivendo in Francia, un paese dove per essere arrestati (ne ho già scritto, ma la caccia alle vignette non gradite da parte della polizia continua e oggi, 15 gennaio, si è avuto notizia di una trentina di giovani indagati perché indossavano t-shirt con il logo dell'associazione Manif pour tous) basta una maglietta con l'immagine di una famiglia naturale (un uomo e una donna con un bambino), avrebbe dovuto capire da tempo che in Francia, come – ahimé ! – in gran parte dell'Europa, la libertà di opinione e di satira non è per tutti.