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Crisi: la rapina impunita

di Aldo Zanchetta - 03/02/2015

Fonte: Arianna editrice

 

 “CRISI:LA RAPINA IMPUNITA” DI JEAN ROBERT

COME EVITARE CHE IL RIMEDIO SIA PEGGIORE DEL MALE

Di JEAN ROBERT

Museodei 2014, pagg.238, E 19 – www.museodei.com

 

SULL’AUTORE

I libri sulla crisi si sprecano, scritti per lo più da economisti o da giornalisti economici. Jean Robert non è né l’uno né l’altro. E’ un architetto che si è interessato sopratutto agli aspetti sociali della sua ‘arte’ e in particolare ai problemi della mobilità urbana. Uomo di raffinatissima cultura, nel 1972 si trasferì in Messico a Cuernavaca, dove dal 1966 al 1976 fu attivo il famoso Centro Interculturale di Documentazione (CIDOC) di Ivan Illich, all’epoca autore di libelli ‘dissacratori’ che infiammarono di polemiche il mondo intellettuale (“Descolarizzare la società”, “Nemesi Medica”, “La Convivialità” etc). E lì Robert tutt’oggi risiede, con frequenti puntate in Europa invitato a convegni e congressi.

Fra i due non poteva non stabilirsi una intensa amichevole collaborazione dalla quale il pensiero di Robert ne uscì, se possibile, ancor più affinato e al contempo più radicalmente critico. “Sono un intellettuale libero, e ovviamente povero, che ritiene suo dovere offrire elementi di chiarificazione ai pubblici dibattiti” scrive Robert di sé nel libro. E chi lo conosce sa che non è un vezzo. 

Robert, all’inizio del libro, avverte il lettore: “Questo libro non è un semplice resoconto giornalistico sullo sviluppo della crisi, […] ma vuole proporre alcune piste da percorrere”, su “come evitare che il rimedio sia peggiore del male”, come recita il sottotitolo.

Inutile quindi cercarvi ricette ‘tecniche’ di sapore esclusivamente economico o finanziario. Come infatti scrive Antonio Tricarico nella presentazione all’edizione italiana, l’approccio di Robert non è solo economico, ma decisamente multi-disciplinare, dove trovano spazio la psicologia, la sociologia e l’antropologia, in uno sguardo olistico che ne costituisce l’aspetto più prezioso. Esso è rivolto all’homo sapiens e non alla sua caricatura tragica che è l’odierno homo oeconomicus.[1]

LA CRISI CON LA C MAIUSCOLA

Ivan Illich fin dagli anni ’70 aveva pronosticato con chiarezza la grande “Crisi” prossima ventura, con la C maiuscola, da non confondere con le crisi con la c minuscola, riassorbibili alla meglio dal sistema finché si presentano una per una, cosa non più possibile quando esse si fossero cumulate assieme. Questa Crisi, secondo Illich, avrebbe potuto costituire la grande opportunità per un cambiamento di rotta prima del grande disastro verso il quale il sistema-mondo capitalista si avviava. La radice greca della parola “crisi” significa infatti “cambiamento”. Ma una volta giunta la Crisi, egli non si faceva molte illusioni sull’atteggiamento dei “guidatori” che l’avevano causata:

Il vocabolo crisi indica oggi il momento in cui medici, diplomatici, banchieri e tecnici sociali di vario genere prendono il sopravvento e vengono sospese le libertà. Come i malati, i Paesi diventano casi critici. Crisi, parola greca che in tutte le lingue moderne, ha voluto dire “scelta” o “punto di svolta”, ora sta a significare: “Guidatore, dacci dentro!”. Evoca cioè una minaccia sinistra, ma contenibile mediante un sovrappiù di denaro, di manodopera e di tecnica gestionale.[2]

E questo è il rischio che Robert teme di più:

E’ stata imparata la lezione? Sì, ma questo libro cerca di mostrare che è stata una lezione molto incompleta, quando non errata […] ‘Imparare la lezione’ in profondità significherebbe reinventare la politica e collocare l’economia al posto che le appartiene.

Infatti

[ … ] dopo la fase acuta rappresentata dalla ‘crisi’ propriamente detta, si è passati alla fase cronica e all’adattamento a quel che viene’ (un’espressione carica di cattivi presagi)

e la crisi

cessando di essere un’opzione,diventi una miserabile normalità: nuove miserie con meno libertà, nuove sofferenze e meno opzioni. É questa la ricetta dei normalizzatori? Contro questa nuova fatalità economica voglio proporre una riflessione che inviti a penetrare fino al fondo per aprire l’immaginazione a possibilità nuove.

Purtroppo, come stiamo vedendo, la “Pompe a finance” non ha cessato di travasare ricchezze dal basso verso l’alto, come ha sempre fatto in tutto il corso del capitalismo. Non ci voleva Piketty a dimostrarlo[3]: la grande maggioranza della popolazione del “sistema-mondo” (Wallerstein) via via più esteso nell’arco degli ultimi 5 secoli, lo ha sentito sulla propria pelle come l’autore del pezzo teatrale il cui titolo abbiamo appena citato, Jarry, lo descriveva perfettamente già nel 1896.

REINVENTARE LA POLITICA E “REINCASSARE” L’ECONOMIA (POLANYI)

É sul riposizionamento dell’economia al livello che le compete nella vita delle persone e della società che il libro è incentrato.

Nella prima parte Robert ricorda i fatti che hanno punteggiato l’andamento della crisi dal suo scoppio nel 2008 fino ad oggi, dopo di che esamina “le interpretazioni della crisi [ … ] fornite dai più ferrati professori e dottori in economia e finanza”.

La crisi,dice Robert, è finanziaria, generata nel mondo autoreferenziale degli speculatori

Chiamo autoreferenziali i fatti finanziari perché nel vocabolario finanziario la parola ‘fatti’ ha scarsi riferimenti a realtà esterne, a differenza della parola albero che ha un oggetto di riferimento concreto là fuori (l’albero) Ciò vuol dire che nel gergo finanziario (…) i fatti possono non avere una realtà di riferimento al di fuori della sfera della finanza.

Ma, attenzione, aggiunge subito Robert:

Questo non significa che non abbiano ripercussioni qua in basso, ma che gli uomini della finanza utilizzano un linguaggio che serve a permettere loro di dimenticare le conseguenze dei loro atti nel mondo reale.

Questa relazione fra fatti finanziari e conseguenze nel mondo reale, dice Robert, non è stata ad oggi adeguatamente indagata.

UNA RAPINA MULTIDIMENSIONALE

Il discorso finanziario si muove sempre più in una sfera di autoreferenzialità che permette di definire i fatti finanziari e di negare i loro effetti qua in basso. Questo discorso è in se stesso, per ciò che dice e soprattutto per ciò che non dice, un’immensa macchina di rapina.

E la rapina non è solo finanziaria. Illich, col quale Robert concorda, parlava di trasferimenti netti di privilegi dai poveri ai ricchi: espropriazione di plusvalore, degradazione del lavoro domestico a lavoro ombra a servizio dell’accumulazione del capitale, sfruttamento degli ambiti di sussistenza, l’espropriazione del tempo di vita, la distruzione dei saperi popolari, lo sfruttamento dei poveri.

Descritti i passaggi della crisi e delle teorie finanziarie più ricorrenti che cercano di spiegarla, Robert si dedica a descrivere i limiti intrinseci ad esse:

danno per buona la sproporzione, il carattere illimitato delle aspettative elitarie e mettono in risalto il talento individuale [ … ]  Postulano tipi di morfogenesi, o ‘generazione di forme, che sono insensibili all’effetto di scala o alla grandezza. Questa insensibilità alla grandezza è contraria alla logica del vivente e quindi non è una via percorribile nel mondo reale

Sono i sogni di grandezza che si generano con la perdita di ogni senso del limite, come Goya ha illustrato nel celebre quadro “il sonno della ragione genera mostri”. E Robert cita di nuovo Illich

Per restare in condizioni vitali, l’uomo deve anche sopravvivere ai sogni, che finora erano modellati e insieme tenuti a freno dal mito” (Prometeo etc)

“I miti -dice Robert- mantenevano la proporzionalità fra l’individuo e la sua comunità, e fra questa e la natura (…). Chi scrive queste righe riconosce la superiorità morale dei miti sui sogni moderni, ma non crede che sia possibile tornare indietro”. Invece di ricostruire miti, bisogna consolidare una posizione etica alla luce della ragione, e questo –riconosce Robert- è estremamente difficile.

Il “troppo grandi per fallire” delle banche, che ha guidato la logica dei politici nella fase acuta della crisi, è un emblema di questa dismisura, che fa sì che una banca

impone a tutta la società regole conformi ai suoi interessi senza che i suoi dirigenti, dal canto loro, si sentano strettamente vincolati da nessuna

In contrapposizione a queste spiegazioni “zoppe” Robert passa a analizzare “i lavori di autori che hanno esplorato la relazione dimensionale fra la grandezza e il repertorio di forme possibili nella natura, nella società, nella storia e nella tecnica”.

In particolare si sofferma sulla morfologia sociale di Leopold Kohr, un nome certamente sconosciuto ai politici, agli economisti e ai banchieri, tema su cui Robert, aprendo uno squarcio su aspetti interessanti di un pensiero alternativo, ci introduce nel regno della ‘razionalità irrazionale’ per concludere che la crisi richiede una nuova analisi dal basso per superare la “cecità indotta di fronte alla cultura materiale, che è la vera base” della vita sociale.

UNA GUERRA PLURISECOLARE ALLA SUSSISTENZA

Robert condivide un’altra delle tesi centrali di Illich: il capitalismo fin dalle sue origini ha condotto una guerra spietata alle forme di sussistenza (nobile parola sinonimo di dignitosa autosufficienza e oggi degradata a significare misera sopravvivenza). Questa guerra alla sussistenza ha allargato via via il suo campo di azione fino all’attuale “globalizzazione”, che altro non è se non l’estensione di questa guerra all’intero pianeta. Estensione che non è frutto di progetti culturali o anti-culturali ma inderogabile necessità dell’accumulazione capitalista:

un’esigenza interna del sistema e, oggi più che mai, del nuovo equilibrio che si sta instaurando (…) per stimolare il bisogno di merci e servizi, bisogna distruggere, paralizzare, deprezzare e svalutare le capacità e i talenti che li rendevano non necessari. E’ il circolo del disvalore[4] il cui risultato è un altro esempio di razionalità irrazionale.

LA “VIA DI FUGA” : TERRITORIALITA’ E AUTONOMIA

Quale è allora la “via di fuga” possibile da questa rapina globale? C’è vita dopo l’economia? si chiede Robert. Si, afferma, purché non ci si sia adagiati nell’adattamento della fase cronica in cui la crisi sembra oggi veleggiare e purché noi cessiamo di “sognare i sogni del mondo che sta in alto”. Perché anche noi in basso abbiamo delle colpe quando li assumiamo come nostri. All’inizio del libro ha scritto:

Chi scrive questo saggio ritiene che adattarsi ‘a quel che viene’ sia un atto di capitolazione e che ci siano modi creativi di continuare a sapersi in crisi.

 Questa “via di fuga” passa attraverso la ricostruzione di autonomie territoriali effettive (da non confondere con le forme di decentramento verticale di pezzi di autorità dello stato che resta il gestore unico del potere), dalla insurrezione dei saperi alternativi mortificati da un pensiero patriarcale e omogeneizzatore, dalla contrapposizione della logica dei commons[5] (gli ‘usi civici’, gli ‘ambiti comunitari’) alla razionalità-irrazionale egoistica e competitiva. Questo implica un “soprassalto di libertà” che non è “un’utopia” ma il “suo esatto contrario”:

Parlerei di una cosa che è stata il fondamento delle culture nella maggior parte della storia. Dobbiamo riscoprire, ricuperare quando ancora esistono o reinventare gli ambiti comunitari, gli usi civici, i commons […] La logica dei commons (gli usi civici, gli ambiti comunitari) è cooperativa e diametralmente opposta alla razionalità irrazionale dell’economia finanziaria e capitalista.

Appunti di Aldo Zanchetta  aldozanchetta@gmail.com

Post scriptum : La lettura del libro certamente in alcune parti appare impegnativa. Robert non rinuncia ad affrontare criticamente questioni cruciali del pensiero moderno e non rinuncia, ad es. ad un duro attacco alla scienza  collusa all’economia finanziaria, sulla scia di un’accusa già fatta da Einstein (lettera alla Società Italiana delle Scienze, riunita a Lucca nel 1955). Queste parti possono non essere affrontate da chi non ha una specifica preparazione, e senza alcun pregiudizio della comprensione generale, come avverte lo stesso Robert a pag. 39,  per la parte relativa all’economia matematica.



[1] Sugli sforzi dell’accademia per il consolidamento di questa mutazione vedere l’eccellente testo di Pablo Davalos Le nuove vie del potere. Verso il controllo totale della mente? www.mutusliber.it

[2] Queste parole di Illich risalgono al 1978, The Right to Useful Unemployement. La traduzione è tratta dall’edizione italiana: Disoccupazione creativa, Boroli editore, Milano 2005, pag.20.

[3] Thomas Piketty è l’autore di un bestseller attuale dal titolo Il capitalismo nel XXI secolo. Onore a Piketty per la sua motivata rinuncia alla Legion d’onore, massima onorificenza francese.

[4] “Illich scrive: Oggi vivo in un mondo in cui il male è stato rimpiazzato da disvalore.  A suo avviso il disvalore è la svalutazione dell’autonomia delle gente, la distruzione delle sue imprescindibili capacità allo scopo di trasformare le persone in clienti compulsivi del mercato”. (Robert pag-42)