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Otto Rank, La tempesta

di Bernardo Luraschi - 07/04/2015

Fonte: Periferia occidentale


Giorgione, La tempesta

Giorgione, La tempesta

Per me e per il mio percorso personale, la teoria che provo a descrivere in queste poche righe è stata molto importante. Con questo non è mia intenzione farne l’elogio, semplicemente rilevo che in questo particolare momento dello sviluppo umano, sia utile prenderla in considerazione per tentare di fermare quella volontà di potenza e di dominio distruttivo della natura che ha guidato l’uomo in questi millenni di civiltà e che per il bene stesso dell’umanità oggi è insostenibile.

Otto Rank fu l’allievo prediletto di Sigmund Freud che in una lettera indirizzata a Jung (scritta prima che i due arrivassero allo scontro), definì Rank l’unica mente di valore di tutta Vienna. Rank lo dimostro, scrivendo “Il trauma della nascita”, opera con cui da bravo allievo, uccise (scientificamente s’intende) il proprio maestro, naturalmente gli dedicò l’opera

Il libro proponeva una tesi, che stravolgeva alle radici la teoria freudiana, affermando che alla base della vita psichica dell’individuo vi era il trauma della nascita.

Questo metteva in secondo piano il complesso edipico su cui Freud aveva basato tutte le sue teorie. La cosa non poteva essere accettata, la nuova teoria fu liquidata come irrilevante, in ragione del pregiudizio scientifico dell’epoca che negava la vita psichica nel feto, naturalmente Rank fu espulso dalla Società Psicoanalitica.

Successivi studi neurofisiologici, accertarono che il feto ha una sua ben definita vita psichica e di conseguenza la nascita rappresenta un trauma, un passaggio, un “tra-vaglio”, da un mondo a un altro, che chiamiamo nascita, ma che per il feto ha tutte le caratteristiche di una morte.

A riguardo Rank scrive: “Tutti noi siamo eroi alla nascita quando affrontiamo una tremenda trasformazione tanto psicologica quanto fisica. Lasciando la condizione di creature acquatiche per acquisire d’ora in poi la condizione di mammiferi che respirano l’ossigeno dell’aria… è enorme questa trasformazione e sarebbe certamente un atto eroico se fosse praticato coscientemente” (questo conferma al contempo l’enorme potenza inconscia dell’evento).

La nascita avviene quando la madre non è più in grado di portare il feto in grembo, in buona sostanza si tratta di un aborto naturale; questo percorso è caratterizzato da fenomeni dolorosi che si fissano nel senso di morte creatosi con il trauma della nascita. Con il distacco parziale della placenta, l’apertura delle acque e la diminuzione dell’apporto sanguigno, l’utero si fa tossico, si ristringe e si contrae, il respiro manca, il feto è spinto nel canale vaginale e vive un’angoscia, che è angoscia fisiologica (bisogno di respirare).

Il neonato deve assolutamente espellere i liquidi dai polmoni, conosce il freddo (l’aria lo asciuga raffreddandolo), per la prima volta il suo corpo è esteso, e non trova più i limiti tattili del suo mondo. Tenuto per i piedi a testa in giù, mentre dolorosamente riempie i polmoni d’aria, sente il vuoto intorno a se e la gravità del suo corpo. La luce gli ferisce gli occhi e le orecchie sono straziate da suoni forti e sconosciuti, il suo cuore pulsa disperatamente, piange, si agita, si dispera, non sa dove si trova, ma sa di vivere in una realtà orribile.

Noi siamo guidati dal bambino che è in noi, e il bambino dal neonato che oltre il limite rimosso del trauma, vive la nostalgia dell’età dell’oro, di quei momenti, lontani e mitici, in cui due era uno e l’uno era due nel ventre caldo e protettivo della madre.

Il mito dell’Androgino di cui Platone ci parla nel Simposio, non è forse il racconto di questa separazione traumatica, simboleggiata dal taglio del cordone ombelicale? Segno tangibile e cicatriziale della separazione.

Tutta la nostra vita è dominata dal desiderio del mondo prenatale, mentre l’esistente è segnato fin dal principio dall’angoscia di morte. Per questo, i maschi cercano di riportare il loro “bambino mai nato”, che hanno tra le gambe nel desiderato antro e in questo e per questo si struggono di godimenti e patimenti. Al contempo le donne accolgono in se la vita e tornano a essere due e uno, rivivendo l’esperienza dalla parte della madre, completando così il ciclo e superando il trauma della nascita. All’uomo non resta altro che sublimare il trauma irrisolto nell’atto creativo o distruttivo. Non a caso (ad esempio) il percorso mistico e meditativo prevede l’astinenza.

Questo è il nostro stato, al contempo la nostra necessità, non possiamo farci nulla, superarlo significherebbe estinguerci. La nostra condanna è la nostra salvezza.

Freud come gran parte della successiva psicanalisi non prese in debita considerazione questa teoria che non si affida al mito, ma a pure e semplici sensazioni fisiche precedenti lo sviluppo cognitivo, esperienze che sono veri e propri archetipi universali. Una tale teoria se avvalorata e divulgata come dominante, porterebbe a gravi e irreversibili mutamenti sociali.

La figura maschile e paterna diverrebbe marginale, la società s’indirizzerebbe verso la matrilinearità, la cultura agricola prenderebbe il sopravvento su quella pastorale e la creatività maschile sarebbe riconosciuta per quel che è, una sublimazione del desiderio irrealizzabile (il ritorno all’utero), sostituita dalle figure consolatorie dell’arte, della mistica o dal rivivere e superare il trauma generando morte e distruzione (guerra).

Tutto ciò andrebbe contro secoli di storia, cultura religiosa e sociale, il maschio teme questa eventualità come gli antichi greci il ritorno delle amazzoni. Egli comprende che un cambiamento del genere porterebbe a una diversa visione della vita, molto più pacifica e comunitaria, dove le energie creatrici e distruttive dell’uomo sarebbero limitate e indirizzate all’interno di una cultura dove “il tutto armonico” è sentito e vissuto fattivamente.

Certamente una visione di tal fatta cambierebbe drasticamente la società, gli individui rileggendo il loro agire alla luce di una tale interpretazione troverebbero un limite alla propria volontà di potenza.

L’unica forza in grado di stravolgere i meccanismi distruttivi in atto nella società è la forza femminile espressa nella centralità d’amore e di superamento della morte, che è insita “nell’essere” madre, la forza che in Argentina ha abbattuto un regime dittatoriale, con la ferma opposizione delle madri de plaza De Mayo.

Purtroppo i tempi non sembrano maturi e le donne sono ancora convinte che la loro emancipazione passi per la conquista delle posizioni e libertà maschili, non capendo che sono sublimazioni e rimozioni che l’uomo attua in ragione della sua marginalità creatrice e della sua impossibilità di superare il trauma della nascita con la maternità.

La donna ha conquistato i diritti civili, rivendichi ora il diritto a essere madre, si ponga al centro della società. Si faccia Dio creatore di un mondo nuovo, doni al mondo la sua creatività risolta.