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Pastori di terra, di mare e della finanza

di Bernardo Luraschi - 07/04/2015

Fonte: Periferia occidentale


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Roma pur piena di fascino e di luoghi magici, non è più la più bella città del mondo, la modernità ne ha uccisa l’anima e solo in alcuni luoghi si riesce ancora a rivivere quelle sensazioni che certo una volta erano nell’aria stessa della città. Uno di questi luoghi è il Cimitero Acattolico che si trova tra Porta San Paolo e Testaccio, lungo le mura. In questo luogo tranquillo, assediato dal traffico caotico, riposano quei romantici viaggiatori che tra la fine del 700 e i primi dell’800 resero omaggio a Roma e vi morirono, come John Gibson, August von Goethe, Percy Bysshe Shelley, a questi si aggiungono italiani quali Carlo Emilio Gadda, Antonio Gramsci, Bruno Pontecorvo.

Vi domanderete il motivo per cui parlo di un luogo così apparentemente estraneo ai temi di questo blog, presto detto, questo luogo ha una particolarità credo unica al mondo, nella parte sinistra del cimitero, in un bel prato, sono raccolte le tombe dei cittadini inglesi, semplici lastre di marmo poggiate sul manto erboso. Di fronte, oltre le mura, si staglia la mole della piramide di Caio Cestio che la fece costruire nel 30 a.C. come sepolcro per la sua famiglia.

Qui si confrontano in modo estremo le tombe della civiltà pastorale e agricola. L’una, la pastorale ha la sua massima espressione nella letteratura e nel “libro”, l’altra quell’agricola raggiunge la sua massima espressione nell’architettura.

Se riflettiamo con un po’ d’attenzione, la cosa ci appare ovvia, infatti, i pastori sono costretti alla migrazione al seguito del loro gregge, viaggiano leggeri e nel molto tempo libero, mentre i loro armenti pascolano, riflettono, osservano e leggono, da qui nascono la loro letteratura, filosofia e teologia. Il pastore ha anche altre caratteristiche, egli è solo, lascia la famiglia a casa e non potendo controllare la moglie, i figli e le proprietà, ha bisogno di leggi molto severe, crudeli che dissuadano chi volesse fargli torto. Egli è padrone e signore del suo gregge, aiutato da cani e uomini, che sono per lui poco più che servi, la sua visione del mondo è patriarcale e individualista.

Lui i servi e il gregge, attraversano le terre senza curarsi troppo di far danno, sa che è sufficientemente rapido nello spostarsi e che nessuno lo inseguirà, gli altri uomini, i contadini, sono legati alla terra e non possono allontanarsi troppo, sa anche d’essere temuto, egli è abituato a uccidere, non teme il sangue, né le fatiche, sa che tutti paventano le sue vendette. Egli è solo, il suo sguardo si estende su grandi spazzi, la sua mente è rapida e abituata all’astrazione, presto creerà un dio a sua immagine.

Tutti i monoteismi sono pastorali, l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islamismo, sono accomunati da questo simbolismo e venerano sacri testi rivelati da un Dio o da Profeti. In queste religioni non esiste un panteon di divinità, semplicemente perché al contrario della civiltà agricola, quella pastorale non ha il concetto di comunità, non si muove nella complessità della vita relazionale e stanziale. Questo non significa che le società agricole non conoscessero il concetto del Dio Unico, ma preferivano non manifestarlo e celebrarlo in modo esoterico (ne è testimonianza l’Essere di Parmenide, ma ancor più la riforma d’Amarna di Amenonfi IV con il culto del dio unico Aton nell’Antico Egitto del 1350 a.C.).

Certamente si potrà dire (con ragione) che anche la Civiltà Greca è civiltà pastorale, ma a differenza della Civiltà Ebraica, non si pose mai in opposizione culturale con le grandi civiltà agricole dell’oriente, anzi ne assimilò la cultura e la scienza che elaborò grazie al metodo filosofico, questo si di derivazione pastorale. L’armoniosa sintesi tra civiltà pastorale e agricola, raggiunta nel mondo greco-romano è ormai persa. Con l’avvento del cristianesimo, l’Occidente fu soprafatto dalla cultura pastorale orientale che attecchì rapidamente nei popoli nomadi (dunque pastorali) del nord e dell’est che in quegli anni spingevano sui confini dell’Impero Romano.

La cultura pastorale domina in tutto l’Occidente, ormai s’impone come modello mondiale, soprapponendosi alle culture contadine dell’Asia e del Sud America. Per questo penso che la prima rivoluzione dovrà avvenire nelle nostre teste. Secondo questa interpretazione, diviene evidente che l’economia finanziaria risponde alle logiche predatorie pastorali, dove i capitali sono greggi, che si muovono liberamente, e velocemente guidati dai loro pastori (i grandi finanzieri e le banche) nello spazio dell’economia reale legata al territorio e alla realtà sociale (collettività), quindi lenta e fragile.

In questa lettura, diviene chiaro che il complotto internazionale non è tale, essendo semplicemente lo scontro tra due culture che non dialogano e che sono contemporaneamente in noi. Cosi il Gruppo Bilderberg, le fondazioni, la finanza e le banche sono odiati perché assurgono al massimo ruolo simbolico della cultura pastorale. Naturalmente queste sono proiezioni e giustificazioni che nessuno ha più il diritto d’usare, essendo ormai tutti noi nel bene e nel male pervasi dalla cultura pastorale, per questo ripeto, per prima cosa dobbiamo cambiare noi stessi e il nostro modo di pensare.

Non esistono soltanto i pastori di terra e dell’economia, esistono anche i pastori di mare, e oggi del cielo. In questa nostra epoca, i pastori del mare sono i popoli anglosassoni, prima gli inglesi e oggi gli americani. Anche qui vige la stessa mentalità, chi ha il dominio del mare, può colpire dove e quando vuole, mentre chi si muove per terra per raggiungere il suo avversario deve attraversare territori ostili e la sua azione non sarà mai rapida, segreta e sicura.

Se poi la potenza di mare ha il suo territorio in un’isola, sarà ancora più sicura e potrà portare sempre e comunque la guerra nel territorio del suo avversario.

Oggi con il mezzo aereo, il dominio dei pastori del cielo può raggiungere qualsiasi luogo della terra, non solo le coste.

Nella più lineare logica pastorale le nuove potenze hanno trovato una giustificazione teologica alle loro guerre. I diritti umani e la Carta dei Diritti dell’Uomo sono appunto usati per criminalizzare e attaccare gli avversari, per poi processarli una volta sconfitti (non si era mai visto nella storia un vincitore processare il vinto, che come tale sarà sempre condannato, infatti, non potrà esserci in un tale processo giustizia, poiché se il vincitore assolve il vinto, condanna se stesso, per questo e non a caso nel principio di giustizia è essenziale la terzietà del giudice).

Al contrario la civiltà agricola è stanziale, legata al territorio e vi trae il suo sostentamento, per questo lo rispetta. E una società complessa, e per essere efficiente ha bisogno di molte competenze e di elaborati rapporti sociali, la donna, se pur sottomessa ricopre ruoli sociali e produttivi ed è più rispettata e garantita che nel mondo pastorale. Si tratta di una società che comprende in se la complessità e la esprime anche nella sua religione, animata da un panteon di divinità, tante quante sono le necessità e le forze che agiscono nella natura. La più importante è la dea della fertilità, perché la fecondità della terra e della donna è il massimo bene. Queste società si esprimono nell’architettura, opera collettiva che celebra l’appartenenza al gruppo e alla tradizione.

Riassumendo la cultura in cui viviamo, è essenzialmente pastorale ed ha forti connotazioni predatorie e violente quali:

Scarso rispetto per il territorio.

Spiccato senso individualistico.

Forte senso della proprietà.

Scarsissimo senso del bene comune e della vita conviviale.

Poco rispetto per la donna.

Dominio del simbolismo monetario.

Atteggiamento predatorio sia rispetto il territorio che verso gli altri popoli e culture.

Violenza sociale e mediatica.

Culto del movimento e della velocità.

Assolutismo e unicità del pensiero.

Culto e potere del sapere.

A tutto ciò occorre opporre e/o riscoprire alcuni valori della società agricola quali:

Tornare a essere uomini della terra che rispettano il territorio.

Tornare a una vita in comune in cui la centralità è la comunità.

Tornare alla comunità dei beni e delle terre.

Agire per il bene comune e in convivialità.

Tornare a porre la donna al centro del divenire umano.

Tornare a considerare il denaro per quel che è ovvero la misura del valore delle cose e non il valore delle cose.

Tornare a un rapporto con gli altri popoli basato sullo scambio e non sulla predazione.

Tornare all’incontro tra individui, usando i media per aggregare e formare e non per dividere e dominare.

Tornare a valorizzare la lentezza e la semplicità.

Tornare a rispettare il lavoro delle mani, il fare materiale.

Tornare a limitare l’azione del potere e del sapere, in ragione degli interessi della collettività e non di alcuni individui, smettendo di seguire un mito del progresso fine a se stesso, che appartiene ormai al secolo scorso.

Naturalmente la realtà è assai più complessa e questo disquisire è solo un’esemplificazione che può aiutarci a orientarci, dando un senso e una storia al nostro essere al mondo.