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Il «Tambernicchi» di Dante è il Monte Javornik o il Tambura?

di Francesco Lamendola - 29/04/2015

Fonte: Arianna editrice


 

 


 

Con quale montagna si deve identificare il Tambernicchi, di cui parla Dante nel XXXII canto dell’«Inferno», al ventottesimo verso? Se ne discute da sempre, e le due localizzazioni più probabili risultano essere il Monte Javonik, in Slavonia, e il Tambura, nelle Alpi Apuane.

Così Adolfo Cecilia riassume la “vexata quaestio” nella «Enciclopedia Dantesca» (Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. V, 1976, p. 516):

 

«Si è molto discusso sull’identificazione del Tambernicchi di “Inferno” XXXII, 28, che Dante associa a “Pietrapana”, per rafforzare l’immagine dello spessore del ghiaccio del Cocito che nella terzina precedente paragona con lo spessore dei ghiacci invernali del Danubio e del Don: “che se Tambernicchi/ vi fosse su caduto, o Pietrapana, / non avria pur da l’orlo fatto cricchi”.

Quasi tutti gli antichi commentatori pongono il Tambernicchi in “Schiavonia” (Lana, Anonino, Daniello; “Sclavonia” per il Bambagioli, Pietro, Benvenuto; “Slavonia” per il Serravalle) nella cui estremità orientale sorgono rilievi collinari indicati con il nome di Fruska Gora (vedi anche “schiavo”, per la collocazione geografica della Schiavonia). Tra gli altri il Butio colloca il Tambernicchi in Armenia, il Vellutello in Dalmazia, mentre nelle Chiose Selmi si legge che “Tambernicchi è un’alta montagna nella Magna, con grandi pietre”. Molte le varianti nei codici (Petrocchi. “ad l.”), da ciò il “Cambernich” del Bambagioli e il “Ciambenich” Di Benvenuto.

Il Bassermann, che dedica ampio spazio alla questione (“Orme di Dante in Italia”, 464-471), identifica il Tambernicchi con lo Iavornik (Javornik, m. 1628) in Carniola, ma basa la sua opinione sull’impressione visiva del monte, osservato dal lato del lago Zirknitz, lago che egli paragona al Cocito; e avanza anche l’ipotesi – con fragili argomentazioni in verità – di un’eventuale visita di Dante ad Adelsberg, località presso la quale sorge lo Iavornik (vedi anche “Tolmino”).» Anche il Guyon è dello stesso parere, e spiega la denominazione dantesca – Tambernicchi da Tambernik – con il nome “Turen” (torre) che sarebbe altro nome dello Iavornik, derivatogli dalla presenza su una delle sue vette di “tracce di quelle costruzioni ciclopiche che caratterizzano i castellieri di cui è ricca la catena Karsica”. Il Dalla Vedova, dopo aver notato che la terminazione “nik” ricorre nella nomenclatura di monti in province slave, sostiene che dalla Carinzia, confinante con l’Italia, poteva venire notizia “della gran montagna” con la forma slava di Tavernik anziché con la forma germanica di Tauern, nome questo che indicava una delle parti più selvagge e colossali delle Alpi Orientali, che forma a nord barriera ai paesi del “dogio di Chiarentana”.

Altra ipotesi è che il Tambernicchi sia da identificare con il monte Tambura (m. 1890), cima delle Alpi Apuane posta a nord del passo omonimo; a sostegno di quest’identificazione – preferita da molti commentatori moderni – il Del Lungo, il Toynbee (“Dictionary”, sub v.) e il Porena sostengono che in scrittori del tempo il Tambura sarebbe stato chiamato Stamberlicche, o Stanberliche; dello stesso parere è anche il Fiammazzo. In proposito il Revelli (“Italia” 134) ricorda che in un diario del primo Quattrocento – peraltro non meglio indicato – si legge “in Stamberliche, nell’alpe”, ma aggiunge che potrebb’essere riferimento a una zona delle Apuane ma anche tentativo di localizzazione del nome dantesco; il Toynbee (ibidem) e il Fiammazzo ricordano una voce “Stambernicchi” nel “Morgante” del Pulci (XXIV 88, 8; “ma il Pulci conosce il nome solo attraverso la ‘Divina Commedia’”, nota F. Ageno nella sua edizione del “Morgante”, Milano-Napoli, 1955).

L’elemento più valido a sostegno dell’identificazione con il Tambura è comunque l’appartenenza di questo monte allo stesso gruppo montuoso della Pania della Croce (vedi “Pietrapana”), gruppo montuoso del quale Dante ebbe senz’altro diretta visione.»

 

Da parte nostra, fra lo Javornik e il Tambura, propendiamo per la prima di queste due montagne, e ci ripromettiamo di darne conto qui di seguito. Anzitutto, bisogna ricordare che Dante poté vedere materialmente non solo il Tambura, nel corso dei suoi viaggi durante l’esilio, ma anche lo Javornik, sebbene non esistano, allo stato attuale, dei documenti assolutamente certi e probanti in questi senso. Esistono, però, degli indizi e delle probabilità: che Dante abbia visitato il Friuli (allora diviso fra il patriarcato di Aquileia e la contea dio Gorizia) e la Venezia Giulia in generale, e che, in particolare, possa aver visitato Udine, Gorizia, Tolmino, Trieste, Postumia ed altri luoghi ancora, sia al di qua che al di là del fiume Isonzo. Esiste una tradizione che vuole Dante ospite, a Gorizia, del conte Enrico II, che fu capitano generale a vita del patriarca Ottobono Rovari, nel 1314. Non ci sono peraltro elementi positivi a sostegno di questo soggiorno, se non, a parere di Cesare Marchi (nel suo «Dante in esilio», Milano, Longanesi & C., 1964), l’amicizia che legava il conte goriziano a Cangrande Della Scala, alto patrono di Dante nel lustro che va dal 1313 al 1318.

A pochi chilometri da Tolmino si aprono le suggestive gole della Tolminka e, attraverso di esse, si giunge all’apertura della “Dantovna Jama”, la Grotta di Dante. In questo luogo “i contadini parlano ancora del poeta, avvolto in un mantello rosso, seduto in atteggiamento pensoso all’ingresso d’una grotta, lunga oltre cento metri.” Fin qui, naturalmente, la leggenda popolare; ma esistono anche riscontri più puntuali. Lo studioso tedesco Alfred Bassermann («Orme di Dante in Italia», Bologna, Zanichelli, 1902), che visitò il luogo, ritenne di scorgervi precisi riferimenti testuali a «Inf.», XXXIV, 75 e si disse convinto, peccando forse di eccessivo entusiasmo, della veridicità di tale riscontro. Esiste anche una tradizione che parla di Dante a Tolmino, che Jacopo da Valvasone, nella prima metà del XVII secolo, riferisce come antica. Adolfo Cecilia, invece, nell’«Enciclopedia dantesca» si mostra alquanto scettico sulla questione e afferma che la presenza di Dante a Tolmino e negli altri dominî del conte di Gorizia è stata ipotizzata «senza fondamento valido»

Quanto a Postuma (la tedesca Adelsberg) si può fare un discorso analogo a quello di Tolmino, solo che qui i riferimenti topografici e letterari sono due: il lago di Cerknica e il monte Javornik. Essi corrisponderebbero, rispettivamente, al lago gelato del Cocito e al misterioso monte Tambernicchi che, se fosse precipitato nel primo, non ne avrebbe incrinato la superficie interamente ghiacciata: descrizione fatta da Dante nel XXII canto dell’«Inferno». Citiamo ancora Cesare Marchi: «A Postumia il lago di Cirknica, gelato d’inverno, gli avrebbe suggerito l’idea di Cocito, lastra di ghiaccio riservata ai traditori, e più dura dei ghiacci formati dal Danubio e dal Don: “Non fece al corso suo sì grosso velo / di verno la Danoia in Osterlicchi, / né Tanaì là sotto il freddo cielo, / com’era quivi; che se Tambernicchi / vi fosse su caduto, o Pietrapana, / non avrìa pur dall’orlo fatto cricchi”.[…] “Tambernicchi corrisponde all’odierno monte Javornik (metri 1.268) poco lontano da Postumia.» In realtà, questo è uno di quei passi della «Divina Commedia» che hanno fatto spandere ai commentatori un vero e proprio fiume d’inchiostro, poco meno dell’incomprensibile “Pape Satan aleppe” del canto VII dell’«Inferno». Perciò noi, pur convinti che tra la descrizione del Cocito e quella del monte Tambernicchi debba esistere una stretta relazione, cioè che Dante non avrebbe scelto a caso un monte che non avesse una qualche precisa relazione con il lago, per chiarezza espositiva separeremo le due questioni, quella del lago e quella del monte. Il sommo poeta ci perdonerà questo arbitrio che spezza inevitabilmente l’unità poetica dell’immagine, ma forse ci aiuterà a far maggiore chiarezza nell’intrico delle identificazioni geografiche proposte.

Il lago di Cerknica (o Cirknica), non lontano da Postumia, giace ai piedi del monte Pomario (Javornik), 1.268 metri s.l.m., e del monte Locnik, 1.097 metri, che è una propaggine settentrionale del monte Nevoso (Sneznik), 1.796 metri, il più alto di questa estrema sezione delle Alpi Giulie. Il paesaggio carsico è vuoto e desolato, quasi allucinante, eppure non manca di un suo strano fascino, arricchito dalla presenza di numerosi fenomeni carsici alquanto spettacolari. Per esempio, a 20 km. di distanza si apre la Grotta di Krizna, caratterizzata da dai suoi laghetti sotterranei, che si possono percorrere in barca, fra scenari di grande bellezza. Il lago di Cerknica è un vero e proprio prodigio della natura. Gli antichi lo chiamavano Lago Circonio  ed era famoso per le sue grandi variazioni stagionali di ampiezza e di livello: nelle estati secche la vasta superficie si riduce a una striscia larga poche centinaia di metri, mentre d’inverno, mentre la bora spazza le valli circostanti, la sua superficie gela così profondamente, che alla fine dell’Ottocento si caricavano di blocchi di ghiaccio numerosissimi carri tirati da buoi, che lo trasportavano a Trieste per venderlo a scopo di conservazione alimentare.

Bassermann era convinto dell’identificazione del lago con il Cocito e, in più, delle vicine, famosissime grotte, già ben note durante il Medioevo, con il “cammino ascoso” che dal centro della terra, ossia dalla “natural burella”, riconduce Dante e Virgilio alla superficie, nell’emisfero australe, “a riveder le stelle”. Ascoltiamo le sue stesse parole: “… allora io vidi improvvisamente Dante star ritto sul gelato lago di Zirknitz, e sopra di lui torreggiar tetro e minaccioso il Iavornik biancheggiante per neve; ma il lago era il Cocito. E poscia noi venimmo ai fori pei quali in primavera l’acqua scola e si parte, e in autunno, lungo tempo  prima annunziata da strano rimbombo sotterraneo, di nuovo scaturisce nel lago. E la mia guida mi spiegò con premura come queste occulte correnti di acqua tutte insieme si collegano e tutte percorrono le favolose e misteriose spelonche del Karst [Carso]. Una fra le più notevoli di queste caverne, già nota al Medio evo, la grotta di Adelsberg, aveva io visitato il giorno innanzi; e le fantastiche fogge di stalattiti, le poderose gallerie colla loro volta perdentesi nel buio, il lontano rumoreggiare del Poik, che echeggia per entro a una oscurità misteriosa, mi avevano pervaso di un solenne e magico stupore. Il quale allora mi si fece nuovamente sentire, sì che tosto dovetti pensare a quei versi in cui Dante descrive il “cammino ascoso” che dal centro della terra lo riconduce alla superficie: “ Loco è laggiù, da Belzebù remoto / Tanto quanto la tomba si distende, / che non per vista, ma per suono è noto / d’un ruscelletto, che quivi discende / per la buca d’un sasso, ch’egli ha roso, / col corso ch’egli avvolge, e poco pende. (Inf., XXXIV, 127-32). […] È questo uno dei più magnifici passi del poema, ricco di fascino misterioso e del più efficace realismo. E se nella grotta di Adelsberg possedessimo il luogo reale ove Dante avesse dentro di sé provato tal fascino? Certo io devo rimanere debitore di una dimostrazione rigorosa. Ma è tuttavia un concorso affatto singolare di più cose questo della grande vicinanza del Javornik, del lago di Zirknitz, della grotta di Adelsberg, e della convenienza tanto grande che essi mostrano colla descrizione che Dante abbozza dell’ultima profondità del suo universo. Certo egli non parla né del lago di Zirknitz, né della grotta di Adelsberg, ma parla però del Iavornik. Ma se egli ha veduto questo monte, sarebbe inconcepibile che le due grandi meraviglie di quel luogo fossero rimaste inosservate a un Dante, e su di un Dante non avessero prodotta nessuna impressione.»

Circa lo Javornik, abbiamo visto che esso domina il lago di Cerknica, come nei versi danteschi il monte Tambernicchi  domina il lago ghiacciato del Cocito; dunque non si può pensare l’uno senza l’altro, per motivi di ordine sia logico che estetico. A complicare un po’ le cose, tuttavia, Dante non si accontenta di citare “un” monte che, se per ipotesi rovinasse nel lago, non ne incrinerebbe la dura corazza ghiacciata, ma ne cita due, e il secondo è Pietrapana. Ora, questo è stato identificato con un monte delle Alpi Apuane, anticamente chiamato appunto Pietra Apuana e, oggi, Pania della Croce, per cui gran parte dei commentatori moderni di Dante (ma non gli antichi) si sono orientati per cercare entrambe le montagne nel gruppo delle Apuane, pensando che Dante le avesse immaginate vicine, cosa da lui non detta né, secondo noi, necessaria. Ora, una montagna vicina, il monte Tambura, era chiamata Stamberlicche, che non è proprio la stessa cosa di Tambernicchi, anzi pare proprio diversa, ma insomma presenta una certa assonanza, ragion per cui è parso di poter individuare entrambe le montagne citate da Dante. E, per rendere le cose ancor più intriganti (e intricate), si potrebbe osservare che, sempre nelle Apuane, si apre una delle grotte più spettacolari d’Italia, quella del monte Corchia, soprannominato “la montagna vuota” per via dei quasi 50 chilometri di gallerie naturali che ne attraversano le viscere. Solo che le caverne del monte Corchia non vennero scoperte che nel 1841, in occasione di un saggio di cavatura del famoso marmo di Carrara, e dunque, pur essendo così relativamente vicine a Firenze, Dante non poté conoscerle né, tanto meno, visitarle.

Riassumiamo, con Natalino Sapegno, l’intera questione, prendendo le mosse da uno dei più antichi commentatori della «Commedia», l’Anonimo fiorentino, che scriveva nel Trecento e, quindi, poco dopo la morte del poeta: «Tambernicchi è una montagna in Schiavonia, et è altissima e tutta petrosa, quasi sanza terra, che pare tutto uno masso a vederla». Osserva il Sapegno: «A un monte della penisola balcanica, ovvero dell’Ungheria o della Magna, rimandano quasi tutti i commentatori antichi (tranne il Buti, che parla di una cima dell’Armenia). Si è pensato di poterlo identificare nella Fruska Gora presso Tovarnik, o nel Iavornik non lungi da Postumia. Il Torraca preferisce credere che si tratti della Tambura, nelle Alpi Apuane, indicata in antichi testi col nome di Stamberlicche; e starebbe benissimo accanto alla Pietrapana, o Pietra Apuana, l’attuale Pania della Croce, che appartiene allo stesso gruppo montuoso». (N. Sapegno, nel commento alla «Commedia»). Starebbe benissimo, aggiungiamo noi, a condizione che Dante avesse voluto indicare due montagne vicine; ma se Tambernicchi è il Tambura e Pietrapana è la Pania della Croce, dov’è il lago ghiacciato (almeno d’inverno) nel quale dovrebbero cadere? Perché qui non c’è l’equivalente dell’accoppiata lago di Cerknica-monte Javornik; abbiamo due montagne, ma nessun lago. E poi, è lecito ignorare così disinvoltamente le opinioni degli antichi commentatori? Infatti sia il Graziolo, sia Pietro di Dante, il figlio del poeta, pensavano ad un «mons magnus in Sclavonia».

Quanto ai moderni, prendiamo nota che Umberto Bosco e Giovanni Reggio propendono per l’opinione del Torraca, come pure Carlo Grabher, Piero Gallardo  e, sia pure con motivazioni diverse, e cioè essenzialmente linguistiche, il Giacalone. Allo stesso modo del Torraca la pensa il Porena, che  peraltro preferisce la lezione «Tambernicche, cricche», il quale osserva: «Se Dante avesse voluto cercare alte montagne lontane da casa sua, ne avrebbe scelte di ben più grandi e quindi più famose. L’essere due monti non molto noti al più dei lettori, si spiega solo con l’aver voluto prenderli da vicino, da un’esperienza quasi domestica, e da quelle Alpi Apuane dove le cime balzano spiccatissime, e sembrano grandi sassi che possan distaccarsi e rotolar giù». Andrea Gustarelli, infine, nel suo «Dizionario dantesco», riporta le opinioni degli antichi commentatori, senza peraltro precisarle – Schiavonia, Dalmazia, Carniola – ed è quasi l’unico, insieme al Dragone, a non abbracciare la tesi del Torraca.

Un po’ isolato, tra i moderni, nell’identificare il Tambernicchi con il monte Javornik è, ancora una volta, il Bassermann, il quale però gode di un netto privilegio rispetto agli altri: non ha fatto ipotesi a tavolino, ma si è recato sui luoghi per vedere con i propri occhi e per cercar di vedere con quelli di Dante. «I monti accerchianti [Adelsberg]- scrive - sono in parte di pretto karst [= roccia carsica ], scoscesi, selvaggi e spogli di piante; e in parte rivestiti di belle selve di abeti e di faggi. A questi ultimi appartiene segnatamente anche il monte che s’aderge ad oriente della cittadina, il Javornik, il cui nome (monte degli aceri) sembra anche indicare che il luogo è da antica data boscoso. Ma a tutta prima io dovetti confessare a me stesso la mia delusione. Poiché il Javornik non aveva proprio nulla di singolare. Abbastanza dolcemente saliva esso dalla pianura, e col suo ampio dorso stava nel suo verde manto quanto mai mansueto e comodo. Ma la cosa assunse un altro aspetto quando io nel dì seguente in una escursione al lago di Zirknitz osservai il Javornik dalla parte opposta. [cioè dal versante orientale invece che da quello nord-occidentale].Questo celebre lago – uno dei più singolari prodigi della tanto prodigiosa catena del Karst – che nell’inverno è un’acqua ricca di pesci, e nell’estate una campagna rigogliosa per campi e per prati, giace proprio alle falde del Javornik, che qui immediatamente s’innalza sulla riva ripido e poderoso, e che col suo bosco di foschi abeti fiero torreggia. Questo era ciò che io cercavo; così di questo luogo poteva io giovarmi; così aveva Dante potuto adoperarne l’immagine  quando andava in cerca di rime “aspre e chiocce / come si converrebbe al tristo buco / sopra il qual pontan tutte l’altre rocce” ( Inf. XXXII, 1-3)».

E tanto basti per quanto riguarda Postumia e il’identificazione del Tambernicchi con il monte Javornik, e del Cocito con il lago di Cerknica. Certo, siamo nel campo delle congetture. Queste, però, ci sembrano meglio fondate di quelle che propendono per il Tambura e per le  Alpi Apuane…