Si dirà che forse la prendiamo troppo da lontano. Anche per parlare, come in questo caso, della politica estera italiana e della legge finanziaria. Ma la storia (e le dinamiche sociali), piaccia o meno hanno una loro pesantezza. Spesso insostenibile… Ci sono eventi, che ripetendosi nel tempo, assumono dimensioni strutturali, dando così misura di quanto siano ristretti i margini di manovra delle azioni umane. Non ci sono unità di misura “standard”, ma ad esempio, e ragionando in termini di generazioni, fenomeni in atto da un cinquantennio (o venticinquennio), possono essere definiti strutturali, sia sotto l’aspetto storico che sociologico. C’è infatti tutto il tempo sociale necessario per socializzarli da una generazione all’altra, e così presentarli come verità o pre-assunti sociali.
Il che non significa che l’uomo in assoluto non possa modificare la realtà, ma indica che si tratta sempre di una scelta difficile e coraggiosa. E che, come ogni processo sociale innovativo, anche la scelta individuale, e poi collettiva, di porsi contro, e mutare radicalmente, la “circostanza” storica in cui si vive, può all’inizio provocare reazioni repressive e di condanna all’isolamento ( tra l’altro l’ “inizio” delle fasi innovative, può temporalmente essere lunghissimo, si pensi ad esempio all’ascesa di movimenti sociali come cristianesimo, l’illuminismo, il socialismo... e la regola vale anche per i movimenti che non "piacciono" all'osservatore).
Ma veniamo al punto.
Il problema che la politica estera italiana ed economica dell’attuale governo di centrosinistra non si discostino da quelle dei governi precedenti, non è un problema “congiunturale” ma “strutturale”. Quali sono le tendenze strutturali (che tratteggiano la nostra “circostanza” storica)? La scelta filoamericana, che risale al 1949 (adesione italiana al Patto Atlantico), più lontana e consolidata, e la scelta liberista (1992-1994), più vicina, ma altrettanto solida.
Andare il Libano, per disarmare (o comunque “infastidire”) Hezbollah e Siria, ma non Israele, significa sostanzialmente fare una politica filoamericana. Perché significa proporsi di mettere in atto quel che auspicano gli Stati Uniti (e comunque la scelta di fare “un favore” a Israele, primo alleato Usa). Quindi l’attuale governo non solo non si discosta dalle scelte del governo Berlusconi, ma da quelle di tutti gli altri governi della Repubblica. Anzi, le accentua inviando addirittura alcune migliaia di uomini (“armatissimi”) in Libano. Certo, si può anche discutere in “politichese” sul bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno rappresentato dal governo Prodi. Ma l’aspetto strutturale resta. Come è dimostrato dal fatto che chiunque osi criticarlo sul piano della politica estera, viene subito giudicato sulla base della “verità sociale” acquisita generazionalmente, un nemico dell’Italia, dell’America e dell’Occidente. Basta sfogliare i giornali.
La filosofia delle legge finanziaria, esposta ieri da Padoa-Schioppa, è sostanzialmente liberista (soprattutto per i tagli alla spesa sociale e per la sudditanza, al di là delle battutine di Prodi, ai diktat della Commissione Ue sulla necessità del “rientro”). E in questo senso perciò non si discosta, dalla “filosofia” liberista e monetarista dei governi Amato e Ciampi (1992-1994). Anzi sulle pensioni, che rappresentano l’autentico banco di prova di ogni politica liberista, il governo Prodi fa addirittura un passo indietro rispetto a quello di Berlusconi, già iperliberista. progettando di elevare l’età per andare in pensione… E, cosa più grave ancora, di modificare i coefficienti di trasformazione che mutano, in peggio, il calcolo dei contributi versati nell’assegno pensionistico. Si può, qui di nuovo, discutere in “politichese" sui pro e i contro. Ma l’aspetto strutturale resta. Il che del resto è di nuovo provato, proprio dal fatto che chiunque si azzardi a dire solo mezza parola di critica, viene additato, sulla base di pre-assunti sociali, come un comunista, o peggio un nazifascista, nemico della modernità liberale.
Si dirà, la tendenza strutturale “liberista”, è meno solida (temporalmente parlando, 12 anni), di quella legata alla politica estera, 57 anni), ma il punto è altro. Ora, a parte che le “rivoluzioni neoliberiste” mondiali risalgono al premierato della Thatcher (1979) e alla prima presidenza Reagan (1981), cosicché, sempre temporalmente parlando, giungeremmo a “quota” 27 anni, non poco…). Le due tendenze, dopo dissoluzione dell’Unione Sovietica (1991), si sono saldate, iniziando a rinviarsi strutturalmente l’una all’altra, seguendo lo schema di un “imperialismo liberista", che ha come forze guida Stati Uniti e in subordine l’ Unione Europea. Si tratta, come abbiamo scritto in altre occasioni di una “struttura di tipo imperiale”, che è appena agli inizi della sua costruzione, ma in piena espansione. Insomma, chi è liberista deve essere filoamericano e viceversa.
E chi si oppone? E’ un reazionario e un nostalgico.
Come uscire da questo vicolo cieco?
Il che non significa che l’uomo in assoluto non possa modificare la realtà, ma indica che si tratta sempre di una scelta difficile e coraggiosa. E che, come ogni processo sociale innovativo, anche la scelta individuale, e poi collettiva, di porsi contro, e mutare radicalmente, la “circostanza” storica in cui si vive, può all’inizio provocare reazioni repressive e di condanna all’isolamento ( tra l’altro l’ “inizio” delle fasi innovative, può temporalmente essere lunghissimo, si pensi ad esempio all’ascesa di movimenti sociali come cristianesimo, l’illuminismo, il socialismo... e la regola vale anche per i movimenti che non "piacciono" all'osservatore).
Ma veniamo al punto.
Il problema che la politica estera italiana ed economica dell’attuale governo di centrosinistra non si discostino da quelle dei governi precedenti, non è un problema “congiunturale” ma “strutturale”. Quali sono le tendenze strutturali (che tratteggiano la nostra “circostanza” storica)? La scelta filoamericana, che risale al 1949 (adesione italiana al Patto Atlantico), più lontana e consolidata, e la scelta liberista (1992-1994), più vicina, ma altrettanto solida.
Andare il Libano, per disarmare (o comunque “infastidire”) Hezbollah e Siria, ma non Israele, significa sostanzialmente fare una politica filoamericana. Perché significa proporsi di mettere in atto quel che auspicano gli Stati Uniti (e comunque la scelta di fare “un favore” a Israele, primo alleato Usa). Quindi l’attuale governo non solo non si discosta dalle scelte del governo Berlusconi, ma da quelle di tutti gli altri governi della Repubblica. Anzi, le accentua inviando addirittura alcune migliaia di uomini (“armatissimi”) in Libano. Certo, si può anche discutere in “politichese” sul bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno rappresentato dal governo Prodi. Ma l’aspetto strutturale resta. Come è dimostrato dal fatto che chiunque osi criticarlo sul piano della politica estera, viene subito giudicato sulla base della “verità sociale” acquisita generazionalmente, un nemico dell’Italia, dell’America e dell’Occidente. Basta sfogliare i giornali.
La filosofia delle legge finanziaria, esposta ieri da Padoa-Schioppa, è sostanzialmente liberista (soprattutto per i tagli alla spesa sociale e per la sudditanza, al di là delle battutine di Prodi, ai diktat della Commissione Ue sulla necessità del “rientro”). E in questo senso perciò non si discosta, dalla “filosofia” liberista e monetarista dei governi Amato e Ciampi (1992-1994). Anzi sulle pensioni, che rappresentano l’autentico banco di prova di ogni politica liberista, il governo Prodi fa addirittura un passo indietro rispetto a quello di Berlusconi, già iperliberista. progettando di elevare l’età per andare in pensione… E, cosa più grave ancora, di modificare i coefficienti di trasformazione che mutano, in peggio, il calcolo dei contributi versati nell’assegno pensionistico. Si può, qui di nuovo, discutere in “politichese" sui pro e i contro. Ma l’aspetto strutturale resta. Il che del resto è di nuovo provato, proprio dal fatto che chiunque si azzardi a dire solo mezza parola di critica, viene additato, sulla base di pre-assunti sociali, come un comunista, o peggio un nazifascista, nemico della modernità liberale.
Si dirà, la tendenza strutturale “liberista”, è meno solida (temporalmente parlando, 12 anni), di quella legata alla politica estera, 57 anni), ma il punto è altro. Ora, a parte che le “rivoluzioni neoliberiste” mondiali risalgono al premierato della Thatcher (1979) e alla prima presidenza Reagan (1981), cosicché, sempre temporalmente parlando, giungeremmo a “quota” 27 anni, non poco…). Le due tendenze, dopo dissoluzione dell’Unione Sovietica (1991), si sono saldate, iniziando a rinviarsi strutturalmente l’una all’altra, seguendo lo schema di un “imperialismo liberista", che ha come forze guida Stati Uniti e in subordine l’ Unione Europea. Si tratta, come abbiamo scritto in altre occasioni di una “struttura di tipo imperiale”, che è appena agli inizi della sua costruzione, ma in piena espansione. Insomma, chi è liberista deve essere filoamericano e viceversa.
E chi si oppone? E’ un reazionario e un nostalgico.
Come uscire da questo vicolo cieco?