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Natascha Kampush

di Massimo Fini - 03/09/2006

 
Natascha Kampush, la ragazza, oggi diciottenne, che è stata rapita quando aveva dieci anni e tenuta prigioniera per otto da Wolfang Prikdopil, un uomo di 44 anni che si è suicidato dopo che lei, pochi giorni fa, è riuscita a liberarsi, ha scritto, com'è forse noto al lettore, una lettera pacata nei toni ma dura e fermissima nella sostanza, estremamente polemica nei confronti della stampa e dell'opinione pubblica mondiale ("Cari giornalisti e cara opinione pubblica") che si sono buttate a pesce sulla sua singolare storia.
Natascha si duole delle "falsità, delle calunnie" che sono state scritte sulla sua vicenda da parte di gente che non la conosce e non può conoscerla; sostiene che Wolfang, il suo rapitore, non era affatto il "mostro" che è stato dipinto. Scrive, tra l'altro: "Certo, è vero che la mia giovinezza è stata diversa da quella di molti altri ma complessivamente non ho l'impressione di assermi persa qualcosa. Almeno me ne sono risparmiate molte altri: non ho cominciato a fumare e a bere, o a frequentare cattive compagnie".

Natascha, che pur di suo non ha ovviamente un soldo, ha rifiutato, tramite il suo avvocato, le cospicue offerte che le sono subito piovute addosso per i suoi diari (250 mila euro per i diritti cinematografici e 50 mila per quelli letterari). Si nega alle interviste, per le quali pure le offrono soldi (10 mila euro), si tiene alla larga dalla curiosità dei giornalisti e di quanti le fanno domande "che non li riguardano... l'intimità non appartiene che a me, e può darsi che ne parli a una terapeuta se ne sento il bisogno o che non ne parli mai".

Mentre la stampa non rinuncia alla sua consueta sguaiataggine (un giornale austriaco si è detto certo, citando le solite "fonti riservate e ritenute attendibili", che la ragazza "aspetta un bambino dal suo rapitore" ma la polizia non ha nemmeno preso in considerazione la notizia) Natascha è circondata da uno stuolo di psicoterapeuti, analisti, esperti. Si dice che "sarà molto difficile curarla". E perchè mai dovrebbe essere curata?

Dalla sua lettera e dall'intero suo comportamento emerge la figura di una giovane intelligente, sensibile, gentile, colta (ha fatto solo la quinta elementare ma dedicava parte del tempo passato col suo carceriere alla lettura) matura, equilibrata, consapevole della propria dignità e, estremo paradosso, gelosa della propria libertà e indipendenza. In un mondo in cui uomini e donne di spettacolo e gente comune, se appena capita l'occasione vendono ai giornali, ai rotocalchi, alla Tv, senza alcun rispetto di sè, la propria intimità, le proprie relazioni sentimentali, i propri matrimoni, le proprie disgrazie e in cui, in televisione, siamo bombardati da programmi che col consenso degli interessati - anzi spesso con la loro adesione entusiasta - vanno a scandagliare morbosamente in ciò che dovrebbe rimanere privato e riservato, Natascha si rifiuta di fare della sua vicenda carne per i porci. Lei, la sequestrata, la segregata, la prigioniera, "l'umiliata e offesa" e la mutilata secondo la "communis opinio" ("Al sesto giorno d'aria è già in debito d'ossigeno" ha scritto con incomparabile volgarità Francesco Battistini sul Corriere della Sera dopo la lettera della ragazza) ha dimostrato una consapevolezza di sè e della propria dignità che manca oggi a molti uomini e donne, a molti giovani e meno giovani che hanno potuto vivere in libertà.

È una tremenda lezione quella che ci viene da Natascha Kampush e, in un certo senso, attraverso di lei, anche dal suo sequestratore, sui quali dovremmo, credo, meditare e riflettere invece di accanirci su di lei col consueto voyeurismo.

Natascha, protagonista involontaria e volontaria insieme al suo carceriere, di una grande e sia pur stravolta, vicenda romantica, va soprattutto lasciata in pace. E non va curata, né "rieducata" ma rispettata per quello che è, per quello che la sua singolarissima, straordinaria, storia l'ha fatta.