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Home / Articoli / Joy Division. Ian Curtis icona letteraria della new wave (a 35 anni dalla morte)

Joy Division. Ian Curtis icona letteraria della new wave (a 35 anni dalla morte)

di Andrea Cascioli - 19/05/2015

Fonte: Barbadillo


Il cantante Ian Kevin Curtis, frontman dei Joy Division in primo piano

Il cantante Ian Kevin Curtis, frontman dei Joy Division in primo piano

Negli Stati Uniti fu il giorno dell’eruzione del vulcano di Mount St Helens, in Italia della sentenza sullo scandalo del Totonero. Era il 18 maggio del 1980, l’ultimo giorno sulla Terra per Ian Kevin Curtis, frontman dei Joy Division e pioniere della straordinaria stagione musicale conosciuta col nome convenzionale di “post-punk” o “new wave”.

A nemmeno ventiquattro anni, Curtis lasciava insieme alla vita una carriera avviata ad un successo planetario che non avrebbe mai conosciuto: la canzone-manifesto “Love will tear us apart”, scritta nell’estate precedente e registrata in gennaio, uscirà il mese dopo consegnando il suo autore all’Olimpo delle icone pop. Emblema di questo fenomeno sono ancora oggi le magliette che ritraggono la copertina dell’album d’esordio “Unknown Pleasures”, ormai tanto diffuse al di fuori della cerchia dei fans da attirare le parodie di una delle pagine Facebook del momento, Vedo la gente Joy Division.

Solo pochi mesi fa è stata messa in vendita al prezzo di 115mila sterline la casa di Macclesfield in cui Ian Curtis visse gli ultimi anni e commise il suicidio: il progetto di acquistarla per farne un museo sembra per ora sfumato, ma le iniziative legate al suo nome non mancano. Lo scorso anno è uscita con il titolo “So this is permanence” la raccolta di tutti i testi originali e gli appunti di Curtis ad opera dell’ex moglie Deborah e del critico musicale Jon Savage. In Italia, una mostra alla galleria ONO Arte Contemporanea di Bologna ha celebrato l’epopea del sound mancuniano dai Joy Division agli Oasis. Sul web spopolano le illustrazioni del grafico brasiliano Butcher Billy, impegnato a reinventare gli idoli della scena britannica anni Ottanta nelle vesti di supereroi dei fumetti o personaggi del cinema.

Si può forse dire che non ci sia mai stata nella musica una tale sproporzione tra la vita effimera di una band e la sua fama postuma, di certo favorita dall’alone dark che circonda la vicenda personale del cantante e la sua tragica fine: il film biografico “Control” di Anton Corbijn, uscito nel 2007, riprende il motivo del giovane introverso e tormentato dai propri demoni interiori, tra la grave forma di epilessia che lo affliggeva e la fine del matrimonio con Deborah. Difficile stabilire se davvero “Ian credeva in quello che cantava”, come affermerà la compagna degli ultimi mesi, Annik Honoré.

Smentendo alcuni luoghi comuni, Savage invita piuttosto a considerare la figura dell’autore con uno sguardo che prescinda dal vissuto personale di Curtis: “È un grande errore pensare che i cantautori lavorino sempre in chiave autobiografica. Il rock richiede autenticità, ma molti autori di canzoni lavorano secondo un metodo: assumendo una voce o, al pari dei narratori, immaginando una situazione che può contemplare elementi della propria vita ma si distanzia dalla mera autobiografia”.

Nella definizione dell’identità del gruppo, del resto, giocano non soltanto le influenze musicali ma la visione “letteraria e distopica” del suo leader, lettore onnivoro nonché studente talentuoso e discontinuo, che prenderà a prestito da autori come Gogol, Kafka e J.G. Ballard i titoli di alcuni dei suoi brani più celebri: “Dead Souls”, “Colony”, “Atrocity Exhibition”. Insieme ai classici dell’”epoca della crisi” (da Dostoevskij e Nietzsche fino a Sartre), nella formazione del giovane Ian giocano un ruolo importante anche la narrativa “post atomica” del profeta beat William Burroughs, il cinema horror e la letteratura di guerra, popolarizzata in quegli anni da autori come Sven Hassel: lo stesso nome della band è ripreso da un best seller sui campi di concentramento, “House of Dolls”, che sarà fonte d’ispirazione per il filone cinematografico anni Settanta del Nazi exploitation.

“Sembra chiaro – sottolinea ancora Savage – che Curtis usasse i suoi libri come generatori di stati d’animo, portali attraverso altri mondi e altri tempi che ha cercato di abitare”: impressione condivisa da Bernard Sumner, membro dei Joy Division e dei successivi New Order, il quale si è detto convinto che “se non si fosse suicidato, avrebbe probabilmente scritto un ottimo libro”.

Il destino ha deciso altrimenti. Trentacinque anni dopo, l’eredità dell’icona più oscura degli anni Ottanta sopravvive in una quarantina di testi che descrivono emozioni, malesseri e speranze di una gioventù dimenticata, tra la fine dei “thirty glorious years” e i primi sintomi di una nuova crisi non soltanto economica. Suggestioni che nemmeno chi si affacciava al mondo proprio in quei fatidici anni faticherà, oggi, a riconoscere come proprie.