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Lo sciamano polinesiano che “chiamava” le focene ad arenarsi sulla spiaggia

di Francesco Lamendola - 03/06/2015

Fonte: Arianna editrice


 


 

Esiste una telepatia fra uomini e animali, così come esiste quella fra due esseri umani? Esiste, addirittura, la facoltà di impartire degli ordini fra membri di due diverse specie viventi, come l’uomo e gli altri mammiferi, compresi i mammiferi marini?

Simili interrogativi potrebbero sembrare oziosi, provocatori e quasi assurdi, anche se, dagli albori della storia, si tramandano misteriosi racconti di sciamani capaci di interagire a distanza, in maniera apparentemente inspiegabile, con i lupi, gli orsi, i cervi, le renne, i falchi e le aquile; racconti che, tuttavia, il razionalismo degli occidentali moderni tende a liquidare con un’alzata di spalle o, tutt’al più, a relegare fra i racconti folkloristici, buoni per gli etnologi e gli antropologi, ma non certo da prendersi troppo sul serio- non almeno nel loro significato letterale.

Eppure, a dispetto di tanto e sì radicato scetticismo, esiste una autorevole testimonianza, proprio di un tipico esponente della cultura occidentale, relativo a un fenomeno di trasmissione del pensiero a distanza tra l’uomo e la focena, un piccolo cetaceo simile al delfino, che vive nell’Atlantico, nel Pacifico e lungo le coste settentrionali dell’Oceano Indiano; ed è una testimonianza che, se si è animati da un autentico spirito di ricerca, sufficientemente sgombro da pregiudizi o, almeno, se si possiede un atteggiamento di buona fede nei confronti dell’ignoto, non si può liquidare con una semplice alzata di spalle, perché, per la sua provenienza tutt’altro che sospetta e per il suo valore intrinseco, risulta più eloquente di qualsiasi racconto folkloristico o mitologico.

Uno stregone polinesiano, all’epoca della prima guerra mondiale, sosteneva di aver sviluppato la capacità di incontrare, in sogno, il re delle focene e di essere capace di persuaderlo a guidare l’intero branco verso il villaggio posto sulla riva dell’oceano, dove gli abitanti avrebbero avuto la possibilità di catturarlo e di cibarsene lautamente senza alcuna fatica e, soprattutto, senza la dura e, talvolta, pericolosa necessità di prendere il mare aperto con le loro fragili piroghe, rischiando magari la vita. Tutto questo potrebbe anche essere relegato fra le credenze più o meno fantasiose, prive di alcuna possibilità di essere sottoposte ad una verifica sperimentale, proprie delle sculture sciamaniche e animiste dei popoli che eravamo soliti chiamare, sprezzantemente, “primitivi” o, addirittura, “selvaggi”.

Ma che dire se un rispettabilissimo funzionario coloniale britannico, cresciuto nella patria dello scetticismo, dell’utilitarismo e del positivismo e abituato a considerare Hume, Bentham e Stuart Mill come tre dei maggiori filosofi nella storia del pensiero umano, nonché a giudicare i fatti della vita sotto una prospettiva di tipo essenzialmente pratico e giuridico, porta la sua testimonianza  a favore della veridicità di una tale credenza, sostenendo di aver visto con i suoi stessi occhi un intero branco di focene insabbiarsi deliberatamente sulla riva dell’isola, dov’era atteso ansiosamente dall’intera tribù - uomini, donne e bambini -, dopo che lo stregone aveva affermato che gli animali stavano arrivando sotto la guida del loro “re”?

A questo punto, se si possiede una sufficiente dose di onestà intellettuale, bisognerebbe convenire che qualcosa di vero doveva esserci nelle pretese facoltà telepatiche di quello stregone; anche i più scettici, se non sono totalmente accecati dai loro pregiudizi, dovrebbero prendere atto che, stando al calcolo delle probabilità, non esiste alcun fondamento razionale per sostenere che l’arrivo delle focene e il loro insabbiamento sotto gli occhi degli uomini, che poterono perfino accompagnarle a terra prendendole delicatamente per le pinne, avrebbe potuto essere frutto del caso o che la predizione dello stregone poteva essere una mera coincidenza.

Anche se non esiste una spiegazione razionale del tutto soddisfacente per quello stranissimo, sconvolgente episodio, è praticamente impossibile negare che fra le asserzioni dello stregone e il comportamento degli animali, così docilmente suicida, doveva esistere un preciso rapporto di causa ed effetto; negarlo, significherebbe andare contro il buon senso e contro l’evidenza, solo per amore di un pregiudizio razionalista a cui non si sa o non si vuole rinunciare.

Il fatto di cui parliamo è stato raccontato da colui che ne fu testimone oculare, Sir Arthur Francis Grimble, nel libro «Pattern of Islands», John Murray, 1952) ed è riportato per esteso da un serio studioso dei fenomeni occulti, Colin Wilson, nel suo volume «Da Atlantide alla Sfinge» (titolo originale: «From Atlanti sto the Sphinx», Londra, Virgin Books, 1996; traduzione dall’inglese di Stefania Manetti, Casale Monferrato, Edizioni Piemme, 2005, pp. 231-34):

 

«Sir Arthur Francis Grimble era un amministratore delle colonie britanniche e divenne commissario delle Isole Gilbert, nell’Oceano Pacifico, nel 1914. Avrebbe descritto la sua esperienza quinquennale in una piacevole autobiografia intitolata “Pattern of Islands” (1952) che a giusto titolo divenne un best-seller. Il libro descrive la sua vita di tutti i giorni con tono realistico. Ma in un capitolo racconta un fatto molto strano ed apparentemente inspiegabile. Kitiona, un vecchio capo tribù, criticò la magrezza di Grimble e gli consigliò di mangiare carne di focena. Grimble chiese dove poteva trovarne e scoprì che il cugino primo di Kitiona, che viveva nel villaggio di Kuma, aveva ereditato la facoltà di chiamare le focene. Grimble aveva sentito parlare di questa facoltà che permetteva ad alcuni sciamani di attirare a riva le focene con una specie di magia. A suo avviso era qualcosa di simile al trucco indiano della corda. Cercò di capire come si producesse la magia e scoprì che dipendeva dalla capacità di fare un certo sogno. Se chi chiamava la focena faceva un certo sogno, il suo spirito abbandonava il corpo per visitare le focene ed invitarle al villaggio di Kuma per danze e festeggiamenti. Quando le focene stavano per raggiungere il porto, lo spirito del sognatore ritornava velocemente nel suo corpo, per avvertire la tribù… Grimble si mostrò molto interessato e Kitiona promise di mandarlo a prendere con le sue canoe non appena il cugino fosse stato pronto. La canoa arrivò e Grimble fu portato a Kuma,. Arrivò accaldato, sudato e irritato, fu accolto da un uomo grasso e amichevole che gli disse di essere colui che chiamava le focene.  Questi scomparve in una capanna racchiusa da foglie di cocco da poco intrecciate: “Inizio il mio viaggio”, disse salutando. Grimble si sistemò nella capanna vicina. Alle quattro, ora entro la quale il mago aveva promesso i risultati, non era successo nulla; ma le donne continuavano a intrecciare ghirlande come per una festa, mentre amici e parenti arrivavano dai villaggi vicini; nonostante l’atmosfera festiva, c’era un clima caldo e opprimente.

“La mia fiducia incominciava a cedere quando si udì un grido strozzato provenire dalla capanna. Mi precipitai e vidi questo personaggio dal corpo impacciato battere la testa  contro la parete di foglie ormai distrutta. Si appoggiò con la faccia, si alzò con fatica ed uscì barcollando con un lucido rivolo di saliva sul mento. Rimase per un po’ in piedi, agitando le braccia e producendo rumori acuti, come i guaiti di un cucciolo. E poi incominciò a parlare: - Teirake, Teirake, alzatevi, alzatevi. Stanno arrivando… stanno arrivando… andiamo ad accoglierli -, e pesantemente si diresse verso la spiaggia. Nel villaggio gridavano: - Arrivano, arrivano -. Mi trovai a correre precipitosamente con migliaia di altre persone, gridando con tutto il fiato che avevo che i nostri amici stavano arrivando da ovest. Correvo dietro al sognatore, gli altri arrivavano da nord e da sud.. Correvamo formando delle file, fianco a fianco, precipitandoci sulle secche…

Avevo appena messo la testa nell’acqua a causa del calore, quando u uomo vicino a me urlò indicando qualcosa; altri lo imitarono, ma inizialmente potevo vedere soltanto il riflesso del sole sull’acqua. Quando finalmente vidi qualcosa tutti stavano urlando; erano abbastanza vicine e agitavano le pinne dirigendosi verso di noi a grande velocità. Quando arrivarono all’altezza delle scogliere, rallentarono, si dispersero e incominciarono a muoversi disordinatamente rispetto alla nostra linea: improvvisamente erano scomparse. Nel momento di silenzio forzato che seguì, pensai che se ne fossero andate. La delusione era grande ma continuavo a pensare che, comunque, avevo visto qualche cosa di molto strano. Stavo per toccare la spalla del sognatore per salutarlo quando questi girò il suo volto immobile verso di me: - il re dell’ovest viene ad incontrarmi -, mormorò indicando qualcosa in basso. I miei occhi seguirono la sua mano e a meno di 10 metri di distanza vidi n’enorme focena, immobile e simile ad un’ombra scintillante nell’acqua verde bottiglia. Era accompagnata da un intero branco di focene. Si muovevano verso di noi n modo estremamente ordinato, lasciando un po’ di spazio tra di loro, perlomeno fin dove io potevo vedere. Venivano così adagio che sembravano essere in stato di trance. Il capo del branco si spostò quando raggiunse le gambe del sognatore. Quindi si girò silenzioso e lo seguì mentre percorreva pigramente le secche. Seguii a mezzo metro di distanza la sua coda quasi immobile. Vidi altri gruppi, a destra e a sinistra, dirigersi ad uno ad uno verso la riva con le braccia sollevate e i volti rivolti sull’acqua.

Udii un brusio sommesso e rimasi indietro per osservare la scena. Gli abitanti del villaggio stavano dando il benvenuto ai loro ospiti cantando sommessamente. Soltanto gli uomini camminavano al loro fianco, donne e bambini le seguivano battendo le mani delicatamente, come per marcare il ritmo di una danza. Mentre ci avvicinavano alle secche color smeraldo le carene delle creature iniziarono ad insabbiarsi: battevano delicatamente le pinne come per chiedere aiuto. Gli uomini sospingevano delicatamente gli animali che non mostravano che non mostravano la benché minima preoccupazione: era come se il loro unico desiderio fosse quello di andare sulla spiaggia. Quando ‘acqua gli arrivò all’altezza delle gambe il sognatore sollevò il braccio e chiamò gli uomini che si affollarono intorno a lui, dieci o più per ogni bestia. Il sognatore gridò: - Alzateli - e le pesanti forme nere furono alzate sfruttando il moto delle onde. Poi si fermarono, le loro forme bellissime e dignitose giacevano pacifiche mentre intorno a loro si scatenava l’inferno Donne, uomini e bambini saltavano  alzando grida che aprivano il cielo, si liberarono delle ghirlande gettandole sui corpi immobili con un moto, terribile ed improvviso, di trionfo e derisione. Rabbrividisco ancora ricordando l’ultima scena: uomini frenetici e animali così trionfalmente tranquilli. Li lasciammo dove si trovavano, coperti di ghirlande, e tornammo a casa; poi la marea li abbandonò sulla spiaggia e gli uomini tornarono con i coltelli. Quella notte a Kuma  vi furono feste e danze; la porzione di carne del capo fu messa da parte per me, dovevo mangiarla cruda come una medicina per la mia magrezza; la carne venne opportunamente salata ma non riuscii a mangiarla…”.»

 

Secondo le culture sciamaniche, l’anima dell’uomo può, in presenza di determinate circostanze -specialmente il sonno e la malattia - uscire dal corpo e vagare in una dimensione fuori del tempo e dello spazio, nella quale è in grado di incontrare altre anime, sia di esseri umani che di animali (nelle culture sciamaniche, tutti i viventi possiedono un’anima), di dialogare con loro, perfino di lottare e di catturarle, o di sostituirsi ad esse.

È abbastanza noto, ad esempio, che, in tali culture, la malattia è provocata da spiriti maligni che si insinuano nel corpo del malato e ne rapiscono l’anima; il compito dello sciamano è, allora, dopo essere entrato volontariamente in stato di “trance”, quello di andare in cerca dell’anima rapita e riportarla nel suo corpo, dopo aver combattuto vittoriosamente contro lo spirito maligno che l’aveva catturata e averlo scacciato o legato o ridotto, comunque, all’impotenza.

Di sfuggita, notiamo che un concetto abbastanza simile è contento nel libro deuterocanonico di Tobia (non riconosciuto, cioè, come ispirato né dagli Ebrei, né dai protestanti), nel quale si racconta di come l’arcangelo Raffaele libera Sara dal demonio Asmodeo, che insidiava non lei, ma la vita degli uomini che la sposavano, facendolo fuggire nel lontanissimo deserto dell’Egitto (dalla città di Rages, nella Media) mediante il fumo sprigionato dal fegato di un pesce posto sul fuoco, pesce che aveva catturato e insegnato al suo protetto, Tobia appunto, nuovo marito di Sara, a utilizzare in vario modo; per poi inseguirlo fin laggiù e incatenarvelo, affinché non potesse mai più ritornare indietro e recare altre molestie alla povera Sara, al suo giovane sposo o a chiunque altro. Più tardi, il fegato del pesce sarebbe servito per fare un unguento onde guarire il padre del giovane, Tobia il Vecchio, dalla cecità, restituendogli la vista.

Questo racconto biblico si basa sulla credenza che gli spiriti siano in grado di agire su altri spiriti, di comandarli, di sottometterli alla loro volontà e presenta una evidente analogia con la credenza sciamaniche secondo cui l’anima dello stregone può raggiungere, fuori dal corpo, l’anima di un altro essere umano o anche l’anima di una creatura non umana, costringendola a fare quello che le ordina e riducendola a docile esecutrice dei suoi comandi; il che si può spiegare con una persistenza di forme e credenze dell’animismo sciamanico nella cultura giudaica anche dopo che il popolo ebreo passò dal nomadismo alla sedentarietà e che ebbe luogo la sua graduale conversione al monoteismo di matrice mosaica.

Tornando al racconto del governatore Arthur Francis Grimble, è possibile avanzare alcune ipotesi e congetture per tentare una spiegazione razionale del fatto da lui narrato; ma, evidentemente, non esistono criteri per accertarne il grado di probabilità e di verosimiglianza, trattandosi di un campo pochissimo esplorato e non possedendo ulteriori elementi di informazione, che pure sarebbero quanto mai utili per formarsi un’idea più precisa e completa.

Notiamo innanzitutto che il fenomeno in questione comprende, in realtà, due ordini di fatti distinti: una trasmissione del pensiero a distanza, da una specie vivente ad un’altra, e la somministrazione di un ordine ipnotico, così forte da vincere il naturale istinto di conservazione e da spingere le focene non solo ad arenarsi sulla spiaggia senza esservi costrette da alcun agente esterno, ma a farlo con la massima docilità, lasciandosi addirittura prendere dalle mani degli uomini e astenendosi da qualunque moto di resistenza o di ribellione, come se la loro stessa morte volontaria e collettiva fosse un atto assolutamente naturale e positivo.

Ora, se è già difficile accettare e spiegare il primo fenomeno, quello della telepatia fra l’uomo e l’animale, è ancora più arduo accettare e tentar di spiegare il secondo, quello dell’ordine telepatico che lo stregone impartisce al capobranco e che questi trasmette a tutti i membri del branco, un ordine che equivale ad un atto di suicidio collettivo, simile a quello dei lemming che si precipitano in mare dai fiordi della Norvegia, ma che avviene in maniera assolutamente ordinata e composta, come se si trattasse di un autentico rito e come se gli animali fossero pervasi da una volontà intelligente estranea alla loro natura, a cui non si possono sottrarre.

Per la verità, nell’universo dei rapporti fra stregoni e animali esistono racconti, anche provenienti da testimoni occidentali e altrettanto degni di fede del governatore Grimble, relativi a fatti ancora più strani e inquietanti: ad esempio, la facoltà dei primi di trasformarsi nei secondi o, quanto meno, di assumerne la figura e le qualità fisiche (velocità, potenza, astuzia); di alcuni di essi, anzi, abbiamo già parlato, come nel caso di quello stregone papuano che, mediante un patto col Diavolo, sembrava capace di trasformarsi in casuario, così come certi stregoni africani pare siano in grado di assumere le sembianze, o di entrare nei corpi, di leoni e leopardi.

Comunque, come osserva Colin Wilson, l’idea che il sogno possa suscitare o risvegliare facoltà paranormali presenti nell’uomo allo stato latente ha una base scientifica, come è stato mostrato da tutta una serie di esperimenti in proposito; sappiamo ancora poco circa quel che avviene realmente nel corso dei sogni e sulla natura stessa del sogno, tuttavia si sa che esistono dei sogni premonitori o dei sogni nel corso dei quali si manifestano facoltà di chiaroveggenza o di retro-cognizione. Si sa, con un buon margine di certezza, di passeggeri che si sono salvati la vita evitando all’ultimo momento di imbarcarsi su navi o aerei destinati a naufragare o a precipitare, in seguito a dei sogni ammonitori e in assenza di qualunque altro indizio o sospetto che potesse effettivamente verificarsi una grave sciagura.

Il fatto narrato da Grimble potrebbe avere a che fare con l’inconscio collettivo: a patto, naturalmente, di estendere tale concetto all’insieme delle creature viventi, cosa che l’uomo occidentale moderno, galileiano e positivista, affetto da una radicata forma di antropocentrismo, è assai riluttante a prendere in seria considerazione. Jung, in effetti, si è limitato a ipotizzare che l’inconscio collettivo sia una realtà umana, e già tale ipotesi parve a molti fantasiosa e poco scientifica; eppure, per spiegare fatti come quello delle focene delle Isole Gilbert, bisognerebbe oltrepassare tale concezione e immaginare che esso si estenda oltre i confini della psiche umana, includendo quella di tutte le creature viventi.

A questo punto, quella che è una ipotesi scientifica acquista anche un risvolto teologico, perché non tutte le religioni sono disposte ad ammettere l’anima degli animali. A noi, in questa sede, basta aver suggerito l’ipotesi: quella che sembra poter meglio spiegare fatti come quello preso in esame…