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Henry David Thoreau

di Lorenzo Vitelli - 09/06/2015

Fonte: L'intellettuale dissidente


“Vado e vengo nella natura con una strana libertà e sono parte di essa”. 4 luglio 1845. Aveva gli occhi azzurri come il cielo; camminava in maniche di camicia sulle rive di Walden, un lago remoto nello Stato del Massachusetts (Usa). Aveva gli occhi azzurri e si guardava dentro, con lo sguardo inquieto di chi […]

  

“Vado e vengo nella natura con una strana libertà e sono parte di essa”. 4 luglio 1845. Aveva gli occhi azzurri come il cielo; camminava in maniche di camicia sulle rive di Walden, un lago remoto nello Stato del Massachusetts (Usa). Aveva gli occhi azzurri e si guardava dentro, con lo sguardo inquieto di chi si è perso, di chi si vuole perdere ad ogni costo: “solo quando ci siamo perduti, in altre parole, solo quando abbiamo perduto il mondo, cominciamo a trovare noi stessi, e a capire dove siamo, e l’infinita ampiezza delle nostre relazioni.”.

Henry David Thoreau il mondo lo aveva perduto proprio quando si trasferì sulle sponde di quel lago, dove aveva costruito con le sue mani una piccola capanna in legno. Ma se gli si chiedesse cosa aveva abbandonato, ci risponderebbe: l’Uomo. Il giovane Thoreau aveva abbandonato l’uomo dei vestiti e delle mode, l’uomo dalla parola regalata, l’uomo delle relazioni ipocrite e borghesi, avido, arrivista; il filosofo americano si levò la maschera, senza ribellioni, senza rivoluzioni, e con un rivolta individuale e spirituale rimetteva in causa l’uomo moderno, le sue squallide sfaccettature, e una società americana guidata dal protestantesimo calvinista, dai valori del profitto e dell’utile mercantile, dal commercio e dalla vita economica, che cominciava già a tessere quei fili che un secolo dopo la portarono ad essere la prima potenza mondiale economica, politica e culturale.

“Walden, ovvero vita nei boschi”, questo il titolo dell’opera che più lo rese noto: il diario autobiografico di due anni di vita, dove isolato dalla società civile, il giovane Thoreau, a poco più di 25 anni, sperimentava i grandi temi analizzati dal filosofo Ralph Waldo Emerson: anticonformismo, vita extramondana, solitudine, ricerca di sé – oltre le convenzioni e i dogmi sociali – in un intenso e ravvicinato rapporto con la natura, con la terra, con le origini.

Ma Henry David Thoreau era anche un artista, un poeta, e nel suo libro insegna l’arte di vivere con sé stessi, insegna il silenzio. Due anni e due mesi nelle profondità di selvaggi boschi americani, tra le ombre e la quiete, “ed ero più indipendente – scrive Thoreau –di qualsiasi contadino di Concord, perché non ero ancorato ad una casa o a un campo, ma ogni istante potevo scegliere l’inclinazione del mio genio […] e anche se la casa si fosse bruciata e il raccolto fosse stato cattivo, sarei stato quasi altrettanto ricco di prima.”

Nelle righe di tutta l’opera, nelle pagine della sua vita, l’unica definizione che può associarsi ad uno spirito come quello di Thoreau, è la definizione più libera da qualsiasi costrizione: anarchico. Thoreau era un anarchico, e lo ha dimostrato nel 1846, quando ancora isolato nei boschi, si rifiutò di pagare una tassa imposta dal governo americano per finanziare la guerra in Messico. Imprigionato una notte, senza opporre resistenza, questa esperienza gli ispirò il saggio La disobbedienza civile, un classico del pensiero pacifico e rivoluzionario di tutti i tempi. Può sembrare paradossale, ma pacifico e rivoluzionario trovarono in Thoreau una sintesi perfetta, sintesi che poi Gandhi lesse benissimo.

E questo il quadro, così attuale, che Thoreau ci lascia dell’uomo come lui lo ha vissuto:«La massa degli uomini serve lo Stato in questo modo, non come uomini soprattutto, bensì come macchine, con i propri corpi. Essi formano l’esercito permanente, e la milizia, i secondini, i poliziotti, i posse comitatus, ecc. Nella maggior parte dei casi non v’è alcun libero esercizio della facoltà di giudizio o del senso morale; invece si mettono allo stesso livello del legno e della terra e delle pietre, e forse si possono fabbricare uomini di legno che serviranno altrettanto bene allo scopo. Uomini del genere non incutono maggior rispetto che se fossero di paglia o di sterco. Hanno lo stesso tipo di valore dei cavalli e dei cani. Tuttavia persino esseri simili sono comunemente stimati dei buoni cittadini. Altri, come la maggior parte dei legislatori, dei politici, degli avvocati, dei ministri del culto, e dei funzionari statali, servono lo Stato principalmente con le proprie teste; e, dato che raramente fanno delle distinzioni morali, sono pronti a servire nello stesso tempo il diavolo, pur senza volerlo, e Dio.»