La guerra "infinita" non è una soluzione al terrore
di Howard Zinn - 04/09/2006
Dietro la vanità della potenza militare, sta il fatto che le guerre attuali e più recenti si caratterizzano per le uccisioni indiscriminate di un gran numero di persone innocenti. A essere franchi, la guerra è terrorismo. Ecco perché l’espressione “guerra al terrorismo” risulta, oggi più che mai, una contraddizione in termini |
C’è qualcosa di importante da imparare dalla recente esperienza di Stati Uniti e Israele in Medio Oriente: gli attacchi militari imponenti, inevitabilmente indiscriminati, non solo sono moralmente riprensibili, ma anche inefficaci nel conseguire gli scopi di coloro che hanno deciso di predisporli. Gli Stati Uniti, in tre anni di guerra in Iraq, iniziata con i famigerati bombardamenti shock-and-awe (“colpisci e terrorizza”, NdT) e proseguita con quotidiani violenze e caos, sono andati incontro a un totale fallimento nell’obiettivo di instaurare la democrazia e la stabilità nel paese. Mi viene in mente il romanzo di John Hersey, "Amante di guerra", in cui un pilota americano, un macho, uno che amava sganciare bombe sulla gente e vantarsi delle proprie conquiste sessuali, scopre di essere impotente. George Bush che, camminando impettito nella sua giacca militare, su una portaerei annnuncia la vittoria in Iraq, ricorda il personaggio di Hersey: le stesse espressioni vanagloriose, la stessa impotente macchina militare. La storie delle guerre combattute dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi rivela tutta la futilità della violenza perpetrata su larga scala. Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, nonostante la loro immensa potenza militare, non furono in grado di debellare i movimenti di resistenza delle piccole nazioni – il Vietnam per gli Usa, l’Afghanistan per l’Urss – e vi soccomberono. Delle grandi potenze militari persino le “vittorie” si rivelano elusive. Presumibilmente, immediatamente dopo aver attaccato e invaso l’Afghanistan, Bush era effettivamente in grado di dichiarare che i Talebani erano stati sconfitti. Tuttavia, più di quattro anni dopo, l’Afghanistan è ripiombato nella violenza, e le sacche talebane sono oggi più che mai attive in gran parte del paese. Le due superpotenze del XX secolo, gli Usa e l’Urss, con tutta la loro abilità militare, non sono state in grado di controllare il corso degli eventi in quei paesi che consideravano sotto la loro sfera di influenza – l’Europa dell’Est per l’Urss, l’America Latina per gli Usa. Dietro la vanità della potenza militare, sta il fatto che le guerre attuali si caratterizzano per le uccisioni indiscriminate di un gran numero di persone innocenti. A essere franchi, la guerra è terrorismo. Ecco perché l’espressione “guerra al terrorismo” è una contraddizione in termini. Le guerre intraprese da nazioni come gli Stati Uniti e Israele sono di cento volte più sanguinose per i civili innocenti rispetto agli attacchi terroristici, per quanto brutali essi siano. La reiterata giustificazione – avanzata sia dai portavoce del Pentagono sia dagli ufficiali israeliani – data per i bombardamenti perpetrati nei luoghi dove vive la gente comune, è che i terroristi si nascondono tra i civili. Dunque, mentre l’uccisione di civili innocenti in Iraq e in Libano viene definita fortuita, quelle provocate dai terroristi (l’11 settembre, i razzi Hezbollah) sono ritenute intenzionali. Si tratta di una distinzione ingannevole, facilmente rigettabile dopo un istante di riflessione. Se una bomba viene deliberatamente sganciata su una casa o un veicolo dove un “sospetto terrorista” si ritiene si trovi (notiamo, fra l'altro, come il frequente ricorso al termine “sospetto” tradisca puntualmente l’incertezza sugli obiettivi da colpire), le conseguenti morti di donne e bambini potrebbero anche non essere intenzionali. Ma nemmeno sono fortuite. Una definizione appropriata può essere “inevitabili”. Così, se un attacco uccide inevitabilmente persone innocenti, è giusto ritenerlo immorale quanto un attacco premitato ai civili stessi. E se si considera che il numero di innocenti uccisi inevitabilmente da cause “accidentali” è cresciuto a dismisura rispetto a quello di coloro assassinati dalle azioni terroristiche, la guerra come soluzione al terrorismo risulta ancor più deprecabile. Per fare un esempio: in Vietnam le bombe statunitensi hanno ucciso più di un milione di civili, presumibilmente in modo “fortuito”. Sommando tra loro le vittime degli attacchi terroristici in tutto il mondo nel 20esimo, non si raggiunge una tale macabra cifra. Se reagire agli attacchi terroristici ricorrendo alla guerra è inevitabilmente immorale, allora per fermare il terrorismo dovremmo considerare altre vie rispetto alla “guerra al terrore”. La rappresaglia militare non solo è immorale, ma futile. I leader politici devono riconsiderare al più presto i loro piani.
Fonte: The Boston Globe
Howard Zinn (1922) è considerato uno dei più importanti storici radicali statunitensi. Dopo aver partecipato alla Seconda guerra mondiale, ha conseguito il dottorato in storia alla Columbia University e ha diretto il dipartimento di Storia dello Spelman College. Le sue numerose pubblicazioni e l'impegno politico hanno fatto di lui uno dei nomi di riferimento del pacifismo negli Stati Uniti e gli sono valsi vari riconoscimenti, tra cui lo Eugene V. Debs Award nel 1998. Attualmente è professore emerito di Scienza politica alla Boston University. |