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Assalto al T-tip

di Alberto Zoratti - 09/06/2015

Fonte: Comune info


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Tutti gli occhi sono puntati su Strasburgo: mercoledì 10 giugno il parlamento europeo in seduta plenaria dirà la sua sul T-tip, approvando o rigettando la Risoluzione Lange, dal nome del Rapporteur del gruppo dei Socialisti e Democratici, che il 28 maggio è stata approvata dalla Commissione commercio internazionale Inta a Bruxelles. Non sarà un atto conclusivo, nè la fine dei negoziati, ma una tappa importante di ridefinizione della cornice negoziale della Commissione europea che fa parte del ruolo, decisamente limitato, che il parlamento europeo può giocare nel campo dei negoziati commerciali, competenza esclusiva del Commissario al Commercio. Se avrà potere di ratificare a trattato concluso, in itinere non può emendare nulla, ma solo inviare raccomandazioni e votare risoluzioni, non formalmente vincolanti anche se politicamente rilevanti.

È in questo campo che si sta giocando lo scontro tra interessi e visioni. Con un quadro in continuo cambiamento che vede il patto scellerato trovato tra Partito popolare europeo e socialdemocratici in Commissione Inta che rischia di saltare su alcuni punti di sostanza, come l’Isds, l’arbitrato internazionale che consentirebbe alle aziende di portare in giudizio gli Stati a causa di politiche non rispondenti alle loro aspettative. Nonostante gli equilibrismi della Commissaria Malmstrom, e le posizione ambigue degli europarlamentari che hanno sostenuto un Isds riformato nella prima stesura della Risoluzione, la proposta è entrata al centro dello scontro politico tra i gruppi. I rischi sono molti, non ultimo quello di ritrovarsi un testo volutamente ambiguo che, se esclude l’arbitrato privato, prevede comunque un organismo di ulteriore tutela del privato, oltre le corti convenzionali accessibili a tutti, rispetto ai comuni mortali.

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Le reti Stop T-tip hanno posto una red line insuperabile. No all’Isds, in qualsiasi modo venga cucinato, perchè  ridondante per due continenti con una giurisprudenza avanzata come Stati uniti e Unione europea. Un punto fermo necessario ma non sufficiente, perchè il T-tip è questo e molto altro, come il rischio di privatizzazione dei servizi, l’impatto della liberalizzazione dell’agricoltura sulla produzione italiana ed europea, gli appalti pubblici.

Piuttosto che una pessima risoluzione, meglio nessuna risoluzione, è il refrain. Con la consapevolezza che un buon lavoro di pressione politica capace di modificare al meglio il testo è solo un argine, un modo per non rendere le cose peggiori, mantenendo l’obiettivo che questo trattato non s’ha da fare. Per questo la Campagna Stop T-tip Italia, in coordinamento con le reti internazionali, ha lanciato un mailbombing sugli europarlamentari di area popolare e socialdemocratica, di quei gruppi che fin dall’inizio si sono detti favorevoli al trattato transatlantico. Centinaia di e-mail e di tweet per dare una scossa a una politica, soprattutto italiana, volutamente distratta su un negoziato tra i più importanti degli ultimi anni. Nonostante la retorica del viceministro Carlo Calenda, l’Italia è agli ultimi posti come tasso di conoscenza e di consapevolezza sul T-tip, con buona parte della discussione pubblica stimolata dalla società civile e dai movimenti che chiedono un confronto aperto, trasparente e democratico.

In questi giorni, in contemporanea con l’invio email e tweet, in decine di città italiane si svolgeranno iniziative, incontri pubblici, presidi per dimostrare che esiste un’opposizione crescente a un negoziato disconosciuto anche da personalità d’Oltreoceano come quel Paul Krugman che dalle pagine del New York Times ha evidenziato i limiti e i rischi di un trattato progettato a uso e consumo dei gruppi privati. Un’opposizione che nel Vecchio Continente sostiene la petizione europea ormai sulla dirittura di arrivo dei due milioni di firme e che coinvolge sempre più settori della società civile, dai sindacati ai piccoli produttori agricoli. Dimostrando, ancora una volta, che la lotta contro il T-tip non è solo contro un modello economico imposto, ma per una reale partecipazione democratica dei cittadini alle scelte che incideranno sulle nostre società.