Quando la forma ignorò Darwin: introduzione alla scienza della morfologia. Parte 2
di Fulvio Saggiomo - 14/07/2015
Fonte: Centro Studi La Runa
Già da queste poche righe appare evidente come nella teoria di Saint Hilaire quanto in quella di Goethe, il fissismo delle forme viventi sia assolutamente fuori discussione: le specie si trasformano, si adattano alle condizioni esterne, ma non seguendo i capricci del caso, ne attraverso la selezione naturale, la quale, tutt’al più ha una funzione conservativa più che innovativa, ed i meccanismi di protezione e correzione del DNA sono là a dimostrarlo.
Arrivando a Goethe, dopo questa rapida occhiata a Cuvier e Saint Hilaire, vediamo subito che il pensatore tedesco è senza ombra di dubbio più vicino al secondo: l’unità del Tipo non è altro che l’unità della composizione organica scoperta da Saint Hilaire; tuttavia non si può non notare, e lo faremo tra breve che Goethe non esclude assolutamente l’influenza e le sollecitazioni dell’ambiente (in termini darwiniani la lotta per l’esistenza), tuttavia, comprende che l’influenza dell’ambiente, senza l’unità del Tipo diventa qualcosa di incomprensibile. Questo fu un problema che non sfuggì a Darwin, il quale, alla fine del capitolo de L’Origine delle specie, già citato, dedicato alle difficoltà della teoria, così scrive:
Generalmente si riconosce che tutti gli esseri organizzati sono stati formati in seguito a due grandi leggi: cioè l’Unità di Tipo e le Condizioni di Esistenza. Per unità di tipo si intende quella fondamentale somiglianza di struttura, che noi vediamo negli esseri organici di una medesima classe, e che è affatto indipendente dalle loro abitudini di vita. Seguendo la mia dottrina, l’unità di tipo viene spiegata dalla unità di discendenza. L’adattamento alle condizioni di esistenza, sul quale ha tanto spesso insistito l’illustre Cuvier, viene abbracciato completamente dal principio della elezione naturale. Perché l’elezione naturale agisce, o coll’appropriare le parti variabili di ogni essere alle sue condizioni di vita organiche ed inorganiche: oppure cogli adattamenti praticati nelle lunghissime epoche trascorse; trovandosi questi adattamenti agevolati, in certi casi, dall’uso e dal non-uso, od anche essendo leggermente affetti dall’azione diretta delle condizioni esterne della vita e soggiacendo poi sempre alle diverse leggi di sviluppo. Quindi, nel fatto, la legge dell’adattamento alle Condizioni di Esistenza è la più elevata; mentre comprende quella dell’Unità di Tipo, per l’eredità degli adattamenti antichi.
In questo passo è oltremodo evidente che questi erano temi di pubblico dominio, almeno tra gli specialisti e che il dibattito era molto sentito dallo stesso Darwin, il quale sembra avere a cuore inserire i suoi concetti di discendenza e selezione all’interno di quel dibattito. Ed infatti egli legge l’unità del Tipo come mera comunanza di struttura imputabile alla discendenza comune dei viventi e l’adattamento alle condizioni di esistenza come effetto della selezione naturale, che, tuttavia, come abbiamo visto e come approfondiremo, serve più a spiegare la costanza delle forme viventi che la novità. Per Darwin è la legge dell’adattamento alle condizioni di esistenza la più importante e da essa dipende strettamente anche l’unità del tipo in quanto questa venga interpretata come semplice frutto della discendenza e quindi degli adattamenti antichi.
È evidente che Darwin veda le leggi di sviluppo del vivente alla stressa maniera in cui il fisico classico vede le leggi della natura inorganica, vale a dire in maniera astratta, come idea che agisce dall’esterno e non come principio interno, stimolato certamente dalle condizioni esterne ma con dei principi suoi propri e con quella organicità, per esprimerci in termini fenomenologici, che è il suo residuo eidetico o fenomeno tipico o fenomeno primordiale per dirla con Goethe[7].
Ed infatti in questo passo della poesia La metamorfosi degli animali Goethe, con l’occhio intuitivo proprio ai grandi spiriti, con una pennellata da grande artista spiega tutto ciò che c’è da capire sulla sua posizione, che raccoglie, come vedremo, in un’unica visione, Cuvier, Saint Hilaire e Darwin :
«[…] Ogni animale ha il fine in se stesso, esso sbuca fuori perfettamente conformato dal grembo della Natura e la sua prole è perfetta quanto lui. Tutti i suoi organi sono conformati da leggi eterne. Ogni forma per quanto bizzarra, richiama segretamente al suo Tipo.
Ogni bocca è disegnata per accogliere un particolare nutrimento che giovi al suo corpo; che sia debole e senza denti o con mascelle ben dentate e possenti ogni creatura avrà un organo perfetto per recare nutrimento alle altre membra.
E gli arti, brevi o lunghi, si muoveranno in perfetta armonia con i bisogni e i desideri dell’animale.
La Grande Madre ha distribuito la forza plastica in maniera totale e perfetta in modo che ogni suo figlio ne potesse fruire, in modo che nessuna delle proprie parti vitali confliggesse con un’altra.
Così la forma di un essere modella il suo stile di vita, e inversamente, il suo stile di vita esercita un possente impulso sulla sua forma: tutte le strutture organizzate sono stabili ma pronte a mutare spinte dalle sollecitazioni esterne.
Anche all’interno della più nobile delle creature una forza alberga, una forza incatenata nel sacro cerchio della genesi delle forme viventi.
Questi sono i vincoli che nessuna divinità può infrangere; onorato dalla Natura, solo un limite può condurre una forma alla perfezione.
Così uno spirito sembra lottare nel profondo di ogni creatura, quasi a voler spezzare le catene e a rendere le forme arbitrarie e arbitrario il desiderio. Ma per quanto si sforzi, lo fa invano, poiché per quanto esso tenda verso questa o quella parte rendendola ricca e possente, in compenso ne languono altre, in quanto la sproporzione e l’eccesso distruggerebbero prestamente ogni bellezza di forma e la lieve purezza del moto.
Pertanto, se osservi che un animale possegga un determinato vantaggio, chiediti prontamente quale sia lo svantaggio che lo affligga altrove, cercando il difetto ovunque esso sia, con mente investigante. In questo modo scoprirai la chiave che ti dischiuderà il segreto delle forme.
Mai, infatti, è esistito essere che abbia tutti i denti piantati nella mascella superiore a cui sia spuntato un corno in fronte; mai, per quanto sforzo ed energia profusa, alla Madre Eterna riuscì di far nascere un leone con le corna, non avendo massa sufficiente per completare tutti i denti e per piantare corna o palchi.
Possa recarti gran diletto questo sublime concetto di potenza e controllo, di azzardo e legge, libertà e misura, di ordine in movimento, svantaggio e beneficio […]».
Qui balzano all’occhio subito gli elementi chiave del pensiero goethiano, in particolare il concetto di misura e proporzione. Nella concezione goethiana di Natura non esiste arbitrio incontrollato o fantasia smodata. La Natura dota il vivente di una forza plastica e di leggi ben precise, che potremmo definire leggi di bilancio, già presenti, in una certa misura, come visto, in Saint Hilaire, solo che in Goethe assumono una veste sistematica e scientifica senza precedenti. Infatti nella Introduzione generale all’anatomia comparata fondata sull’osteologia del 1795 Goethe afferma:
Se noi esaminiamo attentamente un animale, scorgeremo che la diversità delle forme che lo caratterizza proviene unicamente da ciò che una delle sue parti si fa predominante sull’altre.
Così, nella giraffa, il collo e le estremità sono favoreggiate alle spese del corpo, mentre nella talpa la cosa va oppostamente. Dunque esiste una legge in virtù della quale una parte non potrebbe aumentare di volume che alle spese di una altra parte, e viceversa. Questi sono i confini entro i quali la forza plastica si esercita nel modo il più bizzarro e il più arbitrario senza poterli mai oltrepassare; la forza plastica regna sovranamente entro questi confini, che sono poco estesi, ma sono sufficienti al suo sviluppo. Il totale generale del bilancio della natura è fisso; ma essa è libera di spenderne le somme parziali in quel modo che meglio le piace. La natura, quando vuol spendere da una parte, deve far economia dall’altra, e perciò non può mai indebitarsi nè far fallimento.
Come affermerà alcuni anni dopo nella Metamorfosi degli animali, esiste una ferrea legge che detta i limiti entro cui il vivente si può muovere, limiti invalicabili in quanto nella natura esiste fantasia ma non arbitrio e senza limite all’arbitrio non esiste perfezione. Le forme viventi sono perfette in quanto conformate secondo misura ed equilibrio. Lo spettacolo del mondo naturale nasce dalla lotta tra la tendenza all’eccesso e quindi al caotico e il limite che lo frena e conforma secondo ragione, seppur nella massima varietà.[8]
Per Goethe, inoltre, come per i suoi contemporanei, lo studio dello scheletro è fondamentale per lo studio delle forme e delle abitudini, nonché nell’intuire la fisiologia degli animali. Allo studio delle ossa, infatti, dedica una parte molto cospicua dei suoi studi sul mondo vivente; così si esprime nell’opera appena citata: «Lo scheletro evidentemente è l’impalcatura che determina la forma degli animali. Il conoscimento dello scheletro agevola il conoscimento di tutte le altre parti…». Ma non basta, seguendo il principio di Saint Hilaire di osservare gli organi dalla manifestazione più evidente seguendone, nelle differenti specie, le sue variazioni fino alla sua scomparsa, Goethe suggerisce, per ogni osso di creare delle tavole sinottiche in cui si considerano tutte le variazioni a cui esso va soggetto o a cui può andare incontro: «Le deviazioni delle forme possibili si deducono, sia mercè il ragionamento, sia mercè l’esperienza; esse dovranno essere presentate nel quadro sinottico, procedendo dal semplice al composto; dallo stato rudimentale allo stato perfetto, e viceversa, secondo che l’uno o l’altro metodo apparirà più chiaro».
Evidentemente essendo l’impalcatura dell’organismo animale, lo scheletro non può non essere conformato per accogliere e sostenere una certa natura organica. Lo scheletro è un po’ la carta di identità, il suo segno distintivo, la segnatura della vita a cui è stato destinato.
Inoltre, Goethe nello stesso testo procede con rigore ad elencare tutte le ossa di cui si compone il Tipo generale dei Vertebrati e poi illustra ciò che resta costante e ciò che può variare nella natura ossea: evidentemente il posto e la funzione sono i parametri che tendono a restare invariati ma ogni osso può subire molteplici variazioni di forma, può atrofizzarsi, può saldarsi ad un altro fino a diventare quasi irriconoscibile o diventare ipertrofico o essere spinto in una direzione o nell’altra ed essere piegato alle esigenze generali dell’organismo; di tutto questo deve occuparsi lo studioso di zoologia.
In secondo luogo, il perfetto equilibrio tra sollecitazioni esterne e legge interna di sviluppo: gli esseri viventi sono perfettamente adattati al loro ambiente e modellano le proprie abitudini a partire dalla forma e dalle funzioni di cui sono dotati ma, inversamente, l’ambiente e lo stile di vita che conducono esercita una forte spinta su forma e funzioni, pertanto, appare logico pensare che se le condizioni di vita cambiano in maniera sostanziale, l’essere vivente si adatterà alle nuove condizioni, ma senza mai violare i principi ideali del Tipo e le leggi dello sviluppo organico, come ad esempio la legge del bilanciamento delle masse.
Le leggi organiche appaiono altrettanto stringenti di quelle della natura inorganica ma su un altro piano; mentre, infatti, non si potrà dire che la gravità è un principio interno alla pietra, in quanto la pietra subisce la gravità, in un certo senso la legge di gravità le è esterna. Al contrario l’essere organico ha la sua legge all’interno: il bue non subisce la legge del bilanciamento delle masse, questo principio è parte integrante del suo organismo e agisce a partire dall’interno conformandolo, rinuncia agli incisivi superiori, infatti, per sviluppare le corna, come l’elefante, che perde tutti i denti tranne i molari per far spuntare le possenti zanne[9]. La legge del vivente è immanente ad esso, è appunto una legge organica.
Ma prima di passare oltre occorrerà soffermarsi per qualche riga sulla natura del Tipo. Evidentemente il Tipo, a detta dello stesso Goethe, non può essere un organismo particolare: se è il modello su cui sono fondati tutti gli altri progetti non potrà essere uno di essi. Neppure l’organismo più perfetto, l’Uomo, può essere il modello generale, proprio a cagione della sua perfezione. Il Tipo è un’immagine generale in cui sono presenti gli elementi della natura animale e tutte le sue possibili variazioni. Volendo operare un’analogia con la Geometria potremmo dire che la Natura organica in generale rappresenta lo spazio ed i suoi elementi: punto, linea, superficie e volume e le varie suddivisioni del mondo organico sono gli assiomi e i postulati seguiti gerarchicamente dai teoremi, corollari ecc…
Ad esempio la prima suddivisione “assiomatica” potrebbe essere quella tra natura vegetale e natura animale ed effettivamente quella tra animale e pianta è una polarità fondamentale. Le piante usano il residuo metabolico della respirazione animale, del metabolismo delle proteine o della degradazione organica per produrre nutrimento che poi alimenta tutta la catena alimentare, rilasciando ossigeno, esso stesso fondamentale per la vita. Il gesto simbolico della pianta è l’apertura alla luce e la produzione della vita dalla morte, quello dell’animale è la chiusura e l’attività interiore (che implica evidentemente il rilascio di tossine e quindi produzione di morte).
All’interno del mondo animale, possiamo trovare un’altra polarità fondamentale nella separazione tra Vertebrati ed Invertebrati in realtà sarebbe più esatto parlare di Epineuri ed Iponeuri cioè animali che hanno un canale neurale cavo al di sopra del canale digestivo e quelli che ce l’hanno invece pieno e al di sotto. Anche questa polarità ha un valore “assiomatico” generale che viene poi declinato in ogni gruppo nelle maniere più disparate rispettando sempre lo schema originario.[10] All’interno dei Vertebrati, poi, le varie classi possono essere considerate come altrettante specificazioni del tipo, teoremi che hanno nelle differenti specie altrettanti corollari. Tuttavia il parallelo con la Geometria finisce qui poiché il mondo vivente non è un mondo statico, non è fatto di concetti fissi ed immutabili ma di realtà in continua trasformazione.
Per seguire effettivamente la metamorfosi occorre da un lato l’osservazione sagace e la comparazione di innumerevoli casi e reperti e poi un pensiero intuitivo mobile ed estremamente elastico, come quello che serve per immaginare, ad esempio, un triangolo che diventi retto, equilatero, isoscele, scaleno, acutangolo, ottusangolo, un pensiero “genetico” direbbe Goethe, cioè un pensiero in grado di tener dietro e di ricostruire a partire dai dati osservabili tutte le trasformazioni cui un fenomeno è andato incontro a partire dal modello tipico ed usando tutti gli strumenti euristici a disposizione, in sintesi un pensiero plastico come plastico è la natura del suo oggetto.[11] In realtà per Goethe i sensi educati ad osservare e il pensiero addestrato a percepire le essenze dei fenomeni sono lo strumento di ricerca più perfetto in assoluto, poiché quelle essenze non sono delle semplici generalizzazioni di fatti ma forze reali che agiscono nella Natura e che il pensiero Umano è in grado di cogliere. Tra l’altro anche la famosa legge biogenetica fondamentale, quella della ricapitolazione di Haeckel, quella che avrebbe dovuto dimostrare la teoria darwiniana della discendenza e della derivazione genetica delle specie l’una dall’altra, e quindi confutare il Tipo, inteso goethianamente, ha dimostrato la sua poca veridicità. La legge di Haeckel dice in poche parole che la ontogenesi ricapitola la filogenesi, cioè che nello sviluppo embrionale l’individuo ripercorre tutte le trappe dei gruppi animali “inferiori”, riproponendo le forme adulte dei gruppi che hanno preceduto quello dell’embrione in questione. Il primo critico fu il grande Von Baer, pioniere dell’embriologia che aveva già formulato le sue quattro leggi dello sviluppo, leggi ancora valide e rimaste forse le parole più lapidarie dell’embriologia di tutti i tempi. Il senso delle leggi di Von Baer risiede nella convinzione che lo sviluppo embrionale sia un processo di individuazione, dal generale al particolare. L’embrione quindi può essere simile ad altri embrioni solo nei primissimi stadi di sviluppo, quando è solo un agglomerato di cellule (quindi parliamo dei primi giorni). Già dalla formazione della linea primitiva, da cui origina il canale neurale (ricordiamo che negli epineuri è dorsale e negli iponeuri è ventrale) abbiamo la prima profonda differenziazione, quindi un vertebrato non potrà mai passare attraverso la somiglianza con un invertebrato. Quindi i caratteri generali compaiono prima di quelli specifici, allontanando sempre più il feto da qualsiasi somiglianza con qualsiasi adulto di specie inferiori. Inoltre, osserva Von Baer, molto spesso non sono i caratteri adulti degli esseri meno evoluti a comparire nell’embrione di quelle più evolute ma al contrario sono i caratteri embrionali degli organismi inferiori a comparire nell’adulto delle forme superiori, e questo in maniera evidente nelle specie dello stesso Phylum: ad esempio le larve dei Miriapodi (centopiedi e millepiedi) che presentano tre paia di zampe come i loro cugini Insetti, più evoluti. Il fenomeno è lampante tra specie dello stesso Ordine. Ne è un esempio lo sviluppo embrionale delle Scimmie Antropomorfe in cui il feto, alla nascita presenta i caratteri tipici del genere Homo: uguale lunghezza degli arti anteriori e posteriori, foramen magnum (il “buco” alla base del cranio dal quale passa il midollo spinale) in posizione centrale, scarso prognatismo delle mascelle, cranio globulare e di grandi dimensioni, canale sessuale verticale ecc…, caratteri che poi scompaiono nelle scimmie adulte ma conservati nel “primate glabro”, l’ Homo Sapiens.
Ma cos’è che rende una specie più evoluta di un’altra? Di certo non il suo maggiore adattamento all’ambiente ne la sua capacità di sopravvivere, altrimenti i Batteri sarebbero senza ombra di dubbio gli organismi più evoluti in assoluto. In questa risposta ci soccorre sempre Von Baer: più la massa di un organismo è omogenea, vale a dire, più le parti di un organismo sono simili tra loro più l’organismo è da considerarsi poco sviluppato, cioè primitivo. In sintesi, più un essere è differenziato ed organicamente articolato, più è sviluppato, quindi evoluto. Ecco un criterio davvero oggettivo per stabilire il grado di sviluppo di un essere. In base a tali considerazioni, supportati delle considerazioni dell’embriologo tedesco, potremmo costruire una tavola o un diagramma di auto-azione[12] su cui porre gerarchicamente gli esseri. La parola autoazione deriva dalla fusione di altre due parole: autocoscienza e individuazione. Abbiamo visto, infatti, che Von Baer considera avanzati gli esseri più differenziati ed articolati, cioè quelli più individualizzati e finemente differenziati sin nelle parti e nelle funzioni infinitesime. Ora se osserviamo attentamente, questo progresso si accompagna ad un progressivo isolamento dall’ambiente ed allo sviluppo di vita interiore autonoma, fino a culminare, attraverso esseri sempre più coscienti, nell’Uomo autocosciente; quindi più un essere diventa sviluppato, articolato e organicamente perfezionato più tende a diventare individuale, ad isolarsi dall’ambiente e a sviluppare vita interiore sempre più autonoma. Questo è evidente, ad esempio nella scala dei vertebrati: dai pesci, totalmente immersi nel proprio elemento liquido, agli anfibi che sviluppano la deambulazione e la respirazione aerea ma che sono comunque a metà strada tra due elementi (dipendono ancora dall’acqua per la riproduzione, la loro respirazione aerea è ancora imperfetta come la circolazione e la pelle assolutamente permeabile alle influenze dell’ambiente), nei rettili assistiamo alla chiusura e “settazione” degli spazi interni e alla chiusura completa rispetto al mondo esterno grazie alla pelle cornea e alle scaglie; nei mammiferi e negli uccelli l’isolamento raggiunge la perfezione, la temperatura corporea è indipendente da quella esterna, la circolazione e la respirazione sono complete, l’espulsione delle sostanze di scarto altamente efficiente, e, cosa importantissima, inizia l’emissione di suoni articolati che denotano una vita interiore più perfezionata, fino ad arrivare all’uomo in cui il suono diventa parola, poesia, musica ed in cui si accende l’autocoscienza e il pensiero. Appare anche evidente, detto per inciso, che la perfezione fisica non sia la causa dell’autocoscienza e del pensiero ma ne sia una condizione affinché tali “fenomeni” si manifestino. Tuttavia questa scala non va vista, nell’ottica morfologica, come qualcosa di progressivo o genetico, nel senso che i gradini inferiori generino quelli superiori, ma in senso sincronico-archetipico e tipologico (sulla nascita delle specie torneremo alla fine del contributo).
Ma Von Baer anticipa anche un’altra tematica fondamentale della biologia moderna: il concetto di Neotenia[13], tematizzato dal biologo di Harward Stephen J. Gould negli anni 70’, cioè la comparsa di caratteri “infantili” negli adulti di una specie, vale a dire la comparsa negli stadi adulti di una specie sviluppata di caratteri embrionali di specie meno sviluppate[14]. Un esempio lampante di neotenia (o pedomorfosi) è quella umana: l’Uomo adulto tra i Primati è quello che più somiglia al suo embrione e gli embrioni di scimmia antropomorfa sono più simili a questo embrione (e quindi all’uomo adulto) che ai propri stadi adulti. L’Uomo sembrerebbe richiamare allo stadio aurorale della radiazione dei primati e delle scimmie antropomorfe e questo sarebbe confermato anche dalla comparazione tra il genoma umano e quello dei suoi parenti più prossimi. Confrontando i geni del DNA mitocondriale codificanti diverse proteine enzimatiche (il primo fu il Citocromo C[15] e le sue mutazioni neutrali[16]), si è stabilito che rispetto ad un ipotetico antenato comune, la linea umana ha subito circa la metà delle variazioni di quelle subite dalla linea delle scimmie antropoidi, inoltre la struttura fine della cromatina (la materia, contenuta nel nucleo cellulare, di cui sono fatti i Cromosomi che contengono i Geni, costituiti da Dna nucleare, Istoni ecc) dell’ipotetico capostipite era uguale per 18 cromosomi su 23 con le altre paia leggermente differenti. Questo vuol dire che i caratteri dell’Uomo sono “primitivi” e quelli delle scimmie derivati nel senso di Von Baer, tra l’altro questa deviazione è alquanto recente rispetto alle stime pregresse, risalendo al massimo a 2 mln di anni. Se poi si considera il cranio 1470, rinvenuto insieme a due femori, da Richard Leakey, presso il Lago Turkana, datato almeno a 3 maf con proporzioni moderne anche se di dimensioni ridotte, risulta evidente come le fattezze umane o umanoidi siano originarie e non derivate e che quindi vengano confermate le idee di Von Baer e di Gould. Un altro corollario molto importante delle leggi di Von Baer è un principio capitale per comprendere come si generano le specie viventi: un gruppo, quando prende una strada non può tornare indietro, cioè, ad esempio, una volta imboccata la strada dei vertebrati non possono generarsi o evolversi o prodursi invertebrati e lo stesso vale per tutte le ramificazioni tassonomiche, un essere specializzato non può generare mai un altro essere specializzato: un rettile non può generare un mammifero, ne un uccello; una mucca non potrà mai generare una balena, ne un elefante un cavallo, ne una scimmia un uomo. Evidentemente un organismo specializzato non solo non ne potrà generarne un altro specializzato ma neppure uno non specializzato[17]: in pratica gli esseri hanno l’opportunità di distinguersi e separarsi solo quando non hanno ancora imboccato alcuna strada, quando si trovano al bivio, cioè quando sono ancora non specializzati. In questa prospettiva, dato che attorno a noi osserviamo solo esseri specializzati, possiamo ipotizzare che allo stato attuale l’evoluzione o metamorfosi o speciazione si sia arrestata e che ormai non possano più nascere nuove specie, che la Natura abbia già fatto tutte le sue scelte possibili: gli organismi che osserviamo oggi sono il frutto di quelle scelte, l’evoluzione fisica ha raggiunto il suo limite e confine: probabilmente le specie possono solo estinguersi allo stato attuale o al massimo retrocedere involutivamente. Fatto sta che da quando l’Uomo ha memoria del suo stare al mondo, quindi dall’invenzione della scrittura, non ci è mai giunta alcuna testimonianza della nascita di una nuova specie ma solo di estinzioni e scomparse. Certo sono state scoperte nuove specie specializzate ma nessuno ha mai filmato o testimoniato il momento in cui un essere genera un essere diverso. Quindi, con i dati a nostra disposizione, ed interpretandoli o cercando di farlo in maniera spregiudicata, la conclusione più logica mi sembra proprio quella prospettata. L’evoluzione si è arrestata, non nasceranno nuove specie, al massimo varietà di specie esistenti ma non specie nuove.
A supporto di questo ci vengono, ancora una volta, in aiuto, i dati della biologia molecolare e della genetica: sembra che sulla linea umana non avvengano più mutazioni neutrali nel DNA mitocondriale[18], tutto è fermo, nell’uomo l’evoluzione fisica della natura animale raggiunge la sua fine e il suo compimento. Tra l’altro questa è anche l’opinione di illustri esperti, secondo i quali la varietà attuale di specie viventi non è per nulla superiore a quella del passato, anzi è equivalente se non inferiore rispetto alle specie estinte. Infatti i dati fossili disponibili mostrano che l’ultima esplosione di taxa[19] risale essenzialmente a 50 maf, con l’esplosione dei Mammiferi e degli Uccelli, con la comparsa di molti Ordini oggi estinti. Secondo James Brough la differenziazione sarebbe dapprima incentrata sui livelli più generali (i Phyla, praticamente quasi gli stessi a partire dalla prima esplosione, quella del Cambriano, circa 600 maf) e via via su quelli meno generali fino alle specie; quindi la differenziazione si sarebbe gradatamente ristretta e per il suo prosieguo così si esprime: «Quanto al futuro, l’Evoluzione potrà continuare operando in campi sempre più ristretti, fino a quando essa stessa non cesserà del tutto» [20]. Dello stesso avviso Henri Decugis nel 1941: «La Paleontologia ci ha insegnato nel modo più chiaro che la vita animale e vegetale è, già da lungo tempo, in forte regressione, almeno quantitativamente…. Le specie scomparse sono infinitamente più numerose di quelle ancora viventi. Noi sappiamo, per giunta, che verso la fine, molte di queste ultime si sono evolute in senso contrario al progresso organico e sono già più o meno degradate» e oltre «Inoltre…..la durata delle specie animali vertebrate è molto più breve di quella delle specie meno evolute da cui sono derivate. I tipi più perfezionati sono singolarmente più esposti alla degenerazione e all’estinzione. La fragilità dei tipi superiori è il riscatto della loro elevazione nella scala degli esseri viventi» e ancora: «Una delle certezze più deludenti della biologia contemporanea è che un numero immenso di specie vegetali ed animali, lungi dal progredire in organizzazione, sono in piena regressione…» [21]. E la stessa cosa viene notata da paleontologi del calibro di J. Piveteau, Raymond C. Moore e Alfred S. Romer.
Quindi la differenziazione procede dal generale al particolare, dai Phyla alle Classi, agli Ordini fino alle Specie, finché la spinta morfogenetica si esaurisce e le specie si estinguono o “regrediscono” a livelli iperspecializzati o di differenziazione organica meno perfezionata e rudimentale. Questi sono i vicoli ciechi dove la metamorfosi si arresta e non può procedere oltre: la vita delle Specie finisce con la specializzazione estrema in nicchie collaterali e con la regressione organica, in estrema sintesi con l’invecchiamento. L’Uomo tra tutti i primati, come abbiamo visto, sia dal punto di vista morfologico sia da quello molecolare è la forma più originaria, la meno specializzata, la più “embrionale”, la meno modificata per questo la più perfetta; le sue cugine ne costituiscono la forma senile, iper specializzata, regredita; pertanto la forma umana è l’unica forma che parla dell’indefinito, quindi del futuro. Addirittura l’anatomo patologo tedesco Max Westenhöfer[22] arriva a sostenere che le forme ominoidi come Australopitecus ecc, siano forme derivate dell’Uomo di tipo moderno o varietà dello stesso o varietà di un’unica specie dallo spiccato dimorfismo, tra l’altro lo stesso Richard Leakey ha sostenuto che i vari ominidi tra loro e con l’Homo Sapiens hanno un dimorfismo assimilabile a quello interrazziale moderno. Fatto sta che resti di uomini dalle fattezze moderne sono stati rinvenuti qua e là a vari livelli stratigrafici, anche molto antichi, ma ignorati dal mondo accademico perché non rispondenti ai dogmi del credo evoluzionistico che vedono nell’uomo l’ultimo anello della catena della vita. Ma a parte le dispute su un terreno così malfermo come quello della datazione delle rocce, l’Uomo attuale potrebbe anche essere l’ultimo in ordine di apparizione ma è il primo se valutato secondo il prototipo originario del vivente. Un fatto però resta ed è che le scimmie antropomorfe sono più recenti dell’Uomo, sono il ramo invecchiato dell’albero umano. Secondo i medievali tutti gli animali sono la forma invecchiata e senile dell’Uomo Cosmico; celebre, infatti, è la raffigurazione del Primo Adamo circondato dal cerchio degli animali, lo Zodiaco o in tempi più antichi di Phanes circondato dalla stesso circolo: gli antichi sapevano. Questo principio ci farà comprendere anche in quale prospettiva va inquadrato il concetto di metamorfosi.
(continua)
Note
[7] Organicità definita già sia da Hegel sia da Schelling come eccitabilità interna e finalità intrinseca e anticipata da Kant tramite il concetto di intussusceptionem, presente nell’Architettonica della Ragione Pura, allorché discute della natura della filosofia sistematica: nel Sistema del Sapere, dice Kant, l’idea guida, in cui è presente già la totalità del sistema, organizza le parti a partire dall’interno, in maniera che necessariamente è da definire organica. Tra l’altro la discussione sul finalismo della natura Kant discute ampiamente anche nella Critica del Giudizio Teleologico.
[8] Qui sembra di rivedere la dottrina della nascita dei colori dal contrasto tra luce e oscurità che Goethe propone nella sua Teoria dei colori. Concetto di ascendenza platonica (e a sua volta pitagorico) se ricordiamo che nelle Agrapha dogmata (le dottrine non scritte), Platone è presentato come colui che descrive la nascita delle idee come generata dall’unione di Mònas e Dyas, identità-diversità, unità-dualità.
[9] In realtà nell’ottica goethiana non avrebbe neppure senso usare termini che richiamino all’utilità, che esiste ma è un concetto derivato. Infatti viene prima la spinta morfogenetica che fa saltare fuori una struttura e semmai in un secondo momento questa struttura può risultare utile. Infatti, secondo Goethe non dovremmo dire che il Toro ha le corna perché gli sono utili per spingere ma chiederci il perche il Toro abbia le corna che usa per spingere.
[10] Daniele Nani, Sincronicità e dinamica della forma; Il Capitello del Sole, 2001; pg. 39.
[11] La “genetica” goethiana del Tipo non riguarda la discendenza come quella darwiniana ma riguarda la topologia morfologica e la dinamica delle metamorfosi.
[12] Idea nata nel portico dell’Università di Napoli nel 1997.
[13] Stephen Jay Gould, ibid.
[14] Ma per specie meno sviluppata dobbiamo intendere, nella prospettiva della neotenia, come spiegheremo, specie più specializzata perche spesso la specie più specializzata è meno perfezionata di quella adattata a più ambienti o condizioni. Quindi la più avanzata e perfezionata in realtà è la meno “evoluta” e trasformata. Quindi dobbiamo parlare di caratteri meno specializzati, in quanto, le specie più specializzate sono quelle dalla forma più “senile” ma per questo anche meno perfette rispetto a specie “giovanili”, quindi meno specializzate. In questa prospettiva spesso il meglio si trova alle spalle e non davanti (evidentemente non necessariamente in senso cronologico), e ciò che appare per ultimo era prima. (G. Sermonti; Il Tao della Biologia, saggio sulla comparsa dell’Uomo, ed Lindau, Torino 2007).
[15] Coenzima ossido riduttivo mitocondriale, simile all’Eme dell’Emoglobina, che entra, insieme ad altri coenzimi e proteine (Citocromi a, b, Ubichinone, Nad, Fad e Fmn, proteine Ferro-Zolfo, ecc…) nella struttura di complessi enzimatici, che fungono, grazie al concorso di varie deidrogenasi, da accettore di elettroni e trasportatore di protoni, al fine di creare il “gradiente protonico di membrana”, differenza di potenziale essenziale alla sintesi di ATP, la moneta energetica degli organismi viventi. Cfr. Principi di biochimica; A.L. Lehninger, D.L. Nelson, M.M. Cox; ed. Zanichelli.
[16] Ad ogni tripletta di nucleotidi, i mattoni del genoma, corrisponde un amminoacido, tanti amminoacidi formano le proteine, che formano le molecole fondamentali della vita, assemblate nei Ribosomi a partire dal “trascritto primario” maturo (mRNA), grazie ad un acido nucleico specifico a forma di trifoglio, l’RNA transfer. Di solito il nucleotide in terza posizione sulle triplette del DNA, può anche essere differente senza compromettere la traduzione dell’amminoacido corrispondente, quindi la sua mutazione non viene presa in considerazione dai meccanismi di correzione sempre attivi nella cellula. Tuttavia non tutte le mutazioni sono di questo tipo, a volte si verifica una vera sostituzione, che comunque non altera il funzionamento della proteina e pertanto è sempre una mutazione neutrale. Cfr. Biologia molecolare del gene; J.D. Watson, T.A. Baker, S.P. Bell, A. Gann, M. Levine, R. Losick; ed Zanichelli.
[17] Anche il fenomeno della Pedomorfosi andrebbe visto, in tal senso, non in una prospettiva cronologica ma in senso tipologico ed archetipico. In effetti anche S.J.Gould, ci sembra, a tratti guardare a questo fenomeno come ad un principio euristico: interpretare il “ritardo” non cronologicamente ma tipologicamente.
[18] Alan Templeton e Morris Goodman; cit. in G.Sermonti; Il Tao della Biologia…, ed. Lindau, pag. 98
[19] Il taxon è genericamente una unità tassonomica che può andare dalla specie al phylum, per specificare di quale taxon si tratta si ricorre al nome specifico.
[20] Riportato in G.Sermonti, R. Fondi, Dopo Darwin, Rusconi, pg. 209.
[21] H.Decugis, Le veillissement du monde vivant, pg. 2, 33-34; In G.Sermonti, R. Fondi, Dopo Darwin, Rusconi, pg 214.
[22] Westenhöfer si spinge ancora oltre, dichiarando, dati del Dna mitocondriale alla mano, che l’Uomo si il più antico di tutti i Mammiferi. In effetti molte testimonianze di antichità variabile sono state rinvenute qua e là, ma su di essi è calato il più tombale dei silenzi. Se si rivelassero veri, questi rinvenimenti rivoluzionerebbero non solo la Biologia, ma anche la Storia umana. Come del resto già stanno facendo i ritrovamenti di civiltà avanzare in piena Età della Pietra. Ad esempio il recente ritrovamento della città cultuale di Gobekli Tepe in Turchia.