Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il senso della continuità storica nell'era Putin

Il senso della continuità storica nell'era Putin

di Luca Siniscalco - 14/07/2015

Fonte: news.russia.it

«Chi vuole restaurare il comunismo è senza cervello. Chi non lo rimpiange è senza cuore» (Vladimir Putin).  Su questa celebre frase pronunciata dal Presidente della Federazione Russa, inserita da Emmanuel Carrère quale incipit del proprio romanzo biografico Limonov, si sono scatenati ampi dibattiti, talvolta faziosi e tendenziosi, volti a individuare la precisa posizione del politico russo in merito alla controversa eredità sovietica. In questa concisa riflessione vorremmo tuttavia superare le analisi politiche contingenti o le considerazioni storiografiche per rilevare, in nuce alla presente affermazione, una possibile chiave metodologica d'interpretazione della tradizione storica.

 

 

 

 In questo senso, l'importanza dell'osservazione di Putin oltrepassa il dibattito sul comunismo russo per indurci  a riflettere sulla rilevanza e il fascino di una visione della storia che sia capace di sintesi, di critica onesta ma equilibrata e, insieme, di consapevolezza destinale del portato del proprio passato.

Assumere su di sé l'eredità storica, al di là di ogni celebrazione ideologica o puerile vergogna, rappresenta un atto politico – a livello comunitario – ed esistenziale – a livello individuale – di grande portata. Significa infatti farsi carico delle proprie radici senza mitizzarle artificiosamente, eppure integrandole nello sviluppo processuale della comunità di appartenenza, il cui stesso esito e la cui stessa identità scaturiscono proprio da tale percorso.

Se la restaurazione è un gesto imbelle e fallimentare, destinato a degenerare in sterile conservatorismo, e il progressismo a oltranza, dimentico di ogni vincolo con il passato, annienta ogni legame con la tradizione comunitaria in cui ha luogo la genesi della persona – nonché della dimensione immaginale e archetipica a cui questa genesi si ispira –, un'altra via risulta possibile. É appunto la strada tracciata da una consapevolezza sintetica della storia, che è luogo di conflitto – l'eracliteopolemos – ma anche di costituzione di senso e di manifestazione del destino.

Se il realismo politico impone di tenere lo sguardo fermo verso il futuro, è proprio la medesima postura a invitare a trarre lezione dal passato, evitando gli atteggiamenti inquisitori e imparando a valorizzare le linee guida che costituiscono in modo positivo l'identità nazionale o federale. É difatti questa l'unica via che può rendere possibile quelle pacificazioni nazionali grazie a cui le lacerazioni del passato possono reintegrarsi nella coscienza del presente.Curare le ferite storiche è dunque un atto terapeutico di responsabilità politica. Lo chiarisce limpidamente Alfonso Piscitelli, che in un articolo apparso su Politicamentea commento di alcuni discorsi di Putin (anno IX, n. 91 – marzo 2014) rileva: «Al passato non si ritorna e i fantasmi del passato devono essere dissolti, ma il quarto comandamento dice: “Onora il padre e la madre”; pertanto tutti coloro che in buona fede, con volontà costruttiva, di epoca in epoca hanno operato per rendere grande la nostra storia devono essere onorati. Alla concezione progressista che dissolve il passato nell’acido della critica, alla concezione reazionaria che vorrebbe cristallizzare il tempo storico in una sorta di museo, si sostituisce una visione del mondo che sintetizza modernità e tradizione; come dire: l’icona della Madonna di Vladimir & i progetti spaziali dell’agenzia Roscosmos».

Fra amor fati e sintesi storica è racchiusa pure la lettura di Alexander Dugin, filosofo e politologo russo, che ha affermato in un saggio: «Nella nostra storia abbiamo conosciuto dei periodi che, da un punto di vista razionale, sembrano contraddirsi completamente: la Russia del regno moscovita, dal XV al XVII secolo, l'impero di Pietro il Grande e dei suoi successori, la rivoluzione zarista e ortodossa, la Russia comunista e atea. Ma vedere nella nostra storia delle rotture significa avere uno sguardo superficiale. Esaminando le cose più attentamente, si constata presto che quella che sembrava in superficie una rottura manifestava in effetti, in profondità, una grande continuità» (A. de Benoist, A. Dugin, Eurasia, Vladimir Putin e la grande politica, Controcorrente, Napoli 2014, p. 68).

La storia della Russia è storia imperiale, connotata secondo una coscienza destinale e, a tratti, persino escatologica. Assumere questa identità, senza piombare in ridicole parodie, potrebbe insegnare molto, anche ai non russi. Superare tanti schemi interpretativi usurati, che su un piano politico servono solo a conservare uno status quo di appartenenze neotribali, e su un piano culturale limitano la crescita comune, è compito presente e futuro irrefutabile.

Così il rilancio dell'educazione patriottica, il tentativo di veicolare una visione conflittuale ma sempre tragica e grande dell'eredità storica, onorando il “tipo russo”, al di là degli schieramenti contingenti, così come l'introduzione di un “manuale unico” di storia nelle scuole, non devono  essere letti soltanto quali strumenti di propaganda dell'amministrazione putiniana, ma possono racchiudere intuizioni importanti in vista dell'edificazione di un codice culturale d'appartenenza condiviso.