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La delegittimazione dell’insegnante

di Matteo Volpe - 29/07/2015

Fonte: L'intellettuale dissidente


La figura dell’insegnante scolastico ha perduto l’autorevolezza di cui godeva in passato, eppure è stata sovraccaricata di responsabilità per costituire un facile capro espiatorio. Impotenti, gli insegnanti oggi si trovano schiacciati dall’indirizzo aziendalista e dall’ossessione meritocratica.

  

In un’altra epoca storica la figura del docente occupava una posizione preminente nella società italiana, in particolare nelle piccole comunità urbane. Accanto al parroco e al sindaco quella dell’insegnante scolastico era una figura rispettata, in una scuola ancora troppo legata alla tradizione gentiliana. Con la democratizzazione e l’accesso delle masse all’istruzione la figura dell’insegnante ha via via perso di dignità. Non è riuscita a stare al passo con i mutamenti sociali e con la crescita economica: da un lato essa rimaneva ancorata alla concezione piccolo-borghese paesana, dall’altro subiva il tentativo politico di stravolgerla, di renderla funzionale a un progetto innovatore, ma privo di coerenza e lucidità; il ruolo dell’insegnante è così uscito devastato dalla lunga serie di riforme susseguitesi. Accusati (ingiustamente) di essere una categoria privilegiata, gli insegnanti pagano ora lo scotto del dilettantismo pedagogico dei tanti “riformatori” che ne hanno determinato i destini. La figura del docente non solo ha perduto quell’aura di rispetto e il riconoscimento sociale che le era tributato, ma non è riuscita ad acquisire un’immagine di professionalità che le viene costantemente negata non soltanto in ambito sociale, ma anche in sede politica, da parte di quegli stessi paladini della “buona scuola” che dovrebbero migliorare l’istruzione italiana.

Il senso della centralità dell’insegnante è stato ironicamente ribaltato. Cacciato dal piedistallo sul quale era eretto, è stato fatto salire agli onori della gogna politica e mediatica; facile capro espiatorio di tutti i mali del sistema educativo, la foga riformatrice di politici “rottamatori” e di folli pedagogisti si è concentrata quasi esclusivamente su questa figura. Incapaci di comprendere le origini sistemiche del disastro educativo concretizzatosi dagli anni ’90, si è voluto fare dell’insegnante l’incarnazione dei dissesti sociali, politici, culturali e persino del disagio generazionale.

La scuola è stata caricata di eccessive e sproporzionate responsabilità. Si è preteso da essa la risoluzione delle questioni sociali che altre istituzioni non hanno mai risolto. Un pedagogismo retorico diffuso ha inteso concentrare l’educazione non solo cognitiva, ma anche psicologica e morale, entro le mura scolastiche. E ancora una volta, dopo essere stato oltraggiato e delegittimato, l’insegnante si è ritrovato con le spalle cariche delle incombenze sempre più numerose che la società, lavandosi scrupolosamente la coscienza, gli imponeva, ma questa volta dovendo subire la privazione di qualsiasi autorevolezza. All’insegnante si richiede non soltanto di dover insegnare una certa disciplina (compito in sé non facile) ma in aggiunta di dover “comprendere” ed eventualmente risolvere i problemi generazionali di adolescenti alienati, affrontare (in completa solitudine, ovviamente) il disagio delle periferie, gestire le attività extrascolastiche, introdurre e preparare gli allievi al mondo lavorativo o all’università. Non esiste alcun chiarezza su quale sia la funzione assegnata al docente, essa appare confusa tra il ruolo formale della trasmissione per così dire “meccanica” delle conoscenze e gli infiniti ruoli informali assegnatigli dalla società. E tuttavia tutti sono concordi nel puntare il dito su questa figura e nel renderla la causa di problemi più grandi. Non c’è nessun tentativo di fornire agli insegnanti gli strumenti, culturali, professionali e materiali, per far fronte a questa marea indistinta di compiti informali. Vi è soltanto un intento punitivo, che lo sottopone all’arbitrio del dirigente di turno e al caos delle valutazioni.

L’aziendalizzazione della scuola ha costretto i docenti tra due fuochi; da un lato i poteri dittatoriali dei presidi, trasformati in manager di imprese private, dall’altro le ire dei genitori, sollevati dalla possibilità di scaricare le proprie inettitudini sulla scuola. I docenti subiscono per di più le mode meritocratiche del momento, che pretendono di contabilizzare la trasmissione del sapere, assegnando premi e castighi sulla base di quanto si riesca a essere seducenti – ovvero attrarre i capitali privati che dovranno sostituire i sempre più ridotti investimenti pubblici.

La scuola in realtà ha perso qualsiasi funzione educativa, sebbene ipocritamente si dica di porre quest’ultima come priorità assoluta,  ridotta a una succursale della formazione professionale e del mercato del lavoro. In tutto questo l’insegnante è sempre più impotente e l’unico ruolo effettivo che sembra possa pienamente svolgere sia quello di assurgere a capro espiatorio collettivo.