Mindfulness, una terapia per la postmodernità?
di Michele Orsini - 25/08/2015
Fonte: Opinione pubblica
Da un articolo pubblicato sul numero di luglio di ‘The Lancet’, prestigiosa rivista medica inglese, la pratica definita ‘mindfulness’ ha ricevuto un’ennesima conferma del suo valore terapeutico: lo studio che vi è descritto ha rilevato come i pazienti depressi sottoposti a MBCT, ‘Mindfulness based Cognitive therapy’, un particolare percorso che integra la mindfulness con interventi di psicoterapia cognitivo-comportamentale, presentino recidive inferiori a coloro che assumono antidepressivi.
I benefici dimostrati da studi scientifici negli ultimi decenni appaiono ubiquitari: vanno dalla salute psicologica e fisica al miglioramento di svariate prestazioni, tutto ciò senza controindicazioni. La parole ‘mindfulness’ e ‘mindful’ vengono usate spesso in italiano non tradotte, per indicare rispettivamente una tecnica e lo stato mentale che essa serve a raggiungere, le traduzioni più comuni sono “meditazione” e “consapevole”. L’uso sinonimico di mindfulness e meditazione ci sembra discutibile, perché sebbene ci possano essere somiglianze da un punto di vista operativo, la prima si fa allo scopo di migliorare salute e benessere, l’altra cercando un contatto col divino: è un fatto religioso.
Inoltre si dovrebbe parlare di meditazioni al plurale, perché ne esistono varie forme, collegate a diverse tradizioni religiose, anche occidentali. La definizione di mindfulness che ormai si può definire classica, anche se risale a solo una ventina d’anni fa, è dello scienziato statunitense Jon Kabat-Zinn: “porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante”.
Kabat-Zinn, considerato il padre della mindfulness, non è un medico (anche se ha ricevuto la laurea ad honorem in medicina) né uno psicologo, bensì un biologo molecolare, che dagli anni ’60 ha cominciato ad interessarsi alle pratiche meditative tipiche delle religioni orientali, applicandole poi dapprima al sostegno terapeutico dei malati terminali e dei sofferenti di dolore cronico, poi sviluppando una terapia più generica contro lo stress psicologico denominata MBSR (‘Mindfulenss based Stress Reduction’).
Gli psicoterapeuti cognitivisti Zindel Segal, Mark Williams e John Teasdale, tutti allievi di Kabat-Zinn, che hanno il merito di aver svilppato la succitata MBCT, sono autori di ‘Mindfulness: Al di là del pensiero, attraverso il pensiero’, uscito nella versione italiana per Bollati Boringhieri. Nell’opera spiegano che ciò che cura è il “distanziamento attraverso la consapevolezza non discorsiva da ciò che crediamo reale”: la mente tende a lasciarsi invadere da pensieri inutili, se non addirittura dannosi poiché negativi, ossessivi, ansiosi, recriminatori e così via. La psicoterapia cognitivista ha sviluppato metodi che permettono di migliorare il proprio benessere trovando le falle logiche e mettendo in discussione tali pensieri, poi ha compreso che ha ancora più efficacia distanziarsi da quell’incessante discorso interno. Stiamo parlando di una capacità che può essere allenata, come qualsiasi altra.
Già nel 1975 lo psicologo ungherese Mihaly Csikszentmihalyi aveva elaborato la sua teoria del flusso di coscienza, secondo la quale un individuo che si trova in un alto grado di concentrazione può, in determinate circostanze favorevoli, provare uno ‘stato di flusso’, che egli definì ‘esperienza ottimale’, poiché caratterizzata allo stesso tempo da un picco di prestazione, da un vissuto soggettivo di estrema gratificazione e da benefici psicologici persistenti. Egli fece l’esempio dei samurai, che lontano dal campo di battaglia si cimentavano con la stessa concentrazione nella cerimonia del tè: ciò che conta non è il compito, ma la percezione soggettiva di chi lo compie, per il quale non dev’essere né troppo facile né difficile, con le parole dell’autore, è necessario “un bilanciamento tra sfida e capacità”.
Si può entrare in un simile stato di grazia soltanto impegnandosi con passione in un’attività nella quale si sia già esperti e allenati, inoltre va evitato ogni tipo di pensiero negativo e/o di preoccupazione: serve essere concentrati al meglio sul gesto da compiere, eppure del tutto rilassati.
L’esperienza di flusso è stata riscontrata durante lo svolgimento di attività di vario tipo: religiose, artistiche, sociali, sessuali, professionali e sportive; in quest’ultimo caso si ha la “trance agonistica”. Csikszentmihalyi riteneva che gli uomimi religiosi di diverse confessioni che per millenni, nel tentativo di superare la dualità tra mente e corpo, ritenendo questo passaggio centrale nella crescita spirituale, avevano sviluppato una serie di tecniche, tra le quali si potevano annoverare anche le meditazioni. avevano sempre applicato concetti simili a quello di flusso.
La buona notizia è che pur senza raggiungere lo stato di flusso, impegnandoci in queste pratiche possiamo avere grandi benefici, anche solo “abbassando il volume della radio” che abbiamo nella testa, meglio se qualche volta riusciamo a spegnerla per un po’…anche solo qualche secondo è un toccasana!
Esiste un aspetto che merita però cautela: il grande interesse che la mindfulness suscita attira anche persone che intuiscono un facile guadagno, allora si tengono corsi costosissimi, magari con insegnanti senza alcuna referenza. Qualcosa di simile, anzi addirittura peggiore, era già accaduto negli anni ’70, nel periodo della mai abbastanza condannata ‘new age’, quando una serie di loschi personaggi si era autoproclamata ‘guru’ e prometteva di insegnare a meditare gli occidentali, spesso facendosi pagare spropositi: comportamento due volte maligno, poiché si truffano persone che hanno la sola colpa di fidarsi, ma si può anche infangare il nome di conoscenze grazie alle quali si può fare tanto del bene.
La differenza è che ora la mindfulness ha l’avallo della scienza e anche per questo il fenomeno è molto più grande: ormai più di 30 milioni di occidentali affermano di praticarla su base regolare. Invece se un occidentale dice che medita è probabile che non sia un cristiano praticante, ma in realtà non ci sarebbe contraddizione: il cristianesimo, soprattutto nelle sue versioni occidentali, è forse la religione più intellettualizzata, che s’interessa molto ai precetti morali e meno alle applicazioni operative, ma anche i mistici cristiani, sul messaggio dei quali le gerarchie ecclesiastiche tendono a mantenere un atteggiamento ambiguo, avevano le loro tecniche spirituali, una molto simile alla meditazione era quella “orazione in quiete” tanto cara a Santa Teresa d’Avila.
Non si deve intendere perciò la meditazione come qualcosa di orientale, in molte sue varianti essa difatti prevede una profonda attenzione a se stessi, ai propri movimenti, reazioni viscerali, emozioni, pensieri e così via, tanto che in sintesi si potrebbe definire il metodo con la prescrizione che è considerata alla base della filosofia e della spiritualità occidentali: “conosci te stesso”.