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Il rifugio sardo di Ernst Jünger. Un'oasi arcaica fra le ciminiere

di Luisa Bonesio - 25/08/2015

Fonte: Corriere della Sera

Mattanza dei tonni Rispetto per gli animali sacrificati e insieme partecipazione vitale a una ritualità antica

 

L a Sardegna rappresentò nella lunga e avventurosa vita di Ernst Jünger un approdo felice ed elettivo, soprattutto negli anni seguenti alla conclusione della Seconda guerra mondiale. Dal 1954 al 1978 il pensatore tedesco vi fece periodicamente ritorno, scoprendovi una dimensione complessa e concentrata del paesaggio terrestre di cui è stato un appassionato interprete. Quando nel 1957 si reca sull?isola di San Pietro, il luogo gli appare nella sua espressività atemporale, non ancora toccato dal boom economico che di lì a poco avrebbe cominciato a cancellare e involgarire le molteplici bellezze e le sopravviventi tradizioni locali. L?atmosfera del suo diario di viaggio edito da Lupetti e intitolato San Pietro (1957) ? uno dei molti che Jünger avrebbe stilato a seguito delle sue numerose peregrinazioni per il mondo ? appare come magicamente sospesa, quasi che la tragica conclusione del conflitto cui l?autore aveva partecipato con sofferta lucidità, come uno dei precoci e rari testimoni delle atrocità che si perpetrarono, appartenesse a un?altra era geologica.La scrittura diaristica, la registrazione acuta e puntuale dei contesti sociali, degli incontri personali, del paesaggio che potrebbero apparire superficialmente come un divertissement e una «vacanza» rispetto ai testi di maggior impegno filosofico ( L?operaio , Oltre la linea , Il trattato del ribelle ), in realtà appare sempre sorretta e intessuta dall?inconfondibile sguardo fisiognomico che Jünger ha, in molteplici declinazioni, esercitato sull?epoca presente del mondo.Non esiste un solo momento in cui questa connaturata tensione interpretativa venga meno, pur senza mai sacrificare nella sua verticalità (la presunta «indifferenza» jüngeriana, accusa ripetuta come un mantra da troppi lettori distratti o mancati) una partecipe condivisione della vita, delle vicende umane, dei rituali sociali e delle idiosincrasie della piccola comunità di cui è ospite: fino a generare una «fedeltà in mente» che legherà a distanza di molto tempo la comunità di San Pietro e il pensatore tedesco in una comunanza di ricordi, stima e sentimenti. Lo sguardo stereoscopico, che la scrittura restituisce con impareggiabile nitore di stile, legge con uguale partecipazione e capacità di comprensione, intendendone il comune sfondo epocale, le espressioni della geologia, della natura vivente, della storia, dell?umano. La narrazione della mattanza dei tonni, smagliante esempio di penetrazione fisiognomica, nella sua affilata nitidezza non manca di esprimere la pietas e il rispetto profondo per gli animali sacrificati, e insieme la partecipazione vitale a una ritualità arcaica, dotata di ritmo, musicalità e tragica bellezza, in uno sguardo che ne registra la residuale sopravvivenza nell?orizzonte di un mondo ormai ineluttabilmente disanimato, dove non c?è atomo di vita che non sia sottomesso alla logica dell?industrializzazione: «Le due barche più lunghe furono sciolte dagli ormeggi. In esse era raccolto il bottino, argenteo e blu mare, eppure già irrigidito, già sola carne, dalla quale si era ritratta la parola. Il magnifico sciame era fuggito ora negli eterni terreni di caccia, lontano, nelle vaste acque dove abita invulnerabile. Le sue spoglie venivano invece condotte alla mattanza di terra, alla fabbrica dell?isola Piana, sulle cui ciminiere il fumo sventolava in tetre bandiere».Isola nell?isola, San Pietro appare come un potente simbolo di quella Heimat di cui Jünger andò in cerca e che teorizzò tutta la vita: luogo spirituale, prima ancora che geografico, in cui trovare la quiete del rifugio intemporale, l?accesso alle perdute scaturigini dell?essere in un?epoca di mobilitazione totale della tecnica, di uniformazione globale del mondo, di disanimazione mortifera nella logica da cantiere e da officina del mondo unidimensionale del lavoratore. Isola come Wildnis, terra selvatica dove «colui che passa al bosco» ( Waldgänger ) ritrova la propria inalienabile dimensione di libertà; Heimat rimasta ancora per qualche tempo nella sua minerale e incantata arcaicità, dove un?esistenza insulare ? singolare ? appare ancora possibile in tutta la sua concentrazione simbolica e ontologica, in cui «la vita acquista un tratto più forte, ma meno libero» e «lo spirito avverte lo splendore e lo spavento della perfezione terrestre».Una tale concentrazione vitale e spirituale non può essere certo l?attitudine del turista onnivoro, intento solo alla realizzazione del suo bottino fotografico, intrappolato nella medesima logica lavorativa e produttiva dalla quale s?illude di fuggire. Piuttosto, ogni vero viaggio dovrebbe procedere dall?apertura di sguardo e dalla disposizione a un pellegrinaggio: cogliere, con l?occhio interiore, un sacrario della terra, lasciarsi sorprendere dal mistero, dalla profondità incommensurabile delle forme della vita, riconoscendosi in una comune appartenenza: «Il viaggio come ricerca di punti di vista può avere un senso solo se questi punti sono diretti verso qualcosa d?altro che il paesaggio. Altrimenti è come perlustrare una casa ormai disabitata o ammirare le decorazioni create dal caso». Così, anche il soggiorno nella piccola comunità carlofortina, la partecipazione alla sua vita, il rinsaldarsi delle amicizie e lo sguardo sempre intento alla dimensione segreta degli spettacoli della natura appartengono alla medesima attitudine, in cui la nitidezza della conoscenza non è disgiunta dall?empatia profonda verso ogni manifestazione di vita che si riconosce in un comune destino.Che questo prezioso volumetto sia stato voluto e realizzato dopo tanti anni dall?Associazione culturale che porta il nome dell?insetto che Jünger, appassionato entomologo, andò invano cercando sull?isola (la Cicindela campestris saphyrina ), in onore e in memoria dell?illustre ospite, è testimonianza di un?amicizia e di un?affinità perduranti a distanza di tanto tempo.