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Il Fascismo, Giuseppe Bottai e il corporativismo

di Antonio Martino - 07/09/2015

Fonte: L'intellettuale dissidente


Riscoprire il Corporativismo significa sollevare dall'oblio il tentativo tutto italiano di superare Marx e Smith ponendo l'Uomo al centro del processo economico. Il libro di Francesco Carlesi offre un valido aiuto a rompere il silenzio sul tema
  

La damnatio memoriae che ha colpito il Fascismo fin dal 1945 ha comportato la progressiva scomparsa dei documenti principali su cui studiare il Ventennio e le sue gesta. Specie per quanto riguarda la cultura e l’ideologia, ci si è per lungo tempo affidati alla facile riduzione illogica secondo cui il movimento mussoliniano non poteva, per definizione, aver avuto una classe intellettuale capace di lasciare una visione originale e critica della società e dell’economia.

Non possiamo dunque non salutare con favore l’ultimo lavoro editoriale di Francesco Carlesi, Rivoluzione Sociale. Critica Fascista e il Corporativismo, uscito per i tipi di AGA Editrice. L’opera (composta di 368 pagine) squarcia il velo dell’oblio recuperando, con grande attenzione storiografica ed energico rigore scientifico, uno dei più interessanti laboratori culturali del Regime, Critica Fascista, rivista fondata e diretta da Giuseppe Bottai, la “mente migliore del Fascismo” nel 1923. 
Carlesi si getta a capofitto nei numeri originali riuscendo a recuperare le polemiche e le battaglie editoriali che animarono il quindicinale, fondate tutte sull’elaborazione della teoria Corporativa e sull’assetto socio-economico che la nuova Italia del littorio avrebbe dovuto avere. I quattro capitoli, in ordine cronologico, segnano le tappe della costruzione corporativa e della progressiva affermazione della società fascista.
La terza via mussoliniana pone al centro dello scontro Capitale-Lavoro la collaborazione, principio che permette il superamento della dialettica tradizionale a favore dell’armonia e dello sviluppo delle classi e della Nazione. Lo Stato diviene l’arbitro del processo economico, eliminando al contempo le storture tipiche del liberismo capitalista e le degenerazioni del collettivismo sovietico.
Lungo tutta l’opera è possibile rileggere le ragioni delle varie anime dell’intellettualità in camicia nera: particolare attenzione meritano gli ultimi due capitoli, dedicati al periodo dell’Impero e della guerra mondiale, in cui si delinea il pensiero più maturo e allo stesso tempo più rivoluzionario dell’intero cursus corporativo. Il “tempo terzo” del Fascismo coincide con l’attacco alla borghesia, al completamento dello Stato Totalitario, alle infami leggi razziali.
I redattori, elettrizzati dal direttore Bottai, alzano sempre più il tiro contro l’intera struttura capitalistica, destinata a scomparire con la vittoria dell’idea corporativa. Il cosiddetto “fascismo di sinistra” prefigura il trionfo del sangue contro l’oro e la nascita della nuova Civiltà del Lavoro, più vicina paradossalmente a Mosca che alla vecchia Europa di Londra e Parigi.
La Storia, come sappiamo, non ha permesso la realizzazione dell’ardito progetto. Nonostante tutto, però, rimane il tentativo tutto Italiano di conciliare Progresso e Civiltà, Economia e Umanità, nelle migliori tradizioni di Roma e dell’Impero.

Carlesi assolve egregiamente al compito di guida al lettore lungo tutto il percorso dell’opera, completando il libro con un gustoso lavoro di ricostruzione dell’interesse americano, all’epoca del New Deal, per le originali tesi di Bottai e della sua “nidiata”. Idee che, ancora oggi, lanciano arditamente la sfida ai dogmi del liberismo e del capitalismo finanziario, ritornato, dopo il trentennio keynesiano, al tempo vile di Adam Smith.