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Gender e ideologia

di Marco Grimaldi - 28/09/2015

Fonte: leparoleelecose


Il termine ideologia ha diversi significati. C’è un’accezione filosofica (“l’analisi dei fatti di coscienza che non implica lo studio dell’anima”), c’è quella marxista (“l’insieme delle credenze religiose, filosofiche, politiche e morali proprie di una determinata classe sociale”) e c’è quella sociologica (“il complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori che orientano un determinato gruppo sociale”). Quest’ultima definizione coincide con l’accezione propria del linguaggio corrente: “il complesso dei presupposti teorici e dei fini ideali di un partito, di un movimento politico, sociale, religioso”. Il buon senso vorrebbe quindi che chiunque discuta di ideologia lo facesse tenendo presente almeno una di queste accezioni. Non mi pare che sia andata così nel dibattito attuale sull’ideologia gender.

Provo a riassumere la questione. Negli ultimi anni alcuni organismi italiani ed europei hanno diffuso a uso delle scuole dei documenti sull’educazione alla parità dei sessi, sul rispetto della diversità sessuale e delle differenze di genere. Un esempio è Educare alla diversità a scuola, realizzato nel 2013 dall’Istituto A.T. Beck su mandato dell’UNAR, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, e distribuito in più versioni nelle scuole primarie, secondarie e superiori. Ci sono state quindi varie proteste da parte delle associazioni cattoliche e perfino papa Francesco e il cardinale Bagnasco si sono pronunciati contro l’introduzione dell’ideologia gender nelle scuole, dove per gender si intende la rappresentazione socio-culturale dell’identità maschile e femminile distinta dal sesso biologico (maschio, femmina). La contro-replica pressoché unanime dei sostenitori dell’educazione alla differenza di genere è stata, a mio avviso, parecchio singolare (vedi almeno qui, qui, e ancora qui). Quasi tutti hanno in primo luogo ritenuto necessario spiegare che non esiste una ideologia gender e che la reazione del mondo cattolico non avrebbe ragione di essere (Michela Marzano, su Repubblica, ha più sottilmente notato come non ci sia «una, e una sola, “ideologia gender” ma un insieme eterogeneo di posizioni»; è vero, ma ciò che unifica questo insieme è la distinzione concettuale tra sesso e genere). È quindi un tema sensibile, come dimostra il fatto che il 16 settembre 2015 il ministro dell’istruzione Stefania Giannini ha disposto l’invio ai presidi di una circolare per precisare che la legge La Buona Scuola non introduce la teoria del gender nelle scuole italiane.

Non è mia intenzione prendere parte al dibattito sul gender. Ma che oggi esista una ideologia gender, secondo l’accezione sociologica o secondo quella del linguaggio corrente, mi sembra innegabile. Per dimostrarlo, prendo in esame due testi molto diversi tra loro: un saggio scientifico e un pamphlet, scritti rispettivamente da un medico e da un filosofo. Cominciamo da Il matrimonio omosessuale è contro natura. Falso! (Laterza, 2015) di Nicla Vassallo, professoressa ordinaria di Filosofia teoretica all’Università di Genova. Vassallo distingue chiaramente tra sesso e genere:

poiché il sesso è una categoria biologica, mentre il genere è una categoria socioculturale, dissimile dalla prima, si commette un errore grossolano facendo coincidere la femmina con la donna e il maschio con l’uomo (e viceversa): errore, peraltro, non privo di conseguenze, giacché si negano, in questo modo identità, personalità, singolarità a ogni donna e a ogni uomo, fissando le caratteristiche dell’unica femmina/donna e dell’unico maschio/uomo, che i più riescono a immaginare o fantasticare, nella beata illusione di evitare il carattere contingente dell’appartenenza di genere e di catturare un’essenza femminile e un’essenza maschile atte a sottolineare la complementarità uomo/donna: con l’uomo attivo, culturale, mascolino, oggettivo, razionale da un lato, e la donna passiva, naturale, femminea, soggettiva, irrazionale dall’altro. (p. 23)

Leggendo questo passo credo non ci possano essere dubbi sull’esistenza effettiva di una teoria del gender che distingue con chiarezza il sesso come categoria biologica dal genere come categoria socio-culturale. Allo stesso modo, non mi pare ci sia bisogno di dimostrare la vocazione pratica e politica del pamphlet, il cui titolo è peraltro particolarmente eloquente; Vassallo scrive per modificare la realtà, per creare e orientare un movimento di opinione che possa intervenire direttamente sulle decisioni politiche e legislative. Cito solo passaggio della Premessa:

[…] per scardinare i tanti pregiudizi sul matrimonio same-sex basta partire dalla necessità di eguaglianza (intesa come assenza di discriminazioni) e di equità (intesa come giusta distribuzione di benefici e responsabilità) tra gli esseri umani. Questo sarà il mio modo di procedere. Ma non è l’unico: considero valida anche l’opzione di sostenere la causa del matrimonio same-sex per il bene della nostra società, in quanto esso favorisce e promuove l’integrazione di persone, lesbiche e gay, a lungo ingiustamente emarginate, penalizzate, stigmatizzate. (p. XVIII)

Qui, come si vede, è del tutto evidente che il complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori di Vassallo è volto a orientare un determinato gruppo sociale. La distinzione teorica tra sesso e genere e l’idea che il genere non sia determinato dal sesso biologico è infatti posta a fondamento di una concezione plurale del matrimonio, laddove il matrimonio così come è inteso dalla Chiesa cattolica prevede invece quella complementarità tra uomo e donna basata appunto sulla distinzione biologica tra maschio e femmina (così Papa Francesco, in un discorso ai presuli di Porto Rico dell’8 giugno 2015: «La complementarità tra l’uomo e la donna, vertice della creazione divina, è oggi messa in discussione dalla cosiddetta ideologia di genere, in nome di una società più libera e più giusta»). Ed è importante che la difesa del matrimonio tra persone dello stesso sesso (“same-sex”) venga argomentata non solo sul piano del diritto e di valori come l’eguaglianza e l’equità, ma anche, e direi soprattutto, su quello della teoria gender:

In termini filosofici, il matrimonio same-sex minaccia l’istituzione codificata del matrimonio stesso, infrangendo le basi biologiche e culturali (l’appartenenza sessuale e di genere) su cui sono stati elaborati e costruiti i ruoli fondativi di femmina/donna e di maschio/uomo. (p. 97)

Se le parole hanno un peso, il gender di Vassallo è un’ideologia a tutti gli effetti.

Ancor più significativo, poiché apparentemente lontano dall’orizzonte filosofico di Nicla Vassallo, è un saggio che parla invece, innanzitutto, di biologia. S’intitola In crisi d’identità. Contro natura o contro la natura? (Mondadori Università, 2014) e lo ha scritto Gianvito Martino, un neurologo che dirige la divisione di Neuroscienze dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano, membro di importanti associazioni scientifiche internazionali e autore di studi sulle cellule staminali del cervello. In crisi d’identità è sia un aggiornato compendio di biologia sia un saggio su alcune complesse e dibattute nozioni come identità, natura e, appunto, genere. Scrive Martino nell’Introduzione, dopo aver spiegato come negli ultimi anni siano andati in frantumi i dogmi che hanno retto la biologia per secoli:

Vedremo dunque come la cellula possa decidere di cambiare forma e funzione, e quindi identità, anche quando assume la sua forma definitiva, considerata fino a poco tempo fa immutabile e irreversibile. Vedremo che il genere, cioè l’essere maschi o femmine, sia anch’esso soggetto a mutevolezze che possono addirittura stravolgerne il senso: in natura esistono certamente sia i maschi che le femmine, ma ci sono anche organismi bisessuali, multisessuali, intersessuali, o transessuali, la cui «dubbia» identità di genere diventa essenziale per la loro stessa sopravvivenza. (p. 3)

Chiaramente, Martino prende le mosse da conoscenze scientifiche solide e aggiornate; quello che convince meno, tuttavia, sono le implicazioni da lui sottintese. Cercare di generalizzare a partire da osservazioni che riguardano altre forme di vita è un compito in genere estremamente delicato, e tanto meno solido quanto più filogeneticamente lontane sono le forme di vita considerate. Se dall’analisi della cellula si passa a osservare le due specie geneticamente più simili all’uomo, lo scimpanzé e il bonobo, si noterà infatti che esse hanno comportamenti sessuali largamente divergenti (i bonobo hanno una vita sessuale più promiscua, e il ruolo del sesso nelle relazioni sociali è per essi molto più importante). Ciò vuol dire che, a partire dall’osservazione delle specie a noi più prossime (e si consideri anche che scimpanzé e bonobo sono tra loro ancora più vicini, geneticamente, di quanto lo siano all’uomo), è molto difficile esprimere giudizi sulla sessualità umana, anzi sulla sessualità umana nel XXI secolo: che cosa si potrà allora dedurre dal comportamento delle cellule? Comunque sia, quello che più mi interessa è il fine che lo scienziato si propone e che non saprei se definire politico o sociale:

Vi racconteremo quindi di comportamenti biologici assolutamente naturali che però spesso, ahinoi, vengono bollati come ‘contro natura’ ma solo da chi è, in realtà, ‘contro la natura’ poiché alimenta congetture singolari con il fine ultimo di ingenerare uno scontro ideologico di tipo sociale più che un incontro dialogico di tipo naturale. (p. 3)

Il neurologo, come la filosofa, è pienamente implicato nell’ideologia gender: stabilisce cioè un legame profondo tra un complesso di idee e la sua traducibilità sociale e politica. Non saprei dire se gli argomenti siano complessivamente convincenti, ma non credo si possa negare l’intenzione di orientare il lettore.

Si potrebbe ovviamente obiettare che, a differenza di quanto accade con ideologie storicamente riconosciute e relativamente strutturate come quella socialista o borghese, nel caso del gender non sembrerebbe possibile individuare un gruppo sociale definito né tantomeno una classe che si faccia interprete di tale complesso di valori. Forse non esattamente un gruppo, certamente non una classe, ma un movimento direi di sì. Basta tornare a leggere Vassallo per comprendere che il movimento sociale che si riconosce nell’ideologia gender è costituito principalmente, o tende ad essere costituito nelle intenzioni degli ideologi del movimento, da tutte quelle «persone, lesbiche e gay, a lungo ingiustamente emarginate, penalizzate, stigmatizzate». Che anche degli scienziati condividano i presupposti della teoriagender è solo una ulteriore conferma dell’esistenza di un movimento sociale relativamente vasto. La cautela del mondo cattolico potrebbe quindi rivelarsi in parte legittima, dato che la scuola sembra effettivamente trovarsi al centro degli interessi della teoria gender. Infatti, «all’interno del paradigma socio-costruzionista che definisce il “genere” come quel carattere socialmente costituito e appreso dell’esperienza della maschilità e della femminilità, gli ambiti educativi sono diventati i tempi e i luoghi privilegiati di tali processi di costruzione, trasmissione e apprendimento. In altre parole, la scuola si è trasformata in uno spazio decisivo per la costruzione dell’identità di genere all’interno del processo di socializzazione secondaria» (C. Gamberi, Ripensare la relazione educativa in ottica di genere, in La differenza insegna. La didattica delle discipline in una prospettiva di genere, a cura di M.S. Sapegno, Carocci 2014, p. 14). In ogni caso, ciò non dovrebbe consentire agli avversari del gender di generalizzare e di scagliarsi contro nemici immaginari, come accade molto spesso con la pubblicistica anti-gender, che è solitamente di basso livello e che non esita ad applicare in vario modo il paradigma della Teoria del Complotto; per non parlare di alcuni personaggi politici del tutto impreparati ad affrontare questioni complesse. Nella Buona Scuola (Legge 13 luglio 2015, n. 107) si parla ad esempio di promuovere l’«educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni» (art. 1 comma 16): sarebbe difficile dimostrare che nell’espressione “violenza di genere” il termine genere non sia utilizzato nel significato più comune di “carattere maschile o femminile dell’individuo”, senza quindi alcun riferimento esplicito alla distinzione tra sesso e genere che è alla base dell’ideologia gender.

Resta da spiegare il motivo per cui è stata rifiutata con tanta forza la definizione di ideologia gender; in teoria, dovrebbe essere infatti legittimo rivendicare la natura ideologica di un complesso di valori. La spiegazione che mi convince di più è di tipo linguistico, o forse meglio socio-linguistico: in italiano il termine ideologia possiede oggi una sfumatura perlopiù negativa, dovuta probabilmente alla fortuna, anche scolastica, della definizione marxista. Ora, come si è visto, nel momento in cui esprime con più chiarezza le proprie finalità politico-sociali, uno scienziato come Martino affronta il tema dell’ideologia classificando l’opinione di chi considera determinati comportamenti sessuali “contro natura” come «congetture singolari con il fine ultimo di ingenerare uno scontro ideologico di tipo sociale più che un incontro dialogico di tipo naturale». Evidentemente Martino non ritiene che le posizioni sostenute in In crisi d’identità siano a loro volta ideologiche: dal suo punto di vista la negazione dell’esistenza di una identità di genere definita è un dato scientifico, non un’opinione. Chi rifiuta tale conclusione è contro la scienza, dalla parte dell’ideologia. L’impianto retorico sembrerebbe quindi del tutto sovrapponibile alla vulgata del materialismo storico, che si pretende consapevole, realistico e scientifico in opposizione all’ideologia intesa come rappresentazione della realtà imposta dalla classe dominante (e infatti il matrimonio “same-sex”, secondo Vassallo, «sovverte l’ordine sociale», p. 97). Si deve allora concludere che il rifiuto della definizione di ideologia intende sancire la verità della teoria? E, se la teoria è vera perché scientifica, sarà vero, scientifico e ineluttabile anche il sovvertimento dell’ordine sociale? Chi difende il gender non può limitarsi a negare l’esistenza di un’ideologia; deve prendere atto che la teoria, almeno nelle intenzioni degli ideologi, ha una serie di implicazioni che non tutti, credo, sarebbero pronti ad accettare fino in fondo.

Definire il gender un’ideologia e mettere eventualmente in dubbio che la distinzione tra sesso e genere sia utile e soprattutto valida sul piano scientifico non vuol dire negare che oggi nella scuola, nel mondo del lavoro e nella vita quotidiana vi siano ancora diseguaglianze, violenze e discriminazioni che sono legate anche alle differenze sessuali e che vanno affrontate e risolte. Ma siamo davvero obbligati a chiamarle differenze di genere per ristabilire l’equità e l’eguaglianza?