Generalmente siamo abituatPlace_de_la_Concorde_7_février_1934 (1)i a vedere nella destra e nella sinistra – in particolare nelle loro frange più radicali – due opposti inconciliabili. Tuttavia la storia ci ha mostrato diversi esempi di come la destra rivoluzionaria nazionalista e anti borghese sia andata a braccetto con la sinistra radicale socialista e comunista in nome della comune opposizione al capitalismo e alla modernità. Tanto per fare qualche esempio si potrebbe citare la breve esperienza del Cercle Proudhon (Circolo Proudhon) nato nel 1912 per iniziativa di Georges Valois – militante dell’Action française di Charles Maurras – e del sindacalista rivoluzionario Edouard Berth. L’obiettivo di questo cenacolo intellettuale era quello di superare la dicotomia fra destra e sinistra in una sintesi fra nazionalismo e socialismo che si esprimeva attraverso i suoi Cahiers (Quaderni). Il filo conduttore che riusciva a tenere insieme due realtà così diverse fra loro era il comune rifiuto della democrazia parlamentare, del marxismo ortodosso, del liberalismo e dei cosiddetti “valori borghesi”, dell’eredità settecentesca, dell’internazionalismo e dall’altra l’accettazione di valori come il culto dell’eroismo, del vitalismo e del mito in senso soreliano. Tale esperimento politico durò solo due anni a causa dello scoppio del Primo conflitto mondiale: Georges Sorel e i sindacalisti rivoluzionari – i quali si opposero all’interventismo della Francia – rimproveravano a Maurras e ai militanti dell’Action française la loro sottomissione alla linea politica dei repubblicani (Union Sacrée contre l’ennemi extérieur). Nei suoi volumi «Nè Destranè Sinistra. L’ideologia fascista in Francia», e «Nascita dell’ideologia fascista» lo storico israeliano Zeev Sternhell ha sostenuto che il Cercle Proudhonpotrebbe essere considerato come una sorta di laboratorio politico del fascismo nella misura in cui il superamento fra destra e sinistra e le sue formulazioni teoriche verranno riprese dal regime mussoliniano. Un altro avvenimento degno di nota furono i fatti di Place de la Concorde, a Parigi, nel febbraio 1934, quando Jeunesse Patriotes e militanti comunisti si trovarono uniti contro l’emblema della partitocrazia, il Palais-Bourbon (La Camera dei deputati), e contro il governo del radical-socialista Daladier. L’episodio è stato raccontato dallo scrittore fascista eretico – convertitosi al comunismo prima di suicidarsi – Pierre Drieu La Rochelle in uno dei suoi romanzi più noti Gilles.

«Ho visto io su questa piazza i comunisti accostare i nazionali; guardarli, osservarli turbati e invidiosi. C’è mancato poco che si incontrassero, in un miscuglio stridente, tutti gli ardori di Francia» dice il protagonista dell’omonimo racconto.  Il personaggio di Drieu «pensava che fascismo e comunismo andassero nella stessa direzione, una direzione che gli piaceva».

Il 20 giugno del 1923, durante un esecutivo allargato del Comintern a Mosca in cui Clara Zetkin aveva appena denunciato il «pericolo fascista» e la «innaturale alleanza» con i nazionalsocialisti dei Freirkorps, Karl Radek esordì confessando di non avere fatto altro che pensare, durante l’intervento della Zetkin, all’eroico tenente Schlageter, nazionalsocialista della prima ora nonché appartenente ai Corpi franchi morto durante l’occupazione della Ruhr.

Per rimanere nel nostro paese episodi di sincretismo ideologico non mancarono di venire alla luce nel periodo della RSI, come ulteriori e spesso più radicali manifestazioni del «fascismo di sinistra». Vale la pena a tal proposito citare un brano tratto dalla rivista fiorentina “Italia e civiltà”: «Sappiano finalmente Roosevelt e Churchill, e tutti i loro compari, che i fascisti più consapevoli, i quali hanno sempre riconosciuto nel comunismo la sola forza viva contraria alla propria, non tanto nella Russia quanto nella plutocratica Inghilterra e nella plutocratica America hanno individuato il vero nemico. Sempre essi hanno sentito di discordare, sì, dai comunisti su molti punti, ma anche di concordare nel non volere più, né gli uni né gli altri, la vecchia società liberale, borghese, capitalistica. E sappiano anche, i Roosevelt, i Churchill e i loro compari, che quando la vittoria non toccasse al Tripartito, i più dei fascisti veri che scampassero al flagello passerebbero al comunismo, con esso farebbero blocco. Sarebbe allora varcato il fosso che oggi separa le due rivoluzioni. Avverrebbe fra esse uno scambio e un’influenza reciproca, sino alla fatale armonica fusione». Il 22 aprile ’45, Enzo Pezzato forniva indicazioni analoghe su “Repubblica Fascista”: «Il Duce ha chiamato la Repubblica italiana sociale non per gioco; i nostri programmi sono decisamente rivoluzionari; le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero di sinistra; le nostre istituzioni sono conseguenza diretta e puntuale dei programmi; il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esservi dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il capitalismo. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. […] Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta viene da destra».

Purtroppo la feticistica «religione dell’antifascismo» impedì alla sinistra di attrarre a sé coloro che avevano combattuto per i princìpi solidaristici e di giustizia sociale rappresentati nel Manifesto di Verona.

Per tornare alla storia più recente è bene ricordare i Fatti di Valle Giulia nel marzo del ’68 quando gli studenti di destra e di sinistra fronteggiarono congiuntamente le forze di polizia, oppure le vicende dell’ottobre del 1993 in Russia dove il Fronte di Salvezza Nazionale composto da nazionalisti e comunisti difese la Casa Bianca di Mosca, sede del parlamento, dai carri armati mandati dall’allora Presidente Boris Eltsin per sparare contro gli oppositori politici.

Tra gli eroici difensori della patria russa dall’occupazione coloniale a stelle e strisce, per mezzo del FMI e della cricca degli oligarchi legati all’allora Presidente Russo, vi furono oltre ai comunisti di Anpilov, anche i fascisti dell’Unità nazionale russa di Aleksandr Barkashov che, come testimoniato dell’eminente storico progressista Roj Medvedev, furono giustiziati sul posto dai reparti speciali al soldo del governo russo: «Vittime delle esecuzioni – scrive Medvedev – sarebbero stati soprattutto i combattenti venuti dal Baltico, dal Trans-Dnestr e da altre regioni, e i seguaci neofascisti di Barkashov» (cfr. R.A. Medvedev, La Russia post-sovietica. Un viaggio nell’era Eltsin, op. cit. p.142). Questi fatti come molti altri vengono sistematicamente censurati dalla rispettive tifoserie politiche, non fosse mai che i propri militanti inizino a pensare che categorie come fascismo e antifascismo, comunismo e anticomunismo, destra e sinistra, non siano più soddisfacenti per analizzare la realtà attuale.