Il totalitarismo, i fondamentalismi e le identità (intervista a Massimo Fini)
di Carlo Passera-Massimo Fini - 07/09/2006
Massimo Fini, lunedì prossimo saranno cinque anni. Undici settembre 2001, davvero il mondo da allora è cambiato? «Non è cambiato il mondo, ma l’11 settembre è stato il segnale forte, simbolico di qualcosa che maturava da tempo, dal 1989, dal crollo dell’Unione Sovietica. Quel giorno tutti se ne sono accorti». Cosa maturava? «Sembra contraddittorio dirlo, perché parliamo di un attacco terroristico contro gli Usa. Ma le Torri Gemelle ci hanno messo di fronte a un fatto: dal 1989 era rimasta solo una superpotenza sulla piazza, che avrebbe inevitabilmente accentuato la sua spinta espansiva prima limitata dalla presenza dell’Urss. L’11 settembre è stato lo spunto che ha fornito a Washington la scusa per intraprendere una politica di aggressione: prima l’Afghanistan, dove le truppe occidentali sono stanziate da cinque anni, bisognava andare a prendere un uomo che poi non è stato affatto catturato ed è stato creato un governo fantoccio; poi l’Iraq, con... ...tutto quello che sappiano; ora nel mirino c’è l’Iran. Insomma, si sono introdotti i germi di una guerra permanente». Dunque l’11 settembre si inserisce in un quadro più vasto, è un episodio - fondamentale quanto si vuole - di un processo complesso, oppure è un singolo accadimento caricato ex post, impropriamente, di mille significati “epocali”, magari strumentalmente, per convenienza? «Sono vere entrambe le cose. L’11 settembre si inserisce nel contesto che dicevo prima, d’altra parte questa politica statunitense era già stata “sperimentata” con l’aggressione alla Jugoslavia del 1999, decisa da Clinton, un esponente del partito democratico, perseguendo una strategia che non è infatti di una sola parte, ma degli Stati Uniti nel loro complesso. Poi, certo, l’attacco alle Twin Towers è stato ulteriormente caricato di una enorme valenza simbolica, non a caso: l’attentato è stato tremendo, con 3mila morti, ma quante persone sono rimaste vittime successivamente delle guerre scatenate dagli Usa? O vogliamo calcolare tutti gli uccisi per mano statunitense dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale? Le Twin Towers colpiscono la fantasia, perché le abbiamo viste crollare in televisione, il che oggi è determinante; non a caso durante la prima guerra del Golfo il glorioso Peter Arnett della Cnn ci mostrò solo le “luminarie” sul cielo di Baghdad, non quanto avveniva sotto di esse. Le “bombe intelligenti” degli americani provocarono tra i civili 160mila vittime, quasi 40 mila erano bambini; ossia causarono più di dieci volte i morti delle Torri Gemelle solo tra i piccoli. Però nessuno ce li ha fatti vedere». Obiezione inevitabile. Tu sei un intellettuale che ama andare controcorrente e anche provocare, ma così sembra quasi che l’11 settembre sia colpa degli americani! «No, non è colpa degli americani, anche se quando succedono attentati del genere, oltre che reagire, bisognerebbe anche chiedersi perché mai avvengono. In altre parole: quando si è così detestati, letteralmente odiati in mezzo mondo, val la pena porsi qualche dubbio. L’11 settembre non è colpa dei cittadini statunitensi, ma il loro governo ne ha preso l’abbrivio per una politica che aveva già in pectore». Ti riferisci, di nuovo, alla Jugoslavia... «Alla Jugoslavia ma non solo. Come sai, sono stati trovati i piani di aggressione all’Iraq molto prima dell’11 settembre, che è quindi servito come puro escamotage». Riassumiamo così, vediamo se sono corretto. Bin Laden non nasce dal nulla, l’11 settembre non è l’atto isolato di un pazzo, né di un’organizzazione di violenti solitari, bensì il portato di tensioni reali, in un contesto ben preciso, che degenera in forma terroristica. Al Qaeda ha fondamenta solide. È questo il tuo pensiero? «Nella mia visione, ammesso che Bin Laden esista e sia quello che si dice, altro non rappresenta se non l’ombra nera dell’Occidente, ossia una risposta fondamentalista, integralista, totalitaria e violenta al nostro mondo che, pur credendosi liberale e democratico, è ugualmente fondamentalista, integralista, totalitario e violento, in quanto pretende di omologare tutto a propria immagine e somiglianza. Da questo nasce il sommovimento nei Paesi islamici. Questo è un discorso la cui portata non dovrebbe sfuggire a chi, come la Lega Nord, ha a cuore il discorso identitario. È come se a un leghista richiedessero di essere un nero africano, con tutto il rispetto per questi ultimi. Ecco: noi occidentali chiediamo agli islamici di essere come noi. Ma loro non vogliono». Dunque quella islamica è una risposta violenta rispetto al nostro tentativo di annullare la loro identità? «Avvertono questo pericolo. Anche gli ambienti islamici non fondamentalisti né terroristi non sopportano questa idea in base alla quale noi vogliamo cambiare loro l’anima a tutti i costi. È un motivo di risentimento fortissimo...». ...che poi alimenta anche l’estremismo. Senti, l’11 settembre è una di quelle date particolari, ciascuno ricorda dov’era, cosa faceva, cosa ha pensato. Quale fu l’11 settembre 2001 di Massimo Fini? «Ero a casa, a riposare. Mi chiamò la mia ex moglie: “Guarda che stanno buttando giù i grattacieli di New York”. Accesi subito la televisione, feci in tempo a vedere in diretta lo schianto del secondo aereo, perché tra i due impatti passarono molti minuti». Quindici minuti in tutto. Dopo altri quaranta minuti il terzo aereo finì sul Pentagono, o almeno così dice la versione ufficiale. Altri 27 minuti e l’ultimo aereo si sfracellò in Pennsylvania, a Sud Est di Pittsburgh. «Anche questa dinamica è un poco inspiegabile». Quale fu la tua prima riflessione? Hai subito contestualizzato quanto avveniva nel quadro che poi sei andato formandoti in questi anni? «No, ho vissuto quanto avveniva per quello che era, un dramma, con tutte quelle persone che sventolavano i fazzoletti bianchi, ma non potevano salvarsi perché si trovavano sopra la linea di impatto degli aerei... Furono immagini oggettivamente tremende». D’altra parte, è stato un episodio unico nella storia... «Sì e no. Vogliamo parlare dell’incendio che distrusse Roma e del quale si è sempre attribuita impropriamente la responsabilità a Nerone? In realtà il governo dell’epoca aveva buoni motivi per incolpare la comunità cristiana. Fu un attentato complessivamente più devastante, la città venne distrutta, Roma era la potenza imperiale egemone, eppure la sua reazione fu infinitamente più prudente e civile. Nerone è passato alla storia come un pazzo violento perché arrestarono 300 cristiani presunti responsabili (su una comunità di circa 3mila persone) e ne condannarono 200; certo, le pene erano quelle dell’epoca...». Ma d’altra parte Cesare Beccaria era ancora di là da venire. «Esatto. E non vi fu l’aggressione all’intero Cristianesimo, nè alla stessa piccola comunità romana». Aggiungiamo anche che parte del merito fu di un imperatore, Nerone appunto, la cui fama negativa è del tutto ingiustificata. Tu hai anche scritto anni fa un godibilissimo libro proprio su questo tema (Nerone. Duemila anni di calunnie, Mondadori, 1993). «Nerone ha una fama negativa immeritata, la tradizione storica che lo vuole pazzo e violento deriva dalle notizie che ci sono pervenute da parte dei suoi nemici, che lo sconfissero. Proprio in seguito a questo grande incendio Nerone mostrò in realtà tutte le sue capacità, lanciò una operazione straordinaria di ricostruzione della città e di modernissima protezione civile a favore delle classi più colpite dal disastro, quelle rimaste senza casa. Insomma, quel che non hanno fatto gli americani a New Orleans». Dall’anno 64 dopo Cristo torniamo ai giorni nostri. Si diceva che dopo l’11 settembre il mondo ha comunque subito una svolta. In peggio, immagino. «Certamente in peggio, perché si sta radicalizzando lo scontro da entrambe le parti e quindi vengono schiacciati tutti coloro che non accettano questo aut aut, “o di qua o di là”, o con i fondamentalisti occidentali o con quelli islamici. Di questo passo andiamo incontro a una guerra permanente che tra l’altro non è affatto detto che l’Occidente sia destinato a vincere. Inoltre, ci sono stati anche cambiamenti in negativo nella vita quotidiana: a parte la paura diffusa, penso alla stretta notevolissima nella libertà di espressione. Uno storico inglese negazionista, David Irving, è in carcere in Austria a causa del contenuto dei suoi libri: ma questo non si è mai visto in una democrazia, semmai sotto il nazismo! Ancora: bisogna affermare che lo sterminio degli ebrei è un fatto unico e irripetibile, ma sono pretese inaccettabili, ognuno ha il diritto di pensare quello che vuole! Mi pare stiano crescendo forme di totalitarismo molto preoccupanti». È il quadro di un mondo che sta perdendo la ragione. «Proprio così, abbiamo perso la logica». Inevitabile quando si seguono i fondamentalismi. D’altra parte, questi cinque anni di stretta illiberale e di guerra al terrorismo non hanno portato a molti risultati. Bin Laden e il mullah Omar sono uccel di bosco, la situazione mediorientale è più instabile che mai, il terrorismo colpisce più o meno dove vuole, servendosi anche di proseliti locali. Gli Usa prima hanno attaccato l’Iraq, un boccone più piccolo, e ancora non l’han digerito; ora Bush rilancia sull’Iran, un boccone molto più grosso e indigesto. Con quale logica? «Davvero non lo so, non capisco, anche se non posso pensare che il governo americano agisca a caso, d’istinto. Ma indubbiamente l’aggressione all’Iraq ha favorito il terrorismo internazionale, perché oggi abbiamo un Paese disgregato, dove i terroristi lottano insieme agli insorti iracheni e trovano complicità, armi, appoggi in gran parte della popolazione. Stiamo facendo diventare terroristi anche gli afghani, che mai lo erano stati durante dieci anni di occupazione sovietica, ma noi li bombardiamo con aerei telecomandati dall’Arizona, come possono reagire diversamente? Si è radicalizzato il quadro politico, così in Iran è stato eletto un esponente integralista al posto del moderato che c’era prima. Sono in grave difficoltà tutti quei regimi islamici che hanno mantenuto buoni rapporti con l’Occidente, penso per primo all’Egitto, poi anche a Giordani,a Marocco e così via». È dei giorni scorsi un nuovo attentato ad Amman. «Questi governi fanno grande fatica a mantenere una posizione non ostile, con gran parte della popolazione sempre più anti-americana. Se verrà attaccata Teheran, salterà tutto. Questa è o una politica che vuole arrivare allo showdown confidando nel fatto che l’Occidente è infinitamente meglio armato, oppure è una semplice idiozia». D’altra parte Bush ha detto: l’Iran è come Al Qaeda. «Sono affermazioni totalmente irresponsabili, fanno il paio con quelle del premier iraniano su Israele. Forse sono peggio, perché quella di Amadinejad era pura propaganda». Diciamo che è un bel match. Si andrà allora davvero alla guerra finale? Un possibile cambio alla Casa Bianca nel prossimo futuro potrebbe magari modificare il quadro, o è uno scontro ormai “di sistema”? «A parte alcuni aspetti deliranti del pensiero neo-con, è una questione di sistema. C’è un’unica grande potenza mondiale, non ha contrappesi, l’unica speranza è nell’Europa. Se prendesse le distanze da questa politica di scontro frontale diretto...». |