Dinnanzi alla crisi dell’eurozona, è stato propcarlo_magnoosto da molti, sia a destra che a sinistra, che l’unica alternativa sarebbe quella rappresentata dal ritorno alle dimensioni nazionali. Tale revanscismo nazionalista è incarnato in Europa soprattutto dal Front National di Marine Le Pen partito noto per le sue inclinazioni stataliste e giacobine. Tuttavia ad avviso di chi scrive nell’attuale contesto globale il ripristino dei vecchi confini fra gli stati non è una soluzione soddisfacente. Oggi viviamo in un epoca dominata da «grandi spazi» per dirla con Carl Schmitt e un paese relativamente piccolo come l’Italia e la Francia non riuscirebbe a far fronte alla concorrenza rappresentata da paesi emergenti come la Cina, la Russia, l’India, il Brasile o gli Stati Uniti d’America.

Inoltre oggi il vecchio modello dello Stato-nazione di origine giacobino vede il suo quadro d’azione incrinato da molteplici fratture. Esso è contestato dal basso dalla comparsa di nuovi movimenti sociali, dal persistere dei regionalismi e degli autonomismi (l’esito del referendum catalano ne è una prova evidente), dallo sviluppo di nuove forme di socializzazione comunitaria, quasi che rinascessero sotto sembianze nuove le forme intermedie di socializzazione che esso aveva frantumato da tempo. Ma lo Stato-nazione è contestato anche dall’alto. È espropriato dei suoi poteri dal mercato mondiale, dalla concorrenza internazionale, dalla formazione di istituzioni sovranazionali o comunitarie, dalle burocrazie intergovernative, dagli apparati tecnoscientifici, dai messaggi mediatici planetari e dai gruppi di pressione internazionali.

Se vuole sopravvivere l’Europa ha bisogno di unità politica. Ma questa unità politica non può essere costruita secondo il modello nazionale giacobino. Essa può realizzarsi secondo un modello federale portatore di un’idea, d’un progetto, d’un principio; il che vuol dire in ultima analisi, secondo un modello imperiale.

L’Impero si ricollega all’idea di un ordine equo che mira, all’interno di una data area di civiltà, a federare i popoli sulla base di un’organizzazione politica concreta, al di fuori di ogni prospettiva di conversione o di livellamento. Mentre nello Stato-nazione la sovranità è definita, sin dai tempi di Jean Bodin, come una nozione indivisibile, nell’Impero essa è ripartita secondo il principio di sussidiarietà o della sufficiente competenza. Il potere sovrano non è un potere assoluto, rappresenta solamente il potere situato al livello più elevato e dove il campo di decisione è più esteso, quello che interviene solo quando i poteri locali, ai livelli inferiori, non sono in grado di risolvere i problemi presentatisi.

Come ha fatto giustamente notare Alain de Benoist nel suo L’Impero Interiore: «il principio stesso dell’Impero mira a conciliare l’uno e il molteplice, il particolare e l’universale. La sua legge generale è quella dell’autonomia e del rispetto della diversità, per mezzo di una stretta applicazione del principio di sussidiarietà».

Concetto ribadito da Julius Evola secondo il quale l’impero si configura come «una organizzazione supernazionale tale che in essa l’unità non agisca in modo distruttivo e livellatore nel riguardo della molteplicità etnica e culturale da essa ricompresa» (cfr. J. Evola, Sulle premesse spirituali dell’Impero, cit., in Saggi di dottrina politica, cit. p.162)

Tuttavia sarebbe un grave ritenere che l’impero differisca dalla nazione o dal regno per via delle sue dimensioni, che sia insomma «una nazione più grande delle altre». Esso è in primo luogo un’idea o un principio. L’ordine politico viene infatti determinato non da fattori materiali, o dall’estensione geografica, ma da un’idea spirituale.  Come chiarisce sempre Evola: «Se un impero non è sacro impero, esso non è nemmeno impero ma qualcosa come un cancro che aggredisce l’insieme delle funzioni distintive di un organismo vivo» (cfr. Id., Rivolta contro il mondo moderno, cit., pp. 104-105).

Non sono dunque imperi, nel senso sopra indicato, quello napoleonico, il III Reich hitleriano, gli imperi coloniali francese e britannico né gli imperialismi moderni.

Questi sedicenti «imperi» sono in realtà delle semplici costruzioni frutto dell’azione di potenze impegnate in un processo di mera espansione del loro territorio nazionale. Le «grandi potenze» moderne – come gli Stati Uniti d’America – non sono imperi bensì nazioni che cercano solamente di dilatarsi attraverso la conquista militare, politica, economica o di altro genere, sino a giungere a dimensioni che eccedono quelle delle loro frontiere del momento.

Immaginare o auspicare la rinascita di un autentico Impero non è una pura chimera? Può darsi. Tuttavia è un caso se il modello dell’Impero romano non ha cessato di ispirare fino ad oggi tutti i tentativi di superamento dello Stato-nazione?