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C’è una dittatura liberale: in Francia serve Cincinnato

di Michel Onfray - Stefano Montefiori - 19/10/2015

Fonte: Corriere della Sera



«È il primo volume che scrivo dopo un evento fondamentale nella vita di un uomo: la morte di suo padre. Aggiungiamo a questo che è stato il primo libro scritto dopo il decesso della mia compagna di 37 anni di vita comune, in seguito a 13 anni di un lungo cancro vissuto al suo fianco. È dunque un libro carico di esperienze esistenziali che mi hanno trasformato. Il libro di una maturità obbligata».
Pubblichiamo qui accanto un estratto delle prime pagine, con il racconto della morte di suo padre, operaio agricolo che le ha insegnato a scegliere «le lezioni della natura anziché le peregrinazioni della cultura». Come concilia il mondo rurale delle origini con il mondo della cultura che le è comunque diventato proprio?
«La sociologia mostra in effetti che i filosofi francesi provengono raramente da ambienti modesti e dalla campagna. Io ho questa doppia appartenenza: padre operaio agricolo, madre donna delle pulizie e nascita, studi e vita in Normandia, tra villaggi e piccole città. Peraltro vivo ancora in Normandia. All’inizio queste origini non hanno contato molto, fino a quando ho compreso che erano invece determinanti rispetto ai filosofi del mio tempo, urbani, provenienti da un ambiente borghese, normalisti, cattedratici, parigini. Sono fedele a quel che sono, come potrebbe essere altrimenti?».
«Cosmo» si fissa l’obiettivo di «trasformare una catastrofe in fedeltà». Come il suo lutto personale diventa il punto di partenza di una teoria filosofica universale?
«Mi sta chiedendo di raccontare in due righe quel che sviluppo in un libro di un milione di caratteri... Diciamo che la morte di un padre è la trasmissione di una saggezza alla quale dobbiamo andare incontro per conoscerla e quindi esserne degni. È un’eredità: mio padre era un uomo retto, forte, onesto, coraggioso, lavoratore. Il mio dovere ormai è essere all’altezza di questa eredità».
Quando, nella polemica politica, lei si lancia nella difesa del popolo «old school», all’antica, contro la sinistra di governo e l’Europa neo-liberale, è appunto la fedeltà a suo padre e alla sua compagna, insegnante delle scuole medie, che la ispira?
«Sì, assolutamente, lei ha ragione. Fedeltà ai miei genitori, fedeltà alla mia compagna che insegnava in una scuola media di sottoprefettura, fedeltà a mio fratello che si occupa della manutenzione in una cava, fedeltà a mia nuora che lavora in una mensa, fedeltà ai senza voce, ai poveri dimenticati dalla classe politica al potere. Questo popolo è stato cancellato con un tratto di penna dalla sinistra liberale che, una decina di anni fa, ha puntato da un punto di vista elettorale sui bobo ( bourgeois-bohème , espressione coniata nel 2000 dall’americano David Brooks, in Francia termine poco lusinghiero per indicare giovani facoltosi e di sinistra, ndr ), dicendo che questo popolo dimenticato era ormai passato dalla parte dei Le Pen. Amo questo popolo old school , ma non quelli che confiscano la sua sofferenza per trarne unicamente un profitto elettorale».
Lei si è sempre professato di sinistra e lo fa ancora, ha fondato l’università popolare di Caen come risposta al 21 aprile 2002, quando Jean-Marie Le Pen arrivò al secondo turno delle presidenziali, ma in Francia alcuni la accusano di essere un «nuovo reazionario», un «lepenista oggettivo». Il Front national ne approfitta per sollecitarla a dialogare con Marine Le Pen. Che cosa risponde?
«Quelli che mi accusano di questa infamia sono quelli che, da 25 anni, ci vendono l’Europa liberale come la fine di tutti i mali: votare “sì a Maastricht” doveva liberarci dalla disoccupazione, assicurare il pieno impiego, aumentare il livello di vita, sopprimere le guerre, realizzare l’amicizia tra i popoli! Dopo un quarto di secolo di propaganda mediatica e di pieni poteri a questa politica, oltre la miseria, la disoccupazione e la povertà in espansione, abbiamo in Europa, in ogni Paese, un quarto dell’elettorato che vota per partiti del genere di Marine Le Pen, senza contare gli astensionisti. Le persone responsabili di questo stato di cose, i media come “Libération” o “Le Monde” , non faranno autocritica. Riesce loro più facile prendersela con chi segnala l’ampiezza del loro insuccesso. D’altro canto, non dimentichiamo che questo ambiente liberale ha bisogno del Front national al ballottaggio delle elezioni presidenziali: è il solo scenario che permetterà loro di avere un liberale al potere. Poco importa che sia di destra o di sinistra. E poco importa ugualmente che il popolo ne faccia ancora e sempre le spese. La Francia vive sotto un regime di dittatura liberale. Chiunque lo denunci passa per uno scherano del Front national. Logica normale di questo genere di regime, che ha rinunciato al pensiero a vantaggio dell’insulto».
Cosa si sente di dire ai francesi che sarebbero pronti a votare Marine Le Pen — uno su tre secondo l’ultimo sondaggio Ifop — alle presidenziali del 2017? Avrebbe voglia di scoraggiarli? E con quali argomenti?
«Per quanto mi riguarda, non voto più. Dunque né per gli uni né per gli altri. Marine Le Pen a destra fa la stessa improvvisazione elettorale di Jean-Luc Mélenchon a sinistra. Dilettanti, cinici, opportunisti e demagoghi, gente che non mi interessa più dei loro avversari».
Esistono veri punti in comune tra lei, Michel Houellebecq, Alain Finkielkraut, Éric Zemmour? Per esempio sull’Europa? È vero che gli intellettuali stanno prendendo il posto lasciato libero dai politici?
«Ci sono sempre dei punti di convergenza tra chiunque! E si potrà sempre mettere insieme Hitler che amava la pittura e Jean Moulin (eroe della Resistenza francese, ndr ) che era gallerista... Il mio problema non è sapere che cosa ho in comune con questo o quello, o ciò che me ne separa. Loro sono loro, io sono io. Quanto al potere: gli intellettuali non ne hanno più dei politici, che fingono di averlo, ma obbediscono alle direttive burocratiche di Bruxelles».
Una nuova egemonia culturale «contro il politicamente corretto» si sta formando in Francia, nonostante i benpensanti che lei spesso denuncia?
«Lei indica una creazione dei media, che radunano persone eterogenee e mettono un’etichetta per fabbricare dei fenomeni editoriali che fanno vendere delle copie. Dopo l’insulto che “Libération” mi ha inflitto in prima pagina, non si contano più le copertine che la stampa ha consacrato a creare un evento che in realtà non esiste. Il vero evento è il crollo del loro ideale liberale europeo. L’adagio è noto: “Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Molti giornalisti indicano il dito. Ma quel che bisogna vedere è la fine del modello liberale venduto in Francia, con i pieni poteri dei media, a partire dal 1983, data dell’adesione di François Mitterrand al liberalismo poi sfociato nel trattato di Maastricht».
Si è parlato di una serata in suo sostegno il 20 ottobre alla Mutualité di Parigi con Alain Finkielkraut, Régis Debray, Pascal Bruckner e altri. Conferma che si terrà?
«Questa serata avrà luogo, ma senza di me. Lo dico da settimane, ma ci si sforza di non capirlo. Sono un uomo libero e solo. E mi sta bene così. Non sono strumentalizzabile da niente e da nessuno».
Lei auspica l’emergere in Francia di un nuovo candidato espressione della società civile, anti-Bruxelles e anti-sistema, come fu già il comico Coluche. Che opinione ha dell’esempio italiano di Beppe Grillo e del suo Movimento Cinque Stelle?
«La Francia ha una unicità gollista che mi interessa più degli altri modelli. La voglia di finirla con i comici della politica non giustifica l’impegno a favore dei buffoni che fanno politica. I Paesi meritano di più. Il politico di professione non vale niente di più del giullare di professione. Serve un Cincinnato che posa l’aratro, fa quel che c’è da fare e poi, una volta compiuta la sua missione, ritorna al suo aratro. La Roma antica ha contribuito molto alla mia costruzione spirituale. Bisogna leggere o rileggere Plutarco».