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Nella degradazione fecale degli Yahoos, Swift frusta a sangue l’orgoglio della modernità

di Francesco Lamendola - 02/11/2015

Fonte: Il Corriere delle regioni


 

 


 

Nella quarta parte dei «Viaggi di Gulliver», come è noto, Jonathan Swift ha inteso fare una caricatura feroce, spietata, raggelante, della natura umana; per essere meno generici e più precisi, di quella particolare natura umana che è il frutto della modernità occidentale, e che, nel “secolo dei lumi”, tronfia della sua ragione e delle sue conquiste scientifiche e civili, del suo progresso e della sua fiducia in se stessa, si appresta a dare l’assalto al potere mondiale, sottomettendo e uniformando ogni angolo del globo terracqueo - non solo le altre civiltà e culture, ma anche il mondo delle piante, degli animali, del paesaggio terrestre – alla propria misura: alla misura del razionalismo, dell’utilitarismo, del meccanicismo che erano il suo credo ufficiale.

Gli Yahoos sono sgradevoli, ripugnanti, semplicemente orribili; avidi, sporchi, bestiali; puzzano: di un puzzo atroce, osceno, perché derivante dai loro escrementi, che spargono in continuazione attorno a sé, ora come arma di offesa, ora come espressione del loro stesso linguaggio. Davanti a questa invenzione “estrema” del grande scrittore inglese, generalmente la critica ha tiratoi i freni e storto il naso: sì, «I viaggi di Gulliver» sono un libro notevole, un classico, senza alcun dubbio; però… diciamo la verità: quel benedetto Swift poteva anche risparmiarsele, certe cose; certe sconcezze, certe sozzure, e quello sconveniente, orripilante compiacimento davanti alla degradazione dell’uomo, da lui contemplata con una sorta di sadica crudeltà.

Ed ecco che non pochi critici letterari, fra i quali Middleton Murry e Aldous Huxley, hanno sposato la teoria psicanalitica per poter criticare e condannare dall’interno, per così dire, l’opera di Swift, o, quanto meno, questo aspetto dell’opera di Swift; che non è poi del tutto estemporaneo, non è del tutto inaspettato, perché ci sono pure alcune poesie, come «Lo spogliatoio della Signora», del 1730 (mentre il romanzo è anteriore, essendo stato pubblicato nel 1726), in cui l’ultima grande illusione, la venustà e il fascino femminili, soggiacciono ad una uguale degradazione: anche la donna, infatti, per quanto eterea e leggiadra, è soggetta alla più basse funzioni corporali; e come si fa ad amarla veramente, immaginandosela in bagno, quando si tira su la gonna ed evacua a gambe larghe, come la più volgare delle creature, in mezzo a odori nauseabondi?

Eppure, in Swift – lo ripetiamo – quella che viene offerta al lettore non è una misantropia – o, peggio ancora, una misoginia – indiscriminata; non è la creatura umana che egli vuole umiliare, degradare, calunniare, se così vogliamo metterla: no, è quel particolare tipo di umanità che, gonfia di orgoglio e di pretese, avida, vorace, insaziabile, emerge dal secolo XVIII: l’umanità dell’Europa occidentale, con la sua infatuazione per i libri e per il sapere, che serve solo a mascherare i suoi appetiti più grossolani, sia a livello individuale, che collettivo: e, così come i singoli uomini e donne bramano tutto ciò che gonfia e gratifica il loro piccolo ego meschino, la loro vanità, la loro sensualità e ghiottoneria, così le nazioni e gli stati, Inghilterra in testa, bramano il potere mondiale, il dominio dei commerci, la supremazia sulle rotte oceaniche, e hanno anche l’inaudita pretesa di giustificare questi banchetti pantagruelici, queste colossali abbuffate, dietro il pretesto della “civiltà”, delle “buone maniere”, e perfino della “ragione”.

Ha scritto Norman O. Brown nel suo ormai classico saggio «La vita contro la morte. Il significato psicoanalitico della storia» (titolo originale: «Life Against Death», Wesleyan University, 1959; traduzione dall’inglese di Silvia Giacomoni, Milano, Adelphi, 1964, 1985, pp. 218-219):

 

«Gli Yahoos rappresentano la cruda essenza della bestialità umana: ma l’essenza della visione di Swift e della redenzione di Gulliver è il riconoscimento che l’uomo civile dell’Europa occidentale on solo rimane Yhooma è peggiore di uno Yahoo: “Una razza di animali a cui era toccata in sorte per un caso inspiegabile, una modesta quantità di ragione, della quale non ci servivamo che per aggravare le nostre disposizioni naturalmente malvagie e per acquistarne altre nuove, che la natura non ci aveva dato”. E caratteristica dello Yahoo è la sporcizia, una sporcizia che lo distingue non dall’uomo dell’Europa occidentale, ma da tutti gli altri animali:  “L’inclinazione vivissima verso la sudiceria e la l’oscenità, mentre in tutti gli altri animali l’amore per la pulizia è istintivo”. Lo Yahoo è dotato di un puzzo fortissimo, “un che di mezzo tra quello delle volpi e quello delle donnole”, e che, ancora più forte nella stagione degli accoppiamenti, è una vera e propria attrazione per il maschio. Gulliver continua a sentire il puzzo degli uomini anche dopo il suo ritorno in Inghilterra: “Per tutto il primo anno la presenza di mia moglie e dei miei figli mi era insopportabile, non potevo tollerarne nemmeno l’odore”; quando camminava per le strade teneva il naso ben tappato “con ruta, lavanda e foglie di tabacco”. Il modo di nutrirsi degli Yahoo è ugualmente disgustoso: “Ciò che rendeva veramente disgustosi gli Yahoos era quella loro avidità indiscriminata, di divorare tutto ciò che trovavano: erbe, radici, frutta, carne putrefatta  e anche tutto insieme”.

Ma gi Yahoos si distinguono dagli altri animali soprattutto per l’atteggiamento che hanno nei confronti dei propri escrementi. Per loro gli escrementi non sono un semplice prodotto di scarto, ma uno strumento magico che serve per esprimere e per aggredire. Questo atteggiamento già si manifesta nell’infanzia: “mentre la tenevo in braccio, quell’odiosa bestiola m’insudiciò tutti gli abiti con i suoi escrementi, di una sostanza gialla e liquida”, e continua nel’età adulta: “Molti di quei maledetti mostri s’arrampicarono allora sui ramie di là cominciarono a scaricarmi in testa le loro merde”. Ciò fa parte del rituale Yahoo che simboleggia il rinnovamento della società: quando si elimina il vecchio capo del’orda, “tutti gli Yahoos del luogo con il successore alla testa, maschi e femmine, giovani e vecchi, si precipitano su di lui come un sol uomo e lo ricopro nodi sterco da capo a piedi”. Per questo nella loro gerarchia feudale quel capo aveva quasi sempre “un favorito, che gli rassomigliava, il cui compito consisteva nel leccargli i piedi e le parti posteriori e portargli le femmine nella tana”.La convinzione che l’animale uomo si distingue dagli altri per il suo peculiare carattere escrementale non abbandona Gulliver dopo il suo ritorno in Inghilterra, e così egli trova sollievo dall’opprimente puzzo degli uomini quando si trova in compagnia dello stalliere: “mi sento confortare gli spiriti al suo odore di stalla”. Contrariamente a quanto dice Huxley, dunque, Swift non odia gli intestini, ma solo l’uso che ne fanno gli uomini.

Questa presentazione demoniaca della natura escrementale del genere umano costituisce un grande scoglio dei “Viaggi di Gulliver”: un errore estetico, una grossolana ricerca del sensazionale dice Quintana; una diffamazione dell’umanità, per Middleton Murry, “perché, anche se continuiamo a spogliare l’umano fino ai limiti ai limiti dell’immaginazione, non arriviamo allo Yahoo. Possiamo forse arrivare alla sua crudeltà e malizia, ma non alla sua oscenità e sporcizia. Questa è una gratuita degradazione dell’umanità; non è salutare, ma urtante”. Ma, se non ci serviamo dei pregiudizi convenzionali e compiacenti, teneri verso vero l’orgoglio umano, che stanno alla base delle critiche di Quitana e di Murry, e misuriamo la veridicità di Swift con la fredda saggezza ella psicoanalisi, apparirà perfettamente chiaro che la visione escrementale dello Yahoo è praticamente identica alla teoria psicoanalitica dell’ampia influenza dell’erotismo anale sulla formazione della cultura umana.»

 

Lasciamo a Norman O. Brown la responsabilità di quest’ultima affermazione; a lui che, del resto, ha steso tutto il suo libro cercando di dimostrare che una lettura dell’intera storia umana in chiave psicoanalitica è non solo possibile, ma altamente significativa e istruttiva, e tale da rendere chiaro e visibile ciò che, altrimenti, rischia di rimanere nell’ombra o nell’ambiguità: e teniamo per buona la prima parte del suo discorso. Coloro i quali hanno criticato Swift per la sua “esagerazione”, per la sua “ostilità patologica” nei confronti della natura umana e della stessa civiltà, non hanno saputo o voluto spingersi un poco oltre le apparenze: diversamente, si sarebbero forse accorti che non di esagerazione o di ostilità patologica si tratta, ma di un disperato grido d’allarme, di una commossa e partecipe indignazione di fronte ad una svolta antropologica – quella della modernità – che stava trasformando le creature umane in detestabili grumi di egoismo, presunzione, orgoglio fecale; dei soggetti che, per usare una celebre espressione di Leonardo da Vinci, altro non lasciano dietro di sé «che cessi pieni». Vogliamo accusare di denigrazione verso l’umanità, di misantropia e di delirio anti-umano anche il sommo Leonardo?

Jonathan Swift, in fondo, è soprattutto un moralista: in lui c’è l’indignazione contenuta, la rabbia repressa, la fredda rivolta contro uno stato di cose che egli giudica intollerabile; e il suo pessimismo si spinge così in là, da non fargli ritenere possibile alcuna critica antropologica se non in chiave di ironia, di sarcasmo, di satira implacabile. Che altro è, se non incontenibile indignazione, la sua “proposta” di risolvere la carestia irlandese, dando da mangiare i bambini, bolliti in pentola, per placare la fame degli adulti? Swift è la cattiva coscienza dell’Inghilterra imperiale dei primi decenni del XVIII secolo, ormai lanciata verso le «magnifiche sorti e progressive» della rivoluzione industriale, del sistema coloniale a livello planetario, della finanza scatenata alla conquista del mondo intero (1694: fondazione della Banca d’Inghilterra). E della Massoneria ormai dilagante e onnipresente.

Ci siamo già occupati, in più d’una occasione, di Jonathan Swift e del significato della sua opera (cfr. i nostri articoli: «Swift, Stella, Vanessa: un triangolo d’amore che non riuscì mai a trovar la pace», pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 19/04/2011; «Identità umana e pregiudizio etnico  ne “I viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift», sempre sul sito di Arianna, il 07/10/2011; e «Escrementizia è la visione di Swift perché denuncia la bruttezza del mondo moderno», pubblicato su «Il Corriere delle Regioni» 12/05/2015). Aggiungiamo che non serve a nulla ridurre la sua critica degli uomini al livello di un caso clinico: del resto, se la psicoanalisi può vedere in lui un esempio da manuale di una serie di traumi infantili che hanno “bloccato” il suo sviluppo psicologico e affettivo nella fase sadico-anale (da piccolo, orfano di padre già alla nascita, fu sballottato fra la madre che lo rifiutava ed una balia che lo aveva praticamene rapito). Semmai, e qui siamo d’accordo con Norman O. Brown, giova ricordare a questi psicoanalisti più realisti del re, che vorrebbero “psicanalizzare”, nel senso di mostrarne la patologia, tutti quegli scrittori nei quali vi è una dura critica contro gli uomini del loro tempo, quasi per esorcizzarne la forza devastante, che tutti gli esseri umani, in una certa misura, e specialmente nella civiltà moderna, soffrono di una qualche forma di nevrosi, di una qualche psicopatologia, più o meno accentuata.

Pertanto, il punto non è di sapere se certe “esagerazioni” di Swift si possono spiegare, e, con ciò stesso, neutralizzare, con l’argomento della sua “pazzia” (metodo da sempre adoperato verso i grandi ribelli e i grandi contestatori: da Nietzsche a Reich, e senza scordare il buon vecchio Lucrezio), bensì di capire come e in quale misura il “male” di Swift sia il male dei suoi simili, dei suoi contemporanei, e di tutti coloro i quali, credendosi perfettamente “sani”, si permettono di dichiarare pazzo chi, non rispettando le regole del gioco, spinge la propria critica oltre la soglia di ciò che è considerato ammissibile e tollerabile. Infatti, in un mondo di pazzi, il savio che lancia un grido d’allarme, viene subito dichiarato pazzo da tutti gli altri; e la cosa ha una sua giustificazione, perché, senza dubbio, neppure lui è rimasto immune dalla pazzia generale: ma, appunto, se tutti sono pazzi, come si farà a riconoscere la pazzia? È necessario, allora, che qualcuno rompa gli schemi e si esponga al pubblico ludibrio, perché solo dalla sua “esagerazione” potrà maturare un eventuale ripensamento della condizione manicomiale che l’intera società ha fatto propria, e contestare i fondamenti sui quali essa è stata edificata.

Così, non è vero che, per quanto spogliamo l’essere umano, non arriveremo mai allo Yahoo: non, almeno, finché accetteremo come base di osservazione il positivismo, che rimane alla superficie delle cose, perché ammette solo ciò che si può osservare, studiare, sperimentare. Per riuscire a vedere nell’uomo qualcosa di meglio dello Yahoo, almeno potenzialmente, bisogna andare oltre il positivismo: ossia vedere in lui non solo quel che egli è, ma quel che potrebbe divenire, se riconoscesse la sua parte spirituale e la sua nostalgia di Assoluto. Ma questo, evidentemente, a Swift mancava; sicché non gli rimase altro partito onesto che rifiutare la commedia della ragione sovrana.